Il trattato di Versailles, firmata all’indomani della fine del primo conflitto mondiale, non aveva dato all’Italia tutto ciò che le era stato promesso da Francia e Gran Bretagna nel Trattato di Londra (mancava, infatti, la città di Fiume). Si cominciò a parlare di “vittoria mutilata” e Vittorio Emanuele Orlando, colpevole di non essere riuscito ad ottenere quanto promesso, fu costretto a dimettersi.
Il suo successore fu Francesco Saverio Nitti che chiese l’aiuto dei popolari e dei socialisti per affrontare le difficoltà del Dopoguerra. Nitti riuscì a tenere sotto controllo la situazione di Fiume, che era stata occupata da un gruppo di militari italiani guidati da D’Annunzio, ma non riuscì a vincere le elezioni del 1920 e fu costretto a dare le dimissioni.
Seguì l’ultimo governo Giolitti, che fronteggiò le rivolte degli operai delle fabbriche e pose definitivamente fine alla questione fiumana con la firma del Trattato di Rapallo. In questo periodo, però, iniziò ad affacciarsi sulla scena della politica italiana il partito fascista guidato da Mussolini. Nel 1922 il Fascismo aveva ottenuto già grandi adesioni e Mussolini voleva raggiungere il potere servendosi delle sue squadre che seminavano terrore ovunque. Il debole governo Facta rimase impotente di fronte alla violenza fascista e, in seguito alla marcia su Roma, voleva dichiarare lo stato d’assedio. Il re Vittorio Emanuele III, però, rifiutò di firmare il decreto e diede a Mussolini il compito di formare il governo.
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