Contro la filosfia della storia - Studentville

Contro la filosfia della storia

Il rifiuto di Weber.

Il rifiuto della filosofia della storia da parte di Weber può essere compreso più facilmente grazie a due sue osservazioni: 1) il problema del senso del mondo ò esclusivamente di tipo etico/religioso e non scientifico; 2) il progresso va inteso in senso puramente tecnico e non storico. Nel testo “Considerazioni intermedie della sociologia della religione” (1916), Weber definisce le religioni della redenzione in base al loro bisogno di dare un senso etico alla vita umana, con l’intento di risolvere due problemi: l’esistenza della sofferenza e la distribuzione diseguale della felicità  e della sofferenza. Per risolvere il primo problema, la religione si fa portatrice di premesse di salvezza, di una giustificazione in base al­la prospettiva di una redenzione nell’aldilà  o nel mondo stesso (per esempio, la reincarnazione per l’induismo). Per quanto riguarda il secondo problema, invece, la religione elabora una sorta di meccanismo di compensazione etica con il compito di riportare un’eguaglianza di trattamento fra gli uomini (chi ha sofferto di più in questa vita, sarà  più felice in un’altra). Si arriva cosi alla formulazione di teodicee, di giustificazioni del mondo in quanto creato da Dio; ma a prescindere dal tipo di teodicea, secondo Weber, vi ò sempre una netta contrapposizione con le spiegazioni che invece ne deducono le cause in termini scientifici. Purtroppo, l’intento della religione, elevatasi dallo stadio di pura magia, di razionalizzare eticamente, ossia di dare un senso al mondo e all’esistenza umana, si ò andato a scontrare ben presto con l’autonomia raggiunta dagli altri settori della vita (politica, economia. ecc. ), che spesso ha dato origine a comportamenti non eticamente e rigorosamente corretti. Questa tensione si manifesta soprattutto nel rapporto fra religione e sfera intellettuale, poichè, se nella magia sussisteva ancora un legame fra gli avvenimenti naturali e la vita dell’uomo, nella religione la strada di una razionalizzazione etica, per forza di cose, si scontra con la razionalizzazione intellettuale basata sulla conoscenza: infatti, laddove esiste una conoscenza di tipo empirico razionale vi ò la consapevolezza che il cambiamento del mondo ò un processo esclusivamente causale, completamente slegato quindi dalle concezioni religiose, Che postulano l’esistenza di un cosmo creato e ordinato da Dio, fornito per ciò di senso etico. Il sapere scientifico non riconosce alcun senso nel mondo e nei suoi avvenimenti, si propone soltanto di spiegare questi avvenimenti, di determinare relazioni causali sotto forma di leggi. E, quasi paradossalmente, la religione, che dapprima sente il bisogno di staccarsi dalla magia per un’esigenza di razionalizzazione, ora di fronte alla razionalizzazione operata dalla scienza, appare come sapere addirittura irr­azionale o anti-razionale. Il problema del senso del mondo assolutamente improponibile in termini scientifici, ò un discorso facilmente adattabile anche al processo storico. Nel saggio, metodologico “Il senso della avalutatività  delle scienze economiche e sociologiche” (1917), Weber affronta il problema della nozione di progresso: si può parlare legittimamente di progresso solo nel significato tecnico del termine. Si può parlare di progresso solo nell’uso di certi mezzi per la realizzazione di fini dati e non già  di progresso della storia (non si parla, ad esempio, di progresso dell’arte, ma di progresso nelle tecniche artistiche). Questa puntualizzazione del concetto di progresso può essere meglio spiegata grazie alla teoria del Politeismo dei valori: i valori e le sfere di valori non costituiscono un cosmo ordinato gerarchicamente, infatti, nell’ambito dell’agire personale orientato in senso etico, ci troviamo sempre a dover scegliere fra vari valori che fanno riferimnto o all’etica dell’intenzione o della coscienza, o all’etica della responsabilità . Di norma quindi si agisce seguendo uno di questi postulati: 1. il valore in sè dell’agire etico, il puro volere o l’intenzione, in qualunque modo lo si esprima, deve bastare alla sua giustificazione, proprio secondo la massima “il cristiano agisce bene e ne rimette a Dio la conseguenza”; 2 è indispensabile prendere in considerazione la responsabilità  della conseguenza dell’agire. Entrambi fanno riferimento a massime etiche che però sono in eterno contrasto fra di loro: da un lato il fine ò considerato come assoluto, dall’altro invece ò concepito in relazione ai mezzi e alle conseguenze della sua realizzazione. In questo consiste il Politeismo dei valori: tra i valori si tratta sempre non già  di semplici alternative, ma di una lotta senza possibilità  di conciliazione: tra di loro non ò possibile alcun compromesso. Dunque ò chiaro come in un mondo dominato da valori cosi contrastanti e inconciliabili si possa parlare esclusivamente di progresso tecnico, poichè non disponiamo di alcun criterio per dire che certi valori sono superiori ad altri, per sostenere che un certo modello di società  costituisce qualcosa di più avanzato, o di più arretrato, rispetto ad un altro modello di società . Queste riflessioni chiariscono il motivo per cui Weber rifiuta la filosofia della storia nelle sue diverse formulazioni. Infatti, il progetto di tale filosofia ò sempre stato quello di dare un senso globale al processo storico. Bene o male, ogni filosofia della storia si ò sempre proposta di individuare nel processo storico o la realizzazione di un progetto divino, o il progredire dello spirito o degli spiriti del popolo, o lo sviluppo dell’umanità  