Situazione politica del periodo
E’ il 9 ottobre 1967 quando viene ucciso, dalle truppe governative di un governo militare appoggiato dagli americani, ERNESTO "CHE" GUEVARA, il capo dei guerriglieri in Bolivia che lotta per l'indipendenza del paese.
Amato e discusso, il "Che" resta il simbolo della lotta contro le dittature, lo sfruttamento, le sofferenze e la fame. Una bandiera che la morte non ha ammainato.
Nel frattempo gli Stati Uniti sono impegnati nel conflitto vietnamita, che provoca in tutto il mondo un vasto movimento d’opposizione e di denuncia. La Cina comunista invece accentua la rottura con l’Unione Sovietica, accusandola di socialfascismo.
Queste ed altre vicende internazionali influenzano profondamente la situazione interna dell’Italia; rappresentano anzi lo sfondo sul quale si proiettano le frustrazioni della società: il Paese è cambiato e la classe politica, immobile, non fa nulla per predisporre riforme per equilibri nuovi e più avanzati. Il Paese cammina in fretta e le riforme rimangono sulla carta.
Sta nascendo, infatti, la coscienza delle inadempienze della classe politica, delle promesse mai mantenute, specie ora che la cresciuta scolarizzazione crea attese diffuse, che si scontrano con strutture inadeguate e incerte prospettive professionali.
Da questa miscela esplosiva nasce la Contestazione, che in un primo momento è rivolta all’assetto inadatto degli studi superiori e universitari, ma che presto si allarga al più generale assetto sociale ed economico del Paese.
Nel 1968 é troppo il divario culturale fra i giovani e l'ambiente familiare (8 studenti su 10 hanno a casa il padre e la madre con la licenza elementare) e questa incomunicabilità è una palla al piede. Mai era avvenuto un simile balzo, un simile distacco tra la generazione dei figli e dei padri, fra l'altro padri e madri che avevano vissuto in prima persona uno dei più grandi conflitti della storia umana (la Seconda Guerra Mondiale). Le ultime due generazioni viventi in questo '67 (nati 1900 – nati 1925) contavano in certe regioni dal 30 al 58% di analfabeti, dal 45 al 85% di elementari scolarizzati. Non va dimenticato dunque che queste due precedenti generazioni (nonni e padri) in questo periodo convivevano con la nuova generazione. Era perciò impossibile un’integrazione o una comprensione dei nuovi problemi e non per motivi di conflittualità generazionale (com'era sempre accaduto) ma per motivi culturali-educativi.
La terza generazione (anni 1950) infatti contava già nelle sue file 6milioni di studenti oltre le medie. Quindi la lotta fin dall'inizio era impari.
Ma nessuno cercò di far qualcosa, né gli uomini politici, né gli intellettuali, né le gerarchie cattoliche, né tanto meno la scuola che andava avanti con un bagaglio accademico degli anni Trenta (già allora vecchio oltre che carente rispetto agli altri Paesi).
Per la prima volta nella storia, l'aggregazione, le conoscenze, le affinità, il dialogo, il confronto delle idee, avvenivano non all'interno del nucleo familiare, come in passato, ma all'esterno, anche se con tanta confusione nei partecipanti.
Ora c'era in atto una nuova rivoluzione, un’evoluzione mentale velocissima e in una forma sconvolgente, con l'improvvisazione, con l'autodidattica, con i cosiddetti "laboratori", che determinarono però una reazione a catena inarrestabile e incontrollabile.
Da questa generazione dell'era atomica, in America, in Giappone, in Europa, nei Paesi dell'Est come in Polonia, e in Italia, irrompe dunque la contestazione studentesca. Un fenomeno con spinte e motivazioni transnazionali, che dilagarono con una rapidità incredibile. Da semplice contestazione si trasformò in certi Paesi in una vera e propria rivolta; come a Parigi, dove si temette una nuova Rivoluzione quando, nel “Maggio francese”, la capitale fu circondata dall'esercito pronto a intervenire con i carri armati. Scontri durissimi fra dimostranti e polizia coinvolsero anche le masse operaie delle grandi fabbriche paralizzando la Francia.
