Seneca, De Brevitate Vitae, 3: testo originale in latino
Omnia licet quae umquam ingenia fulserunt in hoc unum consentiant, numquam satis hanc humanarum mentium
caliginem mirabuntur: praedia sua occupari a nullo patiuntur et, si exigua contentio est de modo finium, ad lapides et arma
discurrunt; in vitam suam incedere alios sinunt, immo vero ipsi etiam possessores eius futuros inducunt; nemo inuenitur qui
pecuniam suam diuidere uelit, uitam unusquisque quam multis distribuit! Adstricti sunt in continendo patrimonio, simul ad
iacturam temporis uentum est, profusissimi in eo cuius unius honesta auaritia est. Libet itaque ex seniorum turba comprendere
aliquem: “Pervenisse te ad ultimum aetatis humanae uidemus, centesimus tibi uel supra premitur annus: agedum, ad computationem
aetatem tuam reuoca. Duc quantum ex isto tempore creditor, quantum amica, quantum rex, quantum cliens abstulerit, quantum lis
uxoria, quantum servorum coercitio, quantum officiosa per urbem discursatio; adice morbos quos manu fecimus, adice quod et sine
usu iacuit: videbis te pauciores annos habere quam numeras. Repete memoria tecum quando certus consilii fueris, quotus quisque
dies ut destinaueras recesserit, quando tibi usus tui fuerit, quando in statu suo uultus, quando animus intrepidus, quid tibi
in tam longo aeuo facti operis sit, quam multi uitam tuam diripuerint te non sentiente quid perderes, quantum vanus dolor,
stulta laetitia, auida cupiditas, blanda conversatio abstulerit, quam exiguum tibi de tuo relictum sit: intelleges te immaturum
mori.” Quid ergo est in causa? Tamquam semper victuri vivitis, numquam vobis fragilitas vestra succurrit, non observatis
quantum iam temporis transierit; velut ex pleno et abundanti perditis, cum interim fortasse ille ipse qui alicui vel homini vel
rei donatur dies ultimus sit. Omnia tamquam mortales timetis, omnia tamquam immortales concupiscitis. Audies plerosque
dicentes: “A quinquagesimo anno in otium secedam, sexagesimus me annus ab officiis dimittet.” Et quem tandem longioris vitae
praedem accipis? Quis ista sicut disponis ire patietur? Non pudet te reliquias uitae tibi reservare et id solum tempus bonae
menti destinare quod in nullam rem conferri possit? Quam serum est tunc vivere incipere cum desinendum est? Quae tam stulta
mortalitatis oblivio in quinquagesimum et sexagesimum annum differre sana consilia et inde uelle uitam inchoare quo pauci
perduxerunt?
Seneca, De Brevitate Vitae, 3: traduzione
Quand’anche si mettessero d’accordo su quest’unico punto tutti i cervelli che brillarono, giammai si stupirebbero
abbastanza di questo offuscamento delle menti umane: non sopportano che i loro terreni vengono occupati da qualcuno e se
l’esigua contesa è sul limite del loro territorio, ricorrono alle armi e alle pietre: lasciamo che gli altri mettano piede
nella loro vita, anzi vi introducano anche i futuri padroni di esse; non si trova nessuno che voglia dividere la propria
ricchezza: a quanti ciascuno distribuisce la vita! Sono taccagni nel tenere il patrimonio, ma non appena si tratta di perdere
tempo, sono generosissimi in questo, della cui cosa è rispettabile la parsimonia .Prendiamo pure uno della folla dei vecchi(e
diciamogli):”vediamo che tu sei giunto alla fine dell’età umana, il centesimo anno e anche più è da te premuto: orsù ,
richiama la tua vita a fare i conti. Calcola quanto di questo tempo ti ha tolto il creditore quanto l’amico, quanto un re,
quanto la punizione degli schiavi, quanto il correre qua e là per la città, imposto dal dolore, aggiungi le malattie, che ci
procuriamo con le nostre mani, aggiungi quello(il tempo) che giace inutilizzato, vedrai che hai meno tempo di quanto ne conti.
Richiama la tua memoria, quando sei stato saldo in una tua decisone, in qual numero ciascun giorno è andato a finire ,quando
avrai la disponibilità per te, quando il tuo volto sia rimasto nel suo stato normale, quando l’animo intrepido, che cosa hai
realizzato per te in un’esistenza così lunga, quanti hanno saccheggiato la tu avita, senza che tu avvertissi quello che ti
perdevi, quanto il dolore vano ,una gioia insensata, una cupidigia bramosa, una compagnia piacevole, quanto poco t’è rimasto
di tuo: capirai davvero di morire presto”. Che cosa per tanto è in causa? Vivete come chi è destinato a vivere sempre, ma vi
viene in mente la vostra fragilità, non fate attenzione, quanto di tempo sarà già passato: come da una riserva piena e
abbondante continuate a perdere, quando nel frattempo per caso il giorno stesso che o per qualche affare di uomo o per qualcosa
data sia l’ultimo giorno. Così come ogni cosa tenete i mortali, così come ogni cosa desiderate gli immortali. Ascolterai
molti dire (letti dicenti);”a partire dal cinquantesimo anno mi ritirerò dalla vita politica”.E’ chi prendi come garante di
una vita così lunga? Chi ti permetterà di andare così come tu disponi? Non vergognarti di riservare a te gli avanzi della vita
e di destinare solo questo tempo alla saggezza, che cosa può essere dedicato a nessuna azione pratica? Quanto è tardi ora che
si comincia a vivere, poiché si deve morire! Quale stupida dimenticanza della propria condizione di mortali nel cinquantesimo e
sessantesimo anno dichiarare i buoni propositi e dopo ciò incominciare a volere la vita,al punto in cui pochi sono riusciti a
protrarla.
Vedi anche:
- Scuole Superiori
- Letteratura Latina
- De Brevitate Vitae di Seneca
- Seneca
- De Brevitate Vitae