Così parlò Zarathustra - Studentville

Così parlò Zarathustra

Commento dell'opera.

L’ idea di Così parlò Zarathustra Balenò a Nietzsche come una folgorazione nell’ agosto del 1881, in Engadina ( Svizzera ), ” 6000 piedi al di là  dell’ uomo e del tempo “. Essa coincise con il rivelarsi dell’ ” eterno ritorno “, una delle teorie più fortemente nietzschiane. Lo Zarathustra rielabora e ripresenta tutto ciò che Nietzsche era stato fino allora in una forma assolutamente nuova, e soprattutto in una forma incompatibile con i canoni della filosofia occidentale. ” Un libro per tutti e per nessuno ” è il sottotitolo di Così parlò Zarathustra: proprio perchò obbliga il pensiero a parlare immediatamente, fuori da ogni tecnicismo, in una forma poetica e profetica: tutti possono leggerlo, ma chi può capirne fino in fondo il significato? Probabilmente nessuno. Non a caso ogni volta che si apre questo libro carico di enigmi, esso appare sorprendente e diverso, quasi se non si esaurisse mai il suo significato. Nietzsche era consapevole di questa ambiguità  e di questa polisemia del suo libro, e in certo modo dell’ intera sua opera; in una lettera del 1884 scriveva: ” Chissà  quante generazioni dovranno trascorrere per produrre alcune persone che riescano a sentire dentro di sò ciò che ho fatto ! E anche allora mi terrorizza il pensiero di tutti coloro che, ingiustificatamente e del tutto impropriamente, si richiameranno alla mia autorità . Ma questo è il tormento di ogni grande maestro dell’ umanità : egli sa che, in date circostanze del tutto accidentali, può diventare con la stessa facilità  una sventura o una benedizione per l’ umanità  “. Così parlò Zarathustra ò l’opera che riassume il pensiero dell’ultima fase intellettuale di Nietzsche. L’opera ò scritta secondo un modello che richiama lo stile del Nuovo Testamento e questa scelta di stesura in forma profetica ci fa intuire come Nietzsche, da questo periodo della sua vita in poi, si senta investito di un compito epocale, una convinzione di dover provocare un mutamento radicale di civiltà , mutamento concepito in solitudine e in un totale isolamento intellettuale. In questa opera Nietzsche prende congedo dal moralista e dallo psicologo e prende i toni di un profeta e di un lirico. Negli scritti successivi tale rottura va perduta, ed anche il respiro profetico. L’esame del contenuto porta comunque a scoprire una continuità  di sviluppo: che Al di là  del bene del male abbia i medesimi contenuti di Così parlò Zarathustra lo dice Nietzsche stesso; che un’uguale tematica sia già  presente nella Gaia scienza ò facilmente dimostrabile da un’analisi dell’opera e dei relativi frammenti postumi. Ma i contenuti non sono l’essenziale per Nietzsche: in quest’opera ciò che conta ò il dettaglio, la singola visione, il tempo, il colore musicale, piuttosto che non i pensieri di fondo. Questo non inteso letterariamente (che sia essenziale la forma) ma filosoficamente. Piuttosto la forma ò rivelatrice di un tentativo particolare di comunicazione, dove ciò che importa ò anzitutto quello che vuol essere comunicato. Poesia e filosofia consistono in questo: rievocare, collegare (in un certo modo e in una certa forma) immagini, sentimenti e concetti preesistenti; e dove venga usato un linguaggio simbolico, alludere (attraverso una trasposizione immaginativa) a immagini, sentimenti e concetti già  costituiti. Ma quando questi manchino, ossia quando ciò che ò manifestato da un’espressione non sia esso stesso espressione, bensì una certa immediatezza di vita, fuori della rappresentazione e della coscienza, allora intervengono forme espressive analoghe a quelle di Così parlò Zarathustra. Questo libro sembra sorgere perciò dalla sfera delle espressioni primitive, ed ò arduo classificarlo come opera filosofica. Una filosofia ò di regola una manipolazione di concetti, i quali esprimono oggetti sensibili, mentre qui immagini e concetti non esprimono nè concetti nè cose concrete, sono simboli di qualcosa che non ha volto, sono espressioni nascenti. Così parlò Zarathustra ò “un libro per tutti”, ò stato un serio tentativo di portare la filosofia su un piano esoterico, strappandola al tecnicismo, all’isolamento di cerchie senza risonanza, alla derisione che viene riservata a un’arte pretenziosa fuori moda. E’ anche “un libro per nessuno”, una battaglia di vasta portata,: ma quello che sul fondo di essa vi ò di remoto, nascosto, inaccessibile, intorbida la chiarezza della comunicazione. La melanconia di Zarathustra, i suoi lunghi silenzi, i sogni orrendi, l’ora senza voce, alludono di continuo ad una natura precocemente armata contro la vita, esposta al contagio pessimistico. Ma non c’ò solo sensibilità , ma anche reattività , quella di un superuomo che declassa la ragione e afferma di nuovo la naturalità . Ma chi è Zarathustra, il folgorante profeta del superuomo, in fin dei conti? Egli è il ” senzadio ” per eccellenza, il sostenitore della teoria del superuomo e dell’ eterno ritorno; dopo essersi allontanato dalla sua città  che aveva 30 anni e dopo averne passati 10 sui monti, in un luogo ameno e isolato, in compagnia di se stesso e dei suoi amici animali, all’ età  di 40 anni sente il bisogno di tornare in mezzo agli uomini per metterli a conoscenza della teoria del superuomo, per insegnare loro ad apprezzare il mondo terreno per quello che è, senza vivere aspettando un presunto mondo ultraterreno che non può che non esserci: Giunto a trent’ anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese, e andò sui monti. Qui godette del suo spirito e della sua sua solitudine, nò per dieci anni se ne stancò. Alla fine si trasformò il suo cuore, – e un mattino egli si alzò insieme all’ aurora, si fece al cospetto del sole e così gli parlò: – “Astro possente ! Che sarebbe la tua felicità , se non avessi coloro ai quali tu risplendi ! Per dieci anni sei venuto quassù, alla mia caverna: sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto, senza di me, la mia aquila, il mio serpente. Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato dal tuo superfluo; di ciò ti abbiamo benedetto. Ecco ! La mia saggezza mi ha saturato fino al disgusto; come l’ ape che troppo miele ha raccolto, ho bisogno di mani che si protendano. Vorrei spartire i miei doni, finchò i saggi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza. Perciò devo scendere a giù in basso: come tu fai la sera, quando vai dietro al mare e porti la luce al mondo infero, o ricchissimo fra gli astri ! Anch’ io devo al pari di te, tramontare, come dicono gli uomini, ai quali voglio discendere. Benedicimi, occhio pacato, scevro d’ invidia anche tu alla vista di una felicità  troppo grande ! Benedici il calice, traboccante a far scorrere l’ acqua d’ oro, che ovunque porti il riflesso splendente della tua dolcezza ! Ecco ! Il calice vuol tornare vuoto, Zarathustra vuol tornare uomo”. Così cominciò il tramonto di Zarathustra. Zarathustra fa il suo arrivo in città  e al vedere una folla non può resistere: ecco allora che pronuncia la teoria del superuomo ( oltreuomo ), sostenendo che l’ uomo in sò non sia un punto di arrivo, ma di partenza per dare un qualcosa di più, il superuomo appunto; questi afferma la vita accettandone la sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l’accompagnano con gioioso (dionisiaco) amore per l’esistenza; ò un creatore di valori ed ò per questo privo di valori fissi e immutabili, al di là  del bene e del male, artefice di una “morale autonoma “. Ecco come Zarathustra arringa la folla: Giunto nella città  vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trovò radunata sul mercato una gran massa di popolo: era stata promessa infatti l’esibizione di un funambolo. E Zarathustra parlò così alla folla: Io vi insegno il superuomo. L’uomo ò qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sè: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo? Che cos’ò per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l’uomo ò più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio tra voi non ò altro che un’ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo ò il senso della terra. Dica la vostra volontà : sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio ò morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa ò oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra! In passato l’anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Ma questa anima era anch’essa macilenta, orrida e affamata: e crudeltà  era la voluttà  di questa anima! Ma anche voi, fratelli, ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dell’anima vostra? Non ò forse la vostra anima indigenza e feccia e miserabile benessere? Davvero, un fiume immondo ò l’uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senza diventare impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli ò il mare, nel quale si può inabissare il vostro grande disprezzo. Qual ò la massima esperienza che possiate vivere? L’ora del grande disprezzo. L’ ora in cui vi prenda lo schifo per la vostra felicità  e così pure per la vostra ragione e la vostra virtù. L’ ora in cui diciate: ” Che importa la mia felicità ? Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere. Ma la mia felicità  dovrebbe giustificare persino l’ esistenza ! ” L’ ora in cui diciate: ” Che importa la mia ragione ! Forse che essa anela al sapere come il leone al suo cibo? Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere “. L’ ora in cui diciate: ” Che importa la mia virtù ! Finora non mi ha mai reso furioso. Come sono stanco del mio bene e del mio male ! Tutto ciò è indigenza e feccia e benessere miserabile ! “. L’ ora in cui diciate: ” Che importa la mia giustizia ! Non mi vedo trasformato in brace ardente Ma il giusto è brace ardente ! “. L’ ora in cui diciate: ” Che importa la mia compassione ! Non è forse la compassione la croce cui viene inchiodato chi ama gli uomini? Ma la mia compassione non è crocefissione “. Avete già  parlato così? Avete mai gridato così? Ah, vi avessi già  udito gridare così ! Non il vostro peccato – la vostra accontentabilità  grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo! Ma dov’ò il fulmine che vi lambisca con la sua lingua! Dov’ò la demenza che dovrebbe esservi inoculata? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli ò quel fulmine e quella demenza! – Zarathustra aveva detto queste parole, quando uno della folla gridò: “Abbiamo sentito parlare anche troppo di questo funambolo; ò ora che ce lo facciate vedere!”. E la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, credendo che ciò fosse detto per lui, si mise all’opera. Zarathustra invece guardò meravigliato la folla. Poi parlò così: L’uomo ò un cavo teso tra la bestia e il superuomo, – un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo ò di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poichè essi sono una transizione. Io amo gli uomini del grande disprezzo, perchè essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all’altra riva. Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perchè un giorno la terra sia del superuomo. Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinchè un giorno viva il superuomo. E così egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che lavora e inventa, per costruire la casa al superuomo, e gli prepara la terra, l’animale e la pianta: giacchè così egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che ama la sua virtù: giacchè virtù ò volontà  di tramontare e una freccia anelante. Io amo colui che non serba per sò una goccia di spirito, bensì vuol essere in tutto e per tutto lo spirito della sua virtù: in questo modo egli passa, come spirito, al di là  del ponte. Io amo colui che della sua virtù fa un’ inclinazione e un destino funesto: così egli vuole vivere, e insieme non più vivere, per amore della sua virtù. Io amo colui che non vuole avere troppe virtù. Una virtù è più virtù di due, perchò essa è ancor più il cappio cui si annoda un destino funesto. Io amo colui l’ anima del quale si dissipa e non vuol essere ringraziato, nò dà  qualcosa in cambio: giacchò egli dona sempre e non vuol conservare se stesso. Io amo colui che si vergogna quando il lancio dei dadi riesce in suo favore e si domanda: son forse un baro? egli infatti vuole perire. Io amo colui che getta avanti alle proprie azioni parole auree e mantiene più di quanto prometta: egli infatti vuole il proprio tramonto. Io amo colui che giustifica gli uomini dell’ avvenire e redime quelli del passato: a causa degli uomini del presente egli infatti vuole perire. Io amo colui che castiga il suo dio perchò ama il suo dio: giacchò dovrà  perire per l’ ira del suo dio. Io amo colui l’anima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro di lui: tutte le cose divengono così il suo tramonto. Io amo colui che ò di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non ò altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall’oscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri periscono. Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo. E’ particolarmente forte e carica di significati la definizione di uomo come cavo teso tra bestia e superuomo: spetta a ciascuno di noi scegliere la parte verso la quale ” forzare “. Tuttavia la folla non apprezza le parole di Zarathustra, sentendosi incapace di dar vita al superuomo, e preferisce assistere allo spettacolo del funambolo, uno spettacolo che non mette in crisi le loro concezioni e non stravolge un mondo che a loro pareva consolidato, come invece fa Zarathustra. Ecco che il funambolo cammina sul filo teso tra due torri, un cavo teso proprio come è l’ uomo per Nietzsche; improvvisamente però egli precipita e si schianta al suolo: è il destino dell’ uomo dai bassi ideali, che si ostina a seguire la tradizione del bene e del male, senza lasciarsi ammaestrare dagli insegnamenti di Zarathustra: una volta precipitato, egli è ancora in vita, ma gli resta poco prima di morire: Zarathustra gli si avvicina incuriosita ed egli fa le sue ultime riflessioni prima della morte, cercando di immaginare, secondo la tradizione religiosa, che cosa gli toccherà  dopo la vita: sapevo da un pezzo che il diavolo mi avrebbe fatto lo sgambetto, egli dice a Zarathustra; ma questi gli spiega che non c’ è nessun aldilà , nessun ” mondo dietro al mondo “: Sul mio onore amico, rispose Zarathustra, le cose di cui parli non esistono: non c’ è il diavolo e nemmeno l’ inferno. La tua anima sarà  morta ancor prima del corpo: ormai non hai più nulla da temere !. Il funambolo, in fin di vita, accetta quanto Zarathustra gli dice e nell’ atto di esalare l’ anima cerca di protendere la sua mano verso quella di Zarathustra per ringraziarlo. Successivamente il saggio Zarathustra espone la grande teoria delle tre metamorfosi per diventare superuomini: attraverso le tre figure del cammello, leone, fanciullo Nietzsche riesce a spiegare il procedere umano verso la propria autoliberazione dagli idoli della superstizione e della colpa (religione e morale) verso l’innocenza dionisiaca del superuomo. Il cammello rappresenta l’uomo che teme e riverisce, che si piega davanti alla grandezza di Dio assumendo volontariamente su di sè i grandi tormenti del mondo. L’uomo poi diventa leone quando combatte contro la morale che gli ò stata imposta riconoscendo il suo stato di alienazione precedente. Ma il leone possiede una “libertà  da… ” e non una “libertà  di… ” e allora per dare nuove leggi il leone deve diventare fanciullo, che rappresenta l’innocenza. I motti sono “tu devi” per il cammello, “io voglio” per il leone e “io sono” per il fanciullo. Leggiamo l’ intero passo in cui è descritto il processo: Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo. Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, più difficili a portare. Che cosa ò gravoso? domanda lo spirito paziente – e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato. Qual ò la cosa più gravosa da portare, eroi? – così chiede lo spirito paziente, – affinchè io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza. Non ò forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza? Oppure ò: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore? Oppure ò: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità  soffrire la fame dell’anima? Oppure ò: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi? Oppure ò: scendere nell’acqua sporca, purchè sia l’acqua della verità , senza respingere rane fredde o caldi rospi? Oppure ò: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuol fare paura? Tutte queste cose, le più gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sè: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, così corre anche lui nel suo deserto. Ma là  dove il deserto ò più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà  ed essere signore nel proprio deserto. Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria. Chi ò il grande drago, che lo spirito non vuol più chiamare signore e dio? “Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”. “Tu devi” gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”. Valori millenari rilucono su queste squame e così parla il più possente dei draghi: “tutti i valori delle cose risplendono su di me”. “Tutti i valori sono già  stati creati, e io sono ogni valore creato. In verità  non ha da essere più alcun `àŒo voglio”!”. Così parla il drago. Fratelli, perchè il leone ò necessario allo spirito? Perchè non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed ò piena di venerazione? Creare valori nuovi – di ciò il leone non ò ancora capace: ma crearsi la libertà  per una nuova creazione – di questo ò capace la potenza del leone. Crearsi la libertà  e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, ò necessario il leone. Prendersi il diritto per valori nuovi – questo ò il più terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità  ò un depredare per lui e il compito di una bestia da preda. Un tempo egli amava come la cosa più sacra il “tu devi”: ora ò costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose più sacre, per predar via libertà  dal suo amore: per questa rapina occorre il leone. Ma ditemi, fratelli che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? perchè il leone rapace deve anche diventare un fanciullo? Innocenza ò il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì. Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo spirito vuole la sua volontà , il perduto per il mondo conquista per sè il suo mondo. Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo. Ma Zarathustra porta un insegnamento non coglibile da tutti, ma indirizzato a pochi, agli uomini superiori: “Ah fratelli, questo dio che creai era opera e follia umana, come tutti gli dei! Uomo era, e solo un povero frammento di uomo e di io: dalla mia cenere e dalla mia vampa venne a me, questo fantasma: E in verità  non mi venne dall’aldilà ! Ma che avvenne fratelli? Superai me stesso, me stesso sofferente, portai la mia cenere al monte, trovai per me una fiamma più limpida. Ed ecco! Il fantasma si allontanò da me!… Un nuovo orgoglio mi insegnò il mio io, e io lo insegno agli uomini: non nascondere più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portala libera e scoperta, una testa terrena che crea un senso alla terra…. Malati e moribondi erano quelli che disprezzavano corpo e terra e inventarono il cielo e le redentrici gocce di sangue. “; il messaggio di fondo è sempre lo stesso, mantenersi fedeli alla terra senza credere in un “mondo dietro il mondo”. Dall’ esperienza cittadina Zarathustra arriva a capire che gli uomini non riescono a comprendere fino in fondo le sue teorie, lo ritengono ancora qualcosa di mezzo tra un pagliaccio e un cadavere. D’ altronde Zarathustra, in seguito, dirà  per indurre gli uomini superiori a tenersi lontano dal ” volgo “: Voi, uomini superiori, imparate questo da me: sul mercato nessuno crede a uomini superiori. E, se volete parlare lì, sia pure ! Ma la plebe dirà  ammiccando: <>. Davanti a Dio ! Ma questo Dio è morto. Davanti alla plebe, però, noi non vogliamo essere uguali. Uomini superiori, fuggite il mercato !; è evidente che il popolo non vorrà  mai riconoscere l’ esistenza di uomini superiori ( superuomini ), un pò perchò legato alla tradizione cristiana che vuole gli uomini tutti uguali a Dio, un pò perchò, come Nietzsche dirà  in Umano, troppo umano si cerca l’ uguaglianza proprio perchò si ha timore di risultare inferiori nel confronto: si cerca cioò di tirare giù dal suo volo l’ uomo superiore, per riportarlo al livello degli altri uomini, a terra. Ecco allora che il principale nemico di Zarathustra diventa lo ” spirito di gravità  “, questa forza che attira ogni cosa verso terra, impedendo all’ uomo di elevarsi verso il cielo: Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare. E quando ho visto il mio demonio, l’ ho sempre trovato serio, radicale, profondo, solenne: era lo spirito di gravità , grazie a lui tutte le cose cadono. Non con la collera, col riso si uccide. Orsù, uccidiamo lo spirito di gravità . Ho imparato ad andare: da quel momento mi lascio correre. Ho imparato a volare: da quel momento non voglio più essere urtato per smuovermi. Adesso sono lieve, adesso io volo, adesso vedo al di sotto di me, adesso è un dio a danzare, se io danzo. Nietzsche dichiara guerra allo spirito di gravità  facendo dire a Zarathustra: Nutrito di cose innocenti, con poco, sempre pronto e impaziente di volare, di volar via, questa è la mia specie: come potrebbe non esservi qualcosa degli uccelli ! Tanto più che io sono nemico dello spirito di gravità , come lo sono gli uccelli: e ne sono nemico mortale, arcinemico, nemico da sempre ! [… ] Colui che un giorno insegnerà  il volo agli uomini, avrà  spostato tutte le pietre di confine; esse tutte voleranno in aria per lui, ed egli darà  un nuovo nome alla terra, battezzandola la leggera. Lo struzzo corre più veloce del più veloce dei cavalli, ma anche lui ficca ancora pesantemente la testa nella terra pesante: così pure l’ uomo, che ancora non sa volare. Pesante è per lui la terra e la vita; e così vuole che sia lo spirito di gravità  ! Ma chi vuol divenire leggero e un uccello, non può non amare se stesso: questo è il mio insegnamento. L’ uomo deve essere superato ripete incessantemente Zarathustra per tutta l’ opera, e il primo grande passo da fare per superarlo e lasciarsi alle spalle tutta la tradizione