In Italia dalle occupazioni delle Università si passò agli scontri nelle piazze e nelle vie, con interventi della polizia che causarono incidenti molto gravi e infine alle manifestazioni operaie supportate dagli studenti.
Operai e studenti, fino ad allora, erano due mondi lontani, con poche, anzi nessuna ideologia in comune, che non si conoscevano, ma che da quel momento, dalle contestazioni e dai vari gruppi rivoluzionari apprenderanno il metodo della lotta per colpire a fondo il capitalismo italiano. Ecco così mutare i cortei in veri e propri sit-in, aumentare gli scioperi a singhiozzo, alternati o a scacchiera, le riduzioni o i sabotaggi nella produzione; e tante assemblee permanenti dentro i cancelli che diventeranno veri tentativi di occupazioni non solo fatte dagli interni ma anche da elementi infiltrati.
Si chiudeva dunque un periodo che non ottenne grandi cose, ma lasciava dietro di sé “idee nuove” di come portare avanti le lotte; sono i modelli di lotta che muteranno sempre di più.
Parallelamente, in questo clima, altri gruppi svilupparono non quella che indicava Moro, cioè la “strategia dell'attenzione”, ma quella che fu poi chiamata “strategia della tensione”. Ed ecco il primo dei gravissimi fatti di sangue: la strage di piazza Fontana a Milano, che diede il via agli Anni del terrorismo. Si voleva mettere fine a un periodo e invece fu l'inizio.
Breve cronologia dei fatti
La contestazione studentesca italiana si apre il 1 Novembre 1967, con l’occupazione dell'Università di Sociologia a Trento (l'unica Facoltà di questa nuova disciplina in Italia). Spicca tra i suoi organizzatori ANTONIO NEGRI, capo e ideologo di POTERE OPERAIO, e fra gli allievi CURCIO, il futuro capo e ideologo delle BRIGATE ROSSE.
Il 17 Novembre cominciano le dimostrazioni e le occupazioni all’Università Cattolica di Milano.
La città, le forze dell'ordine, i partiti cattolici, sono sbigottiti. Ma sbigottiti sono anche gli studenti che si sono visti raddoppiare la tassa d'iscrizione. Questo è il fiammifero che accende le polveri. Leader degli studenti milanesi e' MARIO CAPANNA, il tribuno piu' ascoltato, sempre in prima fila a prendere manganellate; che subirà in seguito arresti, condanne e il carcere.
Il rettore non perde tempo; non vuol fare occupare le Facoltà come a Trento e chiama subito la polizia per farla sgomberare e la chiude a tempo indeterminato. Ma alla Cattolica le cose non finiscono qui. Deve ancora iniziare il '68!
Nel frattempo a Trento seguita l'occupazione di Sociologia; gli studenti si sono letteralmente barricati nell'edificio che si trova sul lato destro della facciata principale del Duomo. E anche a Trento non finisce qui!
Altre manifestazioni studentesche si verificano nel capoluogo piemontese, dove venne occupata la sede delle Facoltà umanistiche dell'Università di Torino, che poi si estenderà alla Facoltà di architettura e proseguirà per tutto il mese di dicembre, quando il 27 la polizia la farà sgomberare, portando via di peso gli studenti.
Tutti i partiti di ogni schieramento furono presi alla sprovvista, per incapacità alcuni, per ignorante immobilismo altri. Non si riuscì neppure a trovare una coesione nelle forze democratiche, progressiste, né un'apertura verso ideologie meno oltranziste nei rispettivi gruppi.
Fra gli scontenti alcuni rientrano nel loro privato e nell'ombra, altri ottengono qualcosa utile solo a loro, e altri ancora presero alcune strade mettendosi “contro il mondo intero”. Questi ultimi, fatta la “prova generale”, scoprirono che stavano mettendo paura al Sistema, che lo si poteva abbattere e che era giunto il momento di farlo.
Con questo clima si chiude il ’67 e da questa generazione dell'era atomica, in America, in Giappone, in Europa, nei Paesi dell'Est come in Polonia, quindi in Italia, irrompe il 1968.
Il 15 GENNAIO 1968 gli studenti della facoltà di medicina dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma aprono le contestazioni.