attraverso forme di produzione o stadi culturali via via superiori. In Weber non si trova, tuttavia, una critica sistematica della storia; vi ò invece il rifiuto di una concezione della storia intesa come sviluppo dell’idea, ossia come progredire dello spirito verso gradi sempre più alti di libertà  (vi ò il rifiuto del cosiddetto Emanatismo hegeliano: il processo storico ò considerato come l’emanazione di qualche principio infinito, di uno spirito del mondo); vi ò insomma il rifiuto di una filosofia della storia che pretende di dedurre il processo storico da leggi generali (vi ò una critica quindi allo hegelismo, alla concezione storica romantica, ma anche a quella del Positivismo e di Comte). In questo senso, Weber si colloca sulla scia di altri filosofi appartenenti allo Storicismo tedesco, che avevano già  avanzato una critica a tali concezioni, come, ad esempio, Dilthey che, nell’opera “Le scienze dello spirito” (1883), afferma 1’impossibilità  di una conoscenza del processo storico nella sua totalità . Le scienze dello spirito (psicologia, sociologia ecc. ) infatti, possono conoscere soltanto aspetti particolari del processo storico: la filosofia della storia ò un’eredità  teologica nata con Sant’Agostino, e che entra in crisi nel momento in cui cerca di staccarsi dai suoi presupposti teologici. Ma per Dilthey ò impossibile anche una scienza generale della società , così come si era proposta di essere quella positivistica di Comte. Anche Rickert si pone nella stessa ottica e propone la tesi dell’indeducibilità  degli avvenimenti da leggi naturali, che inserendosi in un sistema complesso di leggi, sono incapaci di spiegare gli eventi nella loro individualità  (come aveva già  sostenuto Windelband). Simmel, invece, si sofferma a criticare la stessa nozione di legge storica: ò possibile formulare in termini di legge solo il comportamento degli individui, che ò motivato psicologicamente, ma il modo in cui tali comportamenti si combinano dando luogo a processi storici sfugge alla possibilità  di essere ricondotto a leggi. Anche la metodologia weberiana delle scienze sociali ci spiega però come e perchè una filosofia della storia sia impossibile in linea di principio. I processi storici sono sempre il risultato di una costruzione concettuale operata dallo storico o dallo scienziato sociale sul dato empirico. Infatti, quella che Weber chiama relazione al valore, impone una scelta personale nella selezione del dato empirico, la cui analisi, di conseguenza, non potrà  mai essere universale e totale, perchè dettata da parametri differenti, che portano alla formazione di varie spiegazioni e interpretazioni. Risulta assurdo, quindi, pensare di poter determinare tutte le infinite cause che partecipano al verificarsi di un avvenimento. Weber critica anche il materialismo storico di Marx come concezione generale e particolare della storia in termini di sviluppo progressivo, pur riconoscendogli il merito di aver messo in luce l’importanza. del condizionamento di processi non economici da parte di processi economici. Il processo storico in sè, tuttavia, non può essere spiegato nè in termini razionali, nè irrazionali, poichè la razionalità  ò solamente una qualificazione che può essere data a certi comportamenti in base a determinati modelli. Oltretutto, per Weber non ò possibile nemmeno parlare di razionalità  in senso univoco, poichè esistono due tipi diversi di comportamento razionale: 1. il comportamento razionale rispetto allo scopo (fondamento della razionalità  materiale) 2. il comportamento razionale rispetto al valore (fondamento della razionalità  formale) Ma se la storia diventa razionale solo nel momento in cui può essere spiegata riconducendola a certi modelli di comportamento, viene a mancare qualsiasi fondamento di una filosofia della storia in termini universali. In Weber ò comunque presente una riflessione sulla storia, sviluppata in tre nuclei teorici. Il primo ò costituito dall’ interpretazione del mondo moderno in chiave di razionalità  formale: solamente in occidente per Weber si ò raggiunto uno stadio più elevato del processo di razionalizzazione, rappresentato dal razionalismo formale in cui vi è la graduale conquista dell’autonomia da parte di ogni sfera della vita: solo nel mondo occidentale moderno infatti ò nato il capitalismo come forma di razionalismo economico, guidato da quella particolare mentalità  che Weber definisce Spirito del capitalismo. Il secondo nucleo teorico ò rappresentato da un’analisi storico/comparativa fra i vari ambiti culturali: sulla base di un confronto fra le religioni universali e le loro rispettive etiche economiche, Weber cerca di spiegare in termini comparativi il modo con cui le grandi religioni hanno preso posizioni nei confronti del mondo economico e delle altre sfere della vita. Il terzo nucleo ò rappresentato dall’analisi del presente. La visione del presente in Weber ò tutt’altro che positiva: infatti, soffermandosi a considerare il suo tempo, si accorge di come l’impegno professionale sia diventato una dura necessità , una coercizione, slegato ormai dai valori puritani e calvinisti su cui si fondava, ma che ha abbandonato nel momento in cui il capitalismo moderno ò divenuto un meccanismo autonomo. Quasi paradossalmente, questa razionalizzazione, invece di rendere l’uomo più libero, l’ha posto sotto il dominio delle istituzioni. A seguito di questa osservazione, Weber sfata la rassicurante utopia marxiana, secondo la quale il progressivo sviluppo avrebbe portato alla liberazione dell’uomo, generando la società  comunista, senza dominio di classe.

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