religiosa, più che mai quella cristiana col suo Dio nel quale è dichiarata inimicizia alla volontà  di vivere ( l’ Anticristo ), un Dio che limita la potenza umana; il vero Dio diventa l’ uomo, anzi, il superuomo: I fichi cadono dagli alberi, essi sono buoni e dolci; la loro rossa pelle si screpola, quando cadono. Io sono un vento del settentrione per fichi maturi. Così, simili a fichi, cadono a voi questi insegnamenti, amici miei: bevetene il succo, la loro dolce polpa ! Tutt’ intorno è autunno e cielo puro e pomeriggio. Guardate la pienezza intorno a noi ! Bello è guardare verso mari lontani, dalla sovrabbondanza. Un tempo nel guardare verso mari lontani si diceva Dio; ora però io vi ho insegnato a dire: superuomo. Dio è una supposizione; ma io voglio che il vostro supporre non si spinga oltre i confini della vostra volontà  creatrice. Forse che potreste creare un dio? Dunque non parlatemi di dòi ! Certo, voi potreste creare il superuomo. Forse non voi stessi, fratelli ! Ma potreste creare in voi i padri e gli antenati del superuomo: e questo sia il vostro creare migliore ! Dio è una supposizione: ma io voglio che il vostro supporre trovi i suoi confini entro ciò che è possibile pensare. Forse che potreste pensare un Dio? Ma ciò significhi per voi volontà  di verità : che tutto sia trasformato sì da poter essere pensato, visto e sentito dall’ uomo ! Voi dovete pensare fino in fondo i vostri sensi stessi ! E ciò che avete chiamato mondo, deve ancora essere da voi creato: esso deve diventare la vostra ragione, la vostra immagine, la vostra volontà , il vostro amore ! E in verità  per la vostra beatitudine, o voi che conoscete ! E come vorreste sopportare la vita senza questa speranza, voi che conoscete? Voi non dovreste essere generati nò nell’ incomprensibile nò nell’ irrazionale. Ma, affinchò vi apra tutto il mio cuore, amici: se vi fossero degli dòi, come potrei sopportare di non essere dio ! Dunque non vi sono dòi. Bene, ora ho tratto la conclusione; ora però essa trae me: dio è una supposizione: ma chi potrebbe bere tutto il tormento di questa supposizione senza morire? Deve essere tolta al creatore la sua fede e all’ aquila il suo librarsi in lontananze d’ aquila? Dio è un pensiero che rende storte tutte le cose dritte e fa girare tutto quanto è fermo. Come? Il tempo sarebbe abolito, e tutto ciò che è perituro sarebbe solo una menzogna? Pensare queste cose è vortice e vertigine per gambe umane, e vomito per lo stomaco: davvero, abbandonarsi a simili ipotesi io lo chiamo avere il male del capogiro. Io lo chiamo cattivo e ostile all’ uomo tutto questo insegnare l’ Uno e il Pieno e l’ Immoto e il Satollo e l’ Imperituro. Ogni Imperituro non è che un simbolo ! E i poeti mentono troppo. Invece i migliori simboli debbono parlare del tempo e del divenire: una lode essi debbono essere e una giustificazione di tutto quanto è perituro ! Creare, questa è la grande redenzione dalla sofferenza, e il divenire lieve della vita. Ma perchò vi sia colui che crea è necessaria molta sofferenza e molta trasformazione. Sì, molto amaro morire dev’ essere nella vostra vita, o voi che create ! Solo così siete coloro che difendono e giustificano ogni cosa peritura. Per essere il figlio di nuovo generato, colui che crea non può non voler essere anche la partoriente e non volere i dolori della partoriente. Davvero, attraverso cento anime io ho camminato la mia via e attraverso cento culle e dolori del parto. Molte volte ho già  preso congedo: io conosco gli ultimi istanti che spezzano il cuore. Ma così vuole la mia volontà  creatrice, il mio destino. O, se debbo parlarvi più sinceramente: proprio un tal destino vuole la mia volontà . Tutto quanto è sensibile soffre in me ed è in ceppi: ma il mio volere viene sempre a me come mio liberatore e apportatore di gioia. Volere libera: questa è la vera dottrina della volontà  e della libertà , così ve la insegna Zarathustra. Non più volere e non più valutare e non più creare ! Ah, rimanga sempre da me lontana questa grande stanchezza ! Anche nel conoscere io sento solo la mia volontà  che gode di generare e di divenire; e se nella mia conoscenza è innocenza, ciò accade perchò in essa è volontà  di generare. Via da Dio e dagli dòi mi ha allettato questa volontà : che cosa mai resterebbe da creare, se gli dòi esistessero ! Ma la mia ardente volontà  creatrice mi spinge sempre di nuovo verso l’ uomo; così il martello viene spinto verso la pietra. Ah, uomini, nella pietra è addormentata un’ immagine, l’ immagine delle mie immagini ! Ah, che essa debba dormire nella pietra più dura e più informe ! E ora il mio martello infuria crudelmente contro la sua prigione. Dalla pietra un polverio di frammenti: che mi importa? Io voglio compiere la mia opera: un’ ombra venne infatti a me, la più silenziosa e lieve di tutte le cose è venuta una volta da me ! La bellezza del superuomo venne a me come un’ ombra. Ah, fratelli ! Che mai possono importarmi ancora gli dòi !. Un ateismo radicale, che nasce dalla teoria secondo la quale Dio sarebbe morto: con il decadimento di tutti i valori, religiosi e non, è decaduto anche Dio stesso: Dio è morto; a causa della sua compassione per gli uomini è defunto Iddio. [… ] E’ già  da molto tempo che gli antichi dòi finirono: e, invero, ebbero una buona e lieta fine da dòi ! Essi non trovarono la morte nel crepuscolo, questa è la menzogna che si dice ! Piuttosto: essi risero una volta da morire, fino a uccidere se stessi ! Questo accadde, quando la più empia delle frasi fu pronunciata da un dio stesso, questa: Vi è un solo dio ! Non avrai altro dio accanto a me ! Un