Un centinaio di giovani restano seduti per cinque ore sul selciato di piazza San Pietro, distribuendo manifesti e ciclostilati ai passanti. La manifestazione si svolge in silenzio e senza incidenti. Fra i dimostranti c'è anche MARIO CAPANNA, uno degli studenti espulsi dalla Cattolica di Milano. Alcuni cartelli chiedevano “un vero dialogo all'interno dell'università”, altri citano il concilio ecumenico e uno afferma “Dio ci ha dato la libertà, la Cattolica ce l'ha tolta”.
Il 20 GENNAIO, a Pisa, si comincia con i tafferugli tra la polizia e gruppi di studenti che sfilavano in corteo per le vie del centro.
Quindi scattano le prime occupazioni delle università: a Torino, Milano, Firenze, Padova, Pisa, Trento, Pavia, Bologna, Modena, Trieste, Roma, Napoli, Messina, Palermo, Catania e tante altre ancora.
Ma in Febbraio la situazione inizia a degenerare culminando il 1 Marzo nella cosiddetta “Battaglia di Valle Giulia”.
Siamo all'apice della contestazione studentesca e siamo anche a una vera e propria guerriglia urbana. L'intera cittadella universitaria a Villa Borghese (Roma) è ormai occupata da più di un mese, ma dentro non si sta con le mani in mano; con l'appoggio di alcuni professori più progressisti, sono iniziati corsi autogestiti, seminari, sperimentazioni e anche esami di gruppo. Ma indubbiamente alcuni professori di vecchio stampo e con tanto prestigio accademico sulle spalle inorridiscono nel vedere la “loro” Università in tale stato, quindi convincono il Rettore D'Avack a chiamare la polizia per farla sgomberare. Le forze dell'ordine, accorse con grande spiegamento di uomini e mezzi, prendendo a randellate gli occupanti riescono a buttarli tutti fuori e a sgomberare gli edifici.
Ma gli studenti dispersi non si arrendono. Per tutta la notte, in piazza di Spagna, si organizzano, decisi a dare l'assalto alla Facoltà di Architettura interamente presidiata come un fortino. A dividerli c'è soltanto la scalinata di Trinità dei Monti e le aiuole di Villa Borghese. Il mattino si decide l'assalto con la tecnica dei Vietcong.
Ogni aiuola e cespuglio diventa la postazione di un piccolo gruppetto per formare tante trappole lungo il percorso. I viali di Valle Giulia sono pieni di studenti, mentre le rampe di Via Gramsci sono zeppe di camionette e poliziotti. Un piccolo gruppo avrebbe affrontato i poliziotti dalla salita, poi avrebbe iniziato a indietreggiare nei viali per farsi inseguire e quindi li avrebbe fatti cadere nella trappole dove sarebbero stati poi picchiati dagli altri gruppi accorsi.
La polizia commette l'errore di inseguirli, e cade nelle trappole dove vengono bastonati a sangue. 150 i feriti nella polizia, circa 500 tra gli studenti, circa 300 i fermati, e diversi gli arrestati. Incendi di camionette, auto, lancio di lacrimogeni, spari di candelotti ed è un miracolo che non ci sia scappato il morto.
E in tutte le altre città le cose non andavano certo meglio. Nello stesso giorno ci furono altre occupazioni a Venezia, a Firenze, a Padova, a Sassari e a Palermo.
Il 5 Marzo a Milano viene occupato il Politecnico, la Facolta' di Fisica a Genova, Chimica a Bari, Lettere a Cagliari, Economia ad Ancona e Perugia.
Il 12 Marzo a Milano viene rioccupata la Cattolica e anche il suo Rettore commette l'errore di Roma: il giorno 25, dopo tredici giorni di occupazione, chiede l'intervento della polizia per farla sgomberare. Si scatena così il finimondo: guerriglia, barricate nelle strade, camionette incendiate, centinaia di feriti dai manganelli da una parte, e dalle spranghe dall'altra; cinquanta gli studenti denunciati fra cui il leader MARIO CAPANNA, che già era stato espulso dall'Università negli incidenti dell’anno passato.
