Per Crispi, un modello da imitare era Bismark: egli ai valori risorgimentali aggiunge il conservatorismo e il nazionalismo. I punti cardine della sua riforma furono la nascita del nuovo Codice Penale e l'abolizione della pena di morte. Tra le varie riforme che fece, sono da ricordare:
– La nuova legge comunale e provinciale, che comprendeva l'elettività del sindaco.
– Il nuovo codice penale che prevedeva l'abolizione della pena di morte e maggiori garanzie per i lavoratori (libertà di associazione, pensiero, sciopero).
– L'inasprimento dei rapporti con la Chiesa e il conflitto doganale con la Francia.
– Per tentare di risolvere i problemi relativi alla povertà nel Mezzogiorno, riprese l'attività coloniale e firma il trattato di Uccialli con Menelik, in base al quale era riconosciuto il controllo italiano in Eritrea ed un ambiguo protettorato sull'Etiopia.
A causa della crisi economica cadde Crispi e salì Giolitti (1892).
A sud intanto, presero corpo i fasci dei lavoratori, che chiedevano un contratto di lavoro e una soluzione riguardante la questione dello zolfo siciliano, invenduto appannaggio di quello americano. Giolitti non intervenne, neanche quando la situazione degenerò in guerriglia.
A contribuire al suo declino sopraggiunse lo scandalo della Banca Romana, anche se in realtà anche Crispi ne fu colpevole. Travolto dallo scandalo, Giolitti si dimise e nel frattempo nasceva la Banca d'Italia.
Crispi tornò al governo con fare autoritario: represse nel sangue rivolte in Sicilia, tolse il diritto di voto a 800.000 persone e si attirò perplessità sul suo operato.
L'ambiguità del trattato con Menelik fece scoppiare una guerra che si concluse con la disfatta italiana ad Adua, nel 1896, e con le dimissioni di Crispi.
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