Tanto gentile e tanto onesta pare: parafrasi e analisi - StudentVille

Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri

Analisi del testo di Tanto Gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri.
Analisi del testo di Tanto Gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri.

Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri

Analisi del Testo

Il sonetto “Tanto Gentile e Tanto Onesta Pare” si trova nel capitolo XXVI della Vita Nuova, ed è preceduto da una prosa introduttiva. Dopo la guarigione Dante rivede Beatrice, e si sente nuovamente spinto a comporre versi in suo onore. In questa introduzione il poeta racconta che Beatrice godeva di grande favore e venerazione tra la gente, e quando si avvicinava a qualcuno, questo aveva talmente tanto rispetto che non osava sollevare lo sguardo su di lei.
Beatrice non si insuperbiva di tutte queste lodi, e mentre camminava molti dicevano che era una creatura meravigliosa e benedicevano il Signore.
Ella si mostrava talmente gentile che coloro che la guardavano sentivano una dolcezza pura che non potevano descrivere a parole. Nessuno poteva guardarla senza sospirare, poiché si sentiva indegno di guardarla e nell’ammirarla desiderava avere una vita più virtuosa e pura. Per questi meravigliosi effetti prodotti da Beatrice con le sue virtù, Dante si decise a riprendere la poesia in sua lode, in modo che anche chi non aveva avuto la fortuna di conoscerla, sapesse quello che le parole umane non erano in grado di far intendere. Dunque compose questo sonetto, in cui descrive le straordinarie conseguenze che la bellezza di Beatrice produceva in chi la vedeva.
Beatrice è distinta e virtuosa, tanto che, quando ella saluta qualcuno, costui ammutolisce e non osa guardarla. Ella passeggia con modi affabili pur sentendosi lodare, e sembra una creatura discesa dal cielo sulla Terra. Attraverso gli occhi suscita nel cuore una tale dolcezza che chi non l’ha mai provata non può comprendere; dal suo volto emana un piacevole fascino amoroso che spinge l’anima di chi guarda a sospirare, ad amareggiarsi a causa della sua imperfezione e a desiderare una vita più onesta. Sia la prosa sia il sonetto esaltano perfettamente l’ideale femminile, che Dante ha rimaneggiato partendo dallo “stil novo”. Tra la prosa e la poesia vi è una stretta simmetria, ma la poesia esprime i concetti in modo più chiaro ed essenziale.
Il verbo “pare” è la parola chiave e l’impalcatura del sonetto, presente nelle strofe I, II, IV. Nella III strofa abbiamo un suo verbo corrispondente, “mostrasi”. Quindi i quattro periodi che compongono il discorso poetico hanno al centro l’idea del “parere”. Il verbo più che “sembrare”, vuole dare l’idea dell’”apparire”, come a specificare il carattere di apparizione prodigiosa di cui gode la figura femminile. Dopo l’apparizione avviene una sorta di contemplazione estatica, manifestata da un verso che possiede lentezza di ritmo, e che dà l’idea di una contemplazione perplessa.
Producono lentezza i numerosi accenti ritmici presenti in molti versi, e non le pause, che renderebbero spezzato il verso.

Descrizione di Beatrice:

Non si raffigura uno sfondo reale, e Beatrice non viene descritta nel suo aspetto fisico. Nessuno dei nomi adoperati infatti si riferisce alla realtà fisica (“occhi”, “umiltà”, “cielo”, “miracol”), e anche quelli che posso sembrare più concreti prendono un significato unicamente spirituale.
C’è una netta prevalenza di verbi, soprattutto nei punti di forza, tra le parole in rima e ad inizio verso: “si va” (v.5), “e par” (v.7). Dato che il verbo indica azione, tanti verbi (ventidue in tutto), dovrebbero conferire dinamicità al sonetto, e ciò sarebbe in contrasto con l’estasi che produce la presenza della donna. Il movimento, in realtà, nella poesia è dato solamente da “si va”; gli altri sono allegorici (“venuta dal cielo in terra”), o hanno un significato spirituale (“sospira”). Dunque il fitto numero di verbi, non dà dinamicità ai versi, ma collabora, insieme ai sostantivi, a rendere immateriale l’immagine, a renderla astratta, ricca di contenuti trascendenti.

I concetti espressi nel sonetto non sono nuovi: appaiono qua e là nelle rime dei poeti tardo-provenzali e in quelle dei poeti siciliani, del Guinizzelli e del Cavalcanti.
Ma Dante li fonde in una straordinaria sintesi, riuscendo, con la delicatezza dei suoni e delle immagini, a presentare Beatrice come una creatura soprannaturale e insieme sensibile e concreta.

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