La situazione peggiora di ora in ora e il 25 APRILE a Roma gli studenti mettono in allerta i servizi segreti americani. Non avvengono semplici manifestazioni e cortei contro la guerra in Vietnam, ma incendiato la sede della americana Boston Chemical, che produce il famigerato Napalm impiegato dagli Usa per carbonizzare interi villaggi vietnamiti.
La contestazione, a questo punto, comincia a cambiare i propri connotati e da “semplice” rivolta studentesca diventa un vero e proprio movimento di riforma sociale. L'1 Maggio gli studenti a migliaia, intervengono a fianco dei lavoratori, a piazza San Giovanni, a Roma, dove sta parlando un rappresentante della CGIL. Lo contestano apertamente, costringendolo a rinunciare al proprio discorso per non far degenerare quella che doveva essere una festa dei lavoratori e non la rivolta degli studenti.
Gli studenti iniziano a solidarizzare con gli operai.
Nel Luglio cominciano le agitazioni operaie: prima alla Montedison di Porto Marghera, poi è la volta della Pirelli di Settimo Torinese e ancora alla Pirelli di Milano. Le richieste vertono sul salario: abolizione delle aree salariali. Attivi sul campo ci sono anche esponenti di Potere Operaio, di Lotta Continua e di Avanguardia operaia, che iniziano a pubblicare gli omonimi giornali. Gli interventi sono tutti a carattere rivoluzionario: “Intervento di massa, contro lo stato, contro il padrone, contro il riformismo”.
Continuano intanto le manifestazioni studentesche, ma sono ormai migliaia gli studenti arrestati o denunciati, e centinaia sono già finiti in carcere.
Il 23 Novembre, a Torino, durante le manifestazioni gli operai sfilano per la prima volta accanto agli studenti. E’ una grossa novità che farà riflettere i sindacati e gli imprenditori; ma la classe politica anche questa volta sottovaluta gli avvenimenti e, come al solito, è più favorevole a misure repressive e all'immobilismo piuttosto che a dare risposte riformatrici.
E il 31 Dicembre si festeggia la fine del 1968.
E' stato l'anno della contestazione, e questa non poteva mancare fino all'ultimo minuto. Fino all'ultimo tocco, infatti, è accompagnato dai singolari "botti" dei candelotti lacrimogeni degli scontri fra polizia e studenti.
L'appuntamento degli studenti questa volta avviene in Versilia, al veglione dell'ultimo dell'anno, nel tempio della musica: alla Bussola di Marina di Pietrasanta. A operare è ancora una volta il gruppo pisano studentesco di Potere Operaio di Sofri, e a contestare dame e cavalieri si sono dati appuntamento gli studenti di diverse città italiane.
Dalle rivolte studentesche a quelle operaie
Se la protesta del '68 é la rivolta culturale degli studenti, nel '69 la bandiera della protesta é presa nelle mani della classe operaia.
Dalla contestazione studentesca, che fu inizialmente sottovalutata dai politici e dalla stampa, si passa repentinamente alla contestazione dei lavoratori. Prendono origine le agitazioni per il rinnovo di molti contratti di lavoro, per le gabbie salariali, per lo Statuto, per le pensioni, la scuola materna statale, la salute…. Al grido di "Potere Operaio" c'è la mobilitazione generale e il tentativo di occupazione delle aziende.
Le manifestazioni indette dai sindacati diventano delle vere e proprie rivolte dentro situazioni già esplosive, spesso create ad arte, ma gli operai otterranno, alla fine dell'anno, molti risultati: ci saranno aumenti salariali, l’abolizione delle “zone salariali”, interventi nel sociale, scala mobile sulle pensioni, scuola materna statale, minori ore lavorative, abolizioni dei cottimi, diritti di assemblea, consigli di fabbrica. E otterranno finalmente anche la promessa dello Statuto dei lavoratori. Le organizzazioni sindacali sono state capaci di riprendere in mano la situazione e hanno scoperto l'unità.