vecchio dio barbuto e burbero, un dio geloso trascese a questo modo: e allora tutti gli dòi risero e barcollarono sui loro seggi e gridarono: Ma non è proprio questa la divinità , che vi siano dòi ma non un dio? Chi ha orecchi intenda. Questo è un punto di partenza per il superuomo, il cui agire pare davvero illimitato ( neanche Dio può limitarlo, visto che è morto ): Morti sono tutti gli dòi: ora vogliamo che il superuomo viva. D’ altronde l’ uomo ha sempre vissuto nel timore di Dio e di un altro mondo, arrivando così a svalutare quello in cui trascorre la sua vita: ecco allora che è arrivato a vivere tristemente, nel timore di peccare e di commettere torto a Dio: ma da quando vi sono uomini, l’ uomo ha gioito troppo poco: solo questo, fratelli, è il nostro peccato originale !. Zarathustra, il senzadio, capisce che gli uomini comuni non fanno per lui, il loro carattere non si confa alle istanze della dottrina di cui si fa portavoce; soprattutto gli uomini che parlano ancora di bene e male ( come se esistessero ! ), quelli che sono per il ” volgo ” i buoni, che insegnano l’ uguaglianza: per Zarathustra essi sono tarantole: Ecco la tana della tarantola ! Vuoi vederla tu stesso? Qui pende la sua ragnatela: toccala, che frema. Eccola venire docilmente: benvenuta, tarantola ! Nero sta sul tuo dorso il tuo triangolo e distintivo; e io so anche che cosa si annida nella tua anima. Vendetta si annida nella tua anima: dove tu mordi, si forma una nera schianza; con la vendetta il tuo veleno fa venire le vertigini all’ anima ! Così io parlo per similitudine a voi, che fate venire le vertigini alle anime, voi predicatori dell’ uguaglianza ! Tarantole siete voi per me, e in segreto smaniose di vendetta !… così parla a me la giustizia: – gli uomini non sono uguali – E neppure devono diventarlo ! Che sarebbe il mio amore per il superuomo se io parlassi diversamente? Per mille ponti e sentieri devono sospingersi verso il futuro, e tra loro deve essere posta sempre più guerra e diseguaglianza: così mi fa parlare il mio grande amore !… Invero Zarathustra non è vento che ruoti vorticoso; e se anche è un danzatore, non sarà  mai un danzatore per morso di tarantola !; questi uomini sono tarantole che, come se in combutta con lo spirito di gravità , vogliono impedire al superuomo di emergere, di elevarsi al di sopra di tutto e di tutti, vogliono impedirgli di volare, ostinandosi a parlare di bene e di male, di uguaglianza e di solidarietà : Anche io ho imparato a fondo l’ arte di attendere, ma soltanto di attendere me stesso. E sopra ogni altra cosa ho imparato a stare e andare e camminare e saltare e arrampicarmi e danzare. Ma questa è la mia dottrina: chi vuole imparare un giorno a volare, deve prima di tutto imparare a stare e andare e camminare e arrampicarsi e danzare: il volo non si impara in volo ! Io ho imparato ad arrampicarmi con scale di corda fino a più di una finestra, a gamba lesta mi sono inerpicato su per alti alberi di nave: star seduto sugli alti alberi della nave della conoscenza, mi parve non piccola beatitudine, palpitare come le fiammelle su alti alberi di nave: una piccola luce, è vero, purtuttavia un grande conforto per naviganti e naufraghi sperduti ! Per vie di molte specie e in molti modi sono giunto alla mia verità ; non fu una sola scala, quella su cui salii per giungere alla vetta, dove il mio occhio dilaga nelle mie remote lontananze. E solo malvolentieri ho sempre chiesto le strade, ciò è sempre stato contrario al mio gusto ! Preferivo interrogare e tentare le strade da solo. Il mio cammino è sempre stato, in tutto e per tutto, un tentativo e un interrogativo; in verità  bisogna anche imparare a rispondere a questo interrogare ! Ma questo è il mio gusto: non un buon gusto, nò cattivo, bensì il mio gusto, di cui non mi vergogno più e che più non celo. <>, così rispondo a quelli che da me vogliono sapere la strada. Questa strada, infatti, non esiste !; ma quella di Zarathustra non è una semplice presa di posizione contro il volgo, che gli si è dimostrato nemico: lui ha provato a propugnare presso il popolo le sue teorie dell’ oltreuomo e della morte di Dio, ma esso non le ha accettate: Chi presso gli uomini tutto volesse comprendere, dovrebbe toccare tutto. Ma le mie mani sono troppo pulite per farlo. Già  non sopporto di respirare il loro respiro; ahimò, aver dovuto vivere così a lungo in mezzo al loro strepito e al loro alito cattivo ! Oh silenzio beato intorno a me ! Oh puri aromi ! Oh come questo silenzio attinge il suo puro respiro dalle profonde cavità  del petto ! Oh, come sta in ascolto, questo silenzio beato ! Ma laggiù in basso, là  tutti parlano e nessuno presta attenzione. Anche a divulgare la saggezza propria con squillo di campane: ai mercanti sul mercato basterà  far tintinnare pochi soldi, per sovrastarne il suono ! Tutti parlano presso di loro, nessuno è più capace di intendere. Tutto va a finire nell’ acqua, nulla più in profonde sorgenti. Tutti parlano presso di loro, ma nulla riesce più e giunge alla fine. Tutti starnazzano, ma chi ha voglia di rimanere in silenzio sul suo nido a covar l’ uova? Tutti presso di loro parlano, e tutto viene logorato a forza di parole. E ciò che ieri era troppo duro perfino per il tempo e per la sua zanna: oggi penzola rosicchiato a brandelli dal muso degli uomini d’ oggi. Tutti presso di loro parlano, e tutto viene messo in piazza. E ciò che un tempo si chiamò segreto e intimità  di anime profonde, oggi viene strombazzato per le strade da ogni genere di schiamazzatori. O natura dell’ uomo, bizzarra natura ! Strepito per vicoli bui ! Or sei di nuovo