L’11 Dicembre viene approvato lo Statuto dei Lavoratori che tutela i diritti costituzionali dei lavoratori, la partecipazione democratica con le assemblee, e punisce chi viola la dignità e la libertà del lavoratore. Ma l’allegria generale viene presto stroncata da nuovi e preoccupanti avvenimenti: il 12 Dicembre scoppia una bomba alla Banca dell'Agricoltura di Milano a Piazza Fontana. La bomba, innescata con un timer dentro una cassetta di metallo messa poi dentro una cartella piazzata nel centro del salone affollato di clienti, uccide 16 persone e ne ferisce altre 90.
L'atto terroristico avviene alle 16,37. Un'altra valigetta con una carica inesplosa viene ritrovata alla Banca Commerciale di Piazza della Scala, mentre a Roma contemporaneamente una bomba scoppia alla Banca Nazionale del lavoro in via Veneto, provocando 16 feriti; un'altra sull'Altare della Patria, e un'altra ancora al Museo del Risorgimento. L'emozione, lo sdegno e l'angoscia attanaglia tutto il Paese. I colpevoli è facile trovarli o tra le file degli anarchici o in quelle dell'estrema sinistra, la più esposta, quella che da mesi incitava alla violenza, a prendere le armi, a fare sabotaggi e invitava agli scontri.
Secondo la tesi di vari gruppi di estrema sinistra, gli anarchici non c'entrano per nulla, ma sono alcuni apparati dello Stato di destra a guidare gli stragisti per scuotere la borghesia e provocare delle sterzate autoritarie.
Ma questo lo pensa anche la stessa destra. Al vertice degli organismi d'indagine viene anche il dubbio siano stati i ribelli di quella estrema destra impazzita, le irriducibile teste calde che giocavano con il fuoco. Per non far ricadere sulla destra le responsabilità vengono depistate le indagini per trovare dei colpevoli. Questi, prima, sono gli anarchici, poi si parla di sinistra, poi di estrema sinistra, dopo di servizi segreti italiani, di quelli russi, di americani, ma dopo trenta anni, arrivati al 2000, non si sa ancora nulla.
Negli esecutori ci potevano essere tutti: elementi di estrema destra, di estrema sinistra, maoisti, anarchici…
Il 15 Dicembre viene arrestato GIUSEPPE PINELLI, un ferroviere anarchico, con l'accusa di essere lui l'autore della strage. Con lui viene arrestato anche un altro anarchico PIETRO VALPREDA. Unico indizio per incolpare Pinelli è il fantomatico riconoscimento di un tassista che gli aveva dato un passaggio e che lo aveva atteso all'angolo.
In seguito Valpreda dopo tre anni di carcere, risulterà del tutto estraneo.
Il 16 Dicembre Pinelli, in circostanze che non sono mai state chiarite del tutto, cade dal quarto piano e si sfracella nel cortile interno della Questura, dove stava sostenendo un interrogatorio con il commissario LUIGI CALABRESE.
Il questore Guida precisa che la morte di Pinelli è stata un suicidio, dopo che erano state trovate prove schiaccianti contro di lui (che in seguito non furono mai dimostrate). Ma ciò fa nascere un forte sospetto che diventa un'aperta accusa fatta dagli ambienti dell'estrema sinistra e cioè che la morte di Pinelli non era un suicidio ma un assassinio di Stato per far ricadere la colpa sugli anarchici e quindi concludere in fretta le indagini che secondo alcuni invece dovevano essere indirizzate verso la destra. Insomma il responsabile della morte di Pinelli, viene indicato, dalla sinistra, nello stesso Calabresi.
Contro il funzionario si scatena tutta la stampa dell'estrema sinistra, e soprattutto quella di Lotta Continua di Sofri. Il giornale accusa il commissario Calabresi di avere ucciso Pinelli scaraventandolo dalla finestra e nell'agosto 1971, la Procura della Repubblica invia due avvisi di reato per la morte di Pinelli a Calabresi e al questore Allegra dell'ufficio politico della Questura di Milano e a tutti i presenti in quella famosa stanza durante l'interrogatorio dell'anarchico.
La campagna contro Calabresi diventa rovente, vengono fatte delle manifestazioni ostili, fino al momento in cui il 17 maggio 1972 il commissario verrà assassinato sull'uscio di casa.
Gli anni di piombo
Termina comunque un anno critico. Ma ne inizia un altro inquietante che purtroppo non sarà isolato; ne seguiranno e sempre in escalation altri dieci di anni: il decennio più oscuro d'Italia, quello degli “Anni di Piombo”. Il 9 AGOSTO 1970, dopo gli attentati di Milano, mentre gli italiani affollano i treni per le vacanze, otto ordigni scoppiano nei vagoni diretti a Venezia, nel Trentino, in Abruzzo, nel Napoletano. I feriti sono 12 ma il panico sui treni e nelle stazioni è angosciante. Nelle stazioni basta scoprire un pacco abbandonato e scatta la psicosi dell'attentato.
Gli anni seguenti continuano in questo clima inquietante: nel 1970 il terrorismo provoca 7 morti, nel ‘73 altri 40, nel 1974 c’è una seconda strage a piazza Della Loggia a Brescia, finché si arriva, nel 1975, al terrorismo diffuso, durante il quale cadono sotto il fuoco brigatista giornalisti, avvocati, giudici, politici…
I terroristi hanno alzato il mirino e si arriva all’apice di questo periodo (che poi segnerà anche l’inizio della sua decadenza) con il sequestro di Aldo Moro, il 16 Marzo 1978. Le Br hanno catturato l’uomo politico più importante del partito di maggioranza, ma non hanno le capacità di sfruttare a loro favore la situazione, anzi si compromettono definitivamente quando, il 9 maggio seguente, fanno rinvenire il corpo senza vita del capo della Dc.
Il rapimento Moro e il suo tragico epilogo
– 16 marzo 1978: alle 9,15 un commando di brigatisti rossi tendono un agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, presidente del Consiglio Nazionale della Dc, mentre va a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al quarto governo Andreotti. In pochi secondi i brigatisti uccidono i due carabinieri che accompagnano Moro e i tre poliziotti dell'auto di scorta. L'on. Moro viene caricato a forza su una Fiat 132 blu. Poco dopo, le Brigate rosse rivendicano l'azione con una telefonata all'Ansa. Alle 10 il Presidente della Camera Pietro Ingrao sospende la seduta e annuncia il rapimento di Moro. Alle 11,05, Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. Alle 12,46 riprendono i lavori alla Camera. Il quarto governo Andreotti ottiene la fiducia alle 20,35: la Dc vota a favore. Nella notte anche il Senato vota la fiducia.
– 18 marzo: una telefonata al “Messaggero” fa trovare il Comunicato n.1 delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l'inizio del suo “processo”.
– 19 marzo: dalla finestra dello studio privato, Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro.
– 20 marzo: al processo di Torino, il “nucleo storico” delle Br rivendica la responsabilità politica del rapimento.
– 21 marzo: il governo approva il decreto antiterrorismo.
– 23 marzo: il Pci approva la linea della “non trattativa”.
– 25 marzo: alle 16 a Torino, Roma, Milano e Genova le Br fanno trovare il Comunicato n.2: “Il processo continua”.
– 29 marzo: il Comunicato n.3 reca una copia della lettera al ministro dell'Interno Francesco Cossiga in cui Moro dice di trovarsi “sotto il dominio pieno e incontrollato dei terroristi” e accenna alla possibilita' di uno scambio. I brigatisti scrivono di averla resa nota perchè “nulla deve essere nascosto al popolo”.
– 30 marzo: la direzione Dc decide di respingere ogni trattativa.
– 2 aprile: nuovo appello, durante l'Angelus, di Paolo VI.
– 4 aprile: arriva il Comunicato n. 4, con copia della lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini.
– 6 aprile: le Br consegnano alla moglie di Moro una lettera in cui il presidente Dc la invita a far pressioni per aprire le trattative.
– 7 aprile: il “Giorno” pubblica una lettera di Eleonora Moro al marito in cui si dissocia dalla “linea dura” e fa capire di voler condurre una linea autonoma di comportamento. Zaccagnini in TV ribadisce: “nessuno scambio”.
– 10 aprile: le Br recapitano il Comunicato n.5 e una lettera di Moro al sen. Paolo Emilio Taviani, che contiene forti critiche sulla linea condotta.