dietro di me: il più grande dei miei pericoli è dietro di me ! Il più grande dei miei pericoli fu sempre quello di risparmiare gli altri e di averne compassione; e ogni natura umana vuol essere risparmiata e sopportata. Con verità  rattenute, con una mano folle e un cuore infatuato e ricco di piccole bugie compassionevoli: così ho sempre vissuto tra gli uomini. Ho seduto tra loro travestito, disposto a misconoscere me stesso, per poter sopportare loro, e ripetendo sempre a me stesso: folle, tu non conosci gli uomini ! Si disimpara a conoscere gli uomini, se si vive tra gli uomini: troppo in tutti gli uomini è solo facciata, a che servono tra loro occhi che mirano e che cercano nella lontananza ! E quando disconoscevano me: io, pazzo, proprio per questo avevo più riguardi per loro che per me: avvezzo alla durezza verso me stesso, e spesso vendicando su me stesso la mia clemenza. Punzecchiato da mosche velenose e scavato, come una pietra, da molte gocce di perfidia, così sedevo in mezzo a loro e per di più cercavo di convincermi: i piccoli non hanno colpa della loro piccolezza ! Specialmente quelli che si dicono buoni trovai che erano le più velenose delle mosche: essi punzecchiano in piena innocenza, essi mentono in perfetta innocenza: e come potrebbero essere giusti verso di me ! Chi vive in mezzo ai buoni, la compassione gli insegna a mentire. La compassione rende l’ aria intanfita in tutte le anime libere. La scempiaggine dei buoni, infatti, è senza fondo. Nascondere me stesso e la mia ricchezza, questo ho imparato laggiù in basso: perchò non ne trovai uno che non fosse povero di spirito. Questa fu la menzogna della mia compassione: tutti li conoscevo, per ognuno la mia vista e il mio olfatto mi dicevano che cosa per lui fosse spirito a sufficienza e che cosa troppo spirito ! I loro saggi legnosi io li chiamavo saggi e non di legno, così imparai a ingozzare le parole. Zarathustra ha provato con entusiasmo a far passare le sue teorie, ma ha capito che l’ uomo è difficile da scoprire, ed egli è per se stesso la più difficile delle scoperte. D’ altronde l’ idea di un uomo superiore agli altri, come detto, non può che trovare opposizione presso il popolo: non è facile il superuomo, il capire che come uomini non si è un fine ma solo un mezzo per il superuomo, un ponte: Vi sono vie e maniere di molte specie che portano al superamento: ma qui, vedi tu ! Solo un pagliaccio può pensare: <>. Supera te stesso anche nel tuo prossimo: e un diritto che puoi togliere in prede, non devi lasciartelo dare ! Ciò che tu fai, nessuno può rifartelo a sua volta. Vedi, non esiste remunerazione. Chi non è capace di comandare a se stesso, ha da obbedire. E vi sono certi che sanno comandare a se stessi, ma molto ci manca a che sappiano anche obbedire a se stessi !. Zarathustra decide così di tenersi distante dal popolo e di allontanarsi dalla città  a lui cara, ” Vacca Pezzata “, per far ritorno sulla montagna alla sua caverna: tuttavia il suo permanere presso gli uomini non è stato vano; certo, ha capito che essi preferiscono forzare dalla parte delle bestie piuttosto che verso quella del superuomo, si è accorto che un superuomo non c’ è ancora stato ( Ancora non è esistito un superuomo. Io li ho visti tutti e due nudi, l’ uomo più grande e il più meschino. Sono ancora troppo simili l’ uno all’ altro. In verità  anche il più grande io l’ ho trovato troppo umano ! ), ma tuttavia è arrivato a scoprire che in ogni uomo è insita la volontà  di potenza, ogni azione è motivata dal cercare di aumentare il proprio potere: Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà  di potenza; e anche nella volontà  di colui che serve ho trovato la volontà  di essere padrone. Il debole è indotto dalla sua volontà  a servire il forte, volendo egli dominare su ciò che è ancora più debole: a questo piacere, però, non sa rinunciare. E come il piccolo si dà  al grande, per avere diletto e potenza sull’ ancora più piccolo: così anche ciò che è più grande dà  se stesso e, per amore della potenza, mette a repentaglio la sua vita. Ma Zarathustra è il grande distruttore della morale classica, imposta dal razionalismo socratico: la più grande liberazione deve però riguardare l’idea cristiana della morte, idea strutturata secondo il modello cristiano – borghese di dominio. La paura della morte ò la paura della sanzione finale dell’insensatezza dell’esistenza: Molti muoiono troppo tardi, e alcuni muoiono troppo presto. Suona ancora strano l’insegnamento: “muori al momento giusto!”. Muori al momento giusto: questo insegna Zarathustra. In verità , chi non vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Bisognerebbe che non fosse mai nato! Questo consiglio ai superflui. Zarathustra dunque ritorna sulla sua montagna arricchito di nuove esperienze, ha una conoscenza più profonda dell’ uomo di quanto non avesse prima. Ecco che Zarathustra matura la teoria dell’ eterno ritorno: Coraggio ò la mazza più micidiale: il coraggio ammazza anche la compassione. Ma la compassione ò l’abisso più fondo: quanto l’uomo affonda la sua vista nella vita, altrettanto l’affonda nel dolore. Coraggio ò però la mazza più micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perchè dice: “Questo fu la vita? Orsù! Da capo!”. Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi, intenda. “Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte son io: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo – tu non potresti sopportarlo!”. Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia. “Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità . E quella lunga via fuori della porta e in avanti – ò un’altra eternità . Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: “attimo”. Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno? “. “Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità  ò ricurva, il tempo stesso ò un circolo”. “Tu, spirito di gravità ! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato – e sono io che ti ho portato in alto! Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi ò un’eternità . Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà  forse avere già  percorso una volta questa via? Non dovrà  ognuna delle cose che possono accadere, già  essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto ò già  esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già  stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra in modo tale che questo attimo trae dietro di sè tutte le cose avvenire? Dunque – anche se stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori – deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti – non dobbiamo tutti esserci stati un’altra volta? e ritornare a camminare in quell’altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno? “. ; ma il superuomo non può che apprezzare l’eternità , l’eterno ritorno, perchè ò un rinnovarsi continuo della sua volontà  di potenza e del suo dominio sul mondo: un dominio che dovrà  ritornare all’infinito, per l’eternità : ed ò questo l’ “amor fati” che proclama Zarathustra, l’amore per l’eterno ritorno delle cose; egli continua a ripetere “ti amo eternità ! una volta abbandonata definitivamente la città  e il mercato, Zarathustra dialoga a riguardo della dottrina dell’ eterno ritorno con i suoi stessi animali, che, a differenza del volgo, lo ascoltano entusiasti, quasi come a dire che essi sono superiori perchò in fondo l’ uomo è il più crudele degli animali: ecco che io muoio e scompaio, diresti, e in un attimo sono un nulla. Le anime sono mortali come i corpi. Ma il nodo di cause, nel quale io sono intrecciato, torna di nuovo, esso mi creerà  di nuovo ! Io stesso appartengo alle cause dell’ eterno ritorno. Io torno di nuovo, con questo sole, con questa terra, con quest’ aquila, con questo serpente, non a nuova vita o a vita migliore o a una vita simile: io torno eternamente a questa stessa identica vita. Zarathustra narra di una passeggiata su un impervio sentiero di montagna, in cui lo segue lo spirito di gravità , metà  talpa, metà  nano, metà  storpio, il suo demonio e nemico capitale, il quale gli canta una sorta di ritornello che contiene una versione da nani dell’ eterno ritorno: O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu, pietra filosofale ! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve cadere ! [ A un certo punto si trovano di fronte ad una porta carraia ]. <>. <>. Tu, spirito di gravità  !, dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera !. Sulla sua montagna Zarathustra ritrova la pace: ma essa viene improvvisamente sconvolta da un grido d’aiuto lanciato dalla foresta: è l’umanità  che ha bisogno di Zarathustra e dei seuoi insegnamenti. Ecco allora che il vecchio senzadio non esita a scendere dal monte e si lancia alla ricerca di chi ha emesso l’urlo per potergli prestare soccorso: si imbatte in un indovino già  incontrato anni addietro e poi in una coppia di re: anch’essi, come Zarathustra, sono alla disperata ricerca di un uomo superiore, nauseati dalla volgare società  comune. Con Zarathustra condividono l’ideale che l’uomo più elevato sulla terra deve anche essere il signore di tutti. Non vi è nel destino dell’uomo sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Proseguendo la sua ricerca, Zarathustra si imbatte in un ferito che, dopo l’incertezza iniziale, si rivela onorato di essere al cospetto del celebre senzadio: dopo averlo aiutato e rincuorato, Zarathustra, tipico eroe romantico che non trova pace, non demorde nella sua ricerca e incontra un mago che gli si rivolge con una sfilza di ritornelli magici e di filastrocche: anch’egli comunque nutre grande rispetto nei confronti del celebre vegliardo ed è pronto a seguire i suoi preziosi insegnamenti. Ma probabilmente il punto culminante nei vari incontri di Zarathustra è quello con il vecchio papa: il vecchio senzadio gli domanda se è vero, come si dice, che Dio è morto: il vecchio papa annuisce. Dio è morto per colpa degli uomini? No di certo: che colpe può avere l’uomo verso Dio? E’ Dio stesso che l’ha creato e deve risponderne! Se la colpa era dei nostri orecchi, perchò ci dette degli orecchi che lo udivano male? domanda Zarathustra con insistenza. Fu il buon gusto alla fine che portò l’uomo a dire: Basta con un Dio così!Meglio nessun Dio, meglio costruirsi il destino con le proprie mani, meglio essere un folle, meglio essere noi stessi Dio!. Dopo essersi in seguito imbattuto nell’uomo più brutto del mondo, nel mendicante volontario, e perfino nella sua stessa ombra, Zarathustra rincasa: alla fine egli invita nella sua caverna tutti i personaggi che ha incontrato ed essi accettano l’invito con gioia. A questo punto ciascuno di loro apprende finalmente che cosa significhi vivere, senza il timore di Dio o di forze soprannaturali e quello che sembra apprezzare maggiormente è l’uomo più brutto: Io sono per la prima volta felice di aver vissuto tutta quanta la mia vita. E l’attestare questo non mi basta ancora. Vale la pena di vivere sulla terra. Occorre imparare ad apprezzare il nostro mondo, senza speranze in una vita ultraterrena!

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  • Filosofia - 1800

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