– 15 aprile: il Comunicato n.6 annuncia la fine del “processo popolare” e la condanna a morte di Aldo Moro.
– 17 aprile: Amnesty International offre la sua mediazione. Il segretario dell'ONU Kurt Waldheim lancia il suo primo appello.
– 18 aprile: grazie ad un'infiltrazione d'acqua, polizia e carabinieri scoprono in un appartamento in via Gradoli 96 un covo delle Brigate Rosse. I brigatisti sono però assenti.
– 20 aprile: le Br fanno trovare il Comunicato n.7, a cui è allegata una foto di Moro ritratto con una copia di “Repubblica” del 19 aprile. Zaccagnini riceve una lettera in cui Moro lo rimprovera della sua “intransigenza”.
– 21 aprile: la direzione Dc ribadisce la “linea dura”, ma la famiglia Moro le chiede di accettare le condizioni delle Br. La direzione Psi, all'unanimità, è favorevole alla trattativa.
– 22 aprile: messaggio di Paolo VI agli “Uomini delle Brigate rosse” perché liberino Moro “senza condizioni”.
– 24 aprile: il Comunicato n.8 delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un'altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici.
– 25 aprile: nuovo appello di Kurt Waldheim alle Brigate rosse.
– 29 aprile: lettere di Moro sono recapitate al presidente della Repubblica Giovanni Leone, del Senato Amintore Fanfani, della Camera Ingrao, a Craxi, Piccoli, Pennacchini, Dell' Andro, Andreotti e Tullio Ancora.
– 30 aprile: Moretti telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, immediato e chiarificatore può salvare la vita del presidente Dc.
– 2 maggio: Craxi indica a Zaccagnini i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute.
– 5 maggio: Andreotti ripete il “no alle trattative”. Un'ora dopo arriva il Comunicato n. 9: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro e' stato condannato”. Ultima lettera di Moro alla moglie: “… mi hanno detto che tra poco mi uccideranno. Cara Norina, ti bacio per l'ultima volta”.
– 8 maggio: il presidente del Senato Fanfani viene incaricato di fare un discorso “aperto alla trattativa” durante la direzione Dc del 9 maggio.
– 9 maggio: in via Michelangelo Caetani (a metà strada tra la sede della Dc e quella del Pci), la polizia trova il corpo di Moro nel portabagagli di una Renault R4 rossa. Moro sarebbe stato ucciso da Moretti nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come “prigione del popolo”.
Si è scritto che dopo il '68 il mondo non fu più quello di prima. Non fu più uguale perchè si andò ben oltre la contestazione studentesca che viene sempre ricordata. E' un anno detonatore per tutto il mondo. Quando, dove e come partì la scintilla della rivolta studentesca nessuno lo sa. Forse partì nelle università americane quando iniziarono a reclutare per il Vietnam gli studenti universitari con i voti più scadenti (come se un voto basso affrancasse la morte in guerra). Forse in Francia a Nanterre. Forse a Roma.. Forse ad Atene. A Praga. A Tokio. In Brasile oppure in Messico, o forse a Pechino, dove non si andò tanto per il sottile e l'esercito affrontò gli studenti con i bazooka e i carri armati provocando stragi con centinaia. Il fenomeno fu planetario, al di fuori da ogni razionalità e da ogni studio psicologico, sociologico e politico. Accadde nei Paesi democratici, in quelli fascisti, in quelli comunisti…
Quel che è certo è che ogni rivolta fu guidata da capi intellettualmente freschi e provocatori dentro un contesto generazionale costituito da seguaci altrettanto freschi, come DANIEL COHN BENDIT in Francia, RUDI DUTSCHE in Germania, MARIO CAPANNA in Italia. Una contestazione giovanile che si propagò contagiando il pianeta e sembrò travolgere le vecchie strutture e i sistemi di pensiero acquisiti.
E' l'anno della “rottura”. Sta cambiando l'Italia e il suo modello di sviluppo, quello che si appoggia ancora in buona parte su una massa proletaria analfabeta, non concedendo aperture e riforme nemmeno davanti alle proteste, sta crollando.
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