De Clementia, 7 - Studentville

De Clementia, 7

Quoniam

deorum feci mentionem, optime hoc exemplum principi cortstituam, ad quod formetur, ut se talem esse civibus, quales sibi deos

velit. Expedit ergo habere inexorabi- ilia peccatis atque erroribus numina, expedit usque ad ultimam infesta perniciem? Et quis

regum erit tutus, cuius non membra haruspices colligant? Quod si di placabiles et aequi delicta potentium non statim

fulminibus persequuntur, quanto aequius est hominem hominibus praepositum miti animo exercere imperium et cogitare, uter mundi

status gratior oculis pulchrior que sit, sereno et puro die, an cum fragoribus crebris omnia quatiuntur et ignes hinc atque

illinc micant! Atqui non alia facies est quieti moratique imperii quam sereni caeli et nitentis. Crudele regnum turbidum

tenebrisque obscurum est, inter trementes et ad repentinum sonitum expavescentes ne eo quidem, qui omnia perturbat, inconcusso.

Facilius privatis ignoscitur, pertinaciter se vindicantibus; possunt enim laedi, dolorque eorum ab iniuria venit; timent

praeterea contemptum, et non rettulisse laedentibus gratiam infirmitas videtur, non clementia; at cui ultio in facili est, is

omissa ea certam laudem mansuetudinis consequitur.Humili loco positis exercere manum, litigare, in rixam procurrere ac morem

irae suae gerere liberius est; leves inter paria ictus sunt; regi vociferatio quoque verborumque intemperantia non ex maiestate

est.

Versione tradotta

Poiché ho menzionato gli dei, nel modo più opportuno stabilirò per il principe questo

esempio al quale conformarsi, in modo che voglia essere per i suoi concittadini così, come vorrebbe che gli dei fossero con

lui. Conviene, dunque, trovare gli dei implacabili coi peccati e gli sbagli ed accaniti fino all'estrema rovina? Chi sarà

sicuro, tra i re, che gli aruspici non debbano raccogliere le sue membra? E se gli dei, indulgenti e giusti, non perseguitano

immediatamente coi fulmini i crimini dei potenti, quanto è più giusto che l'uomo messo a capo di (altri) uomini eserciti il

dominio con animo mite e mediti quale aspetto del mondo sia più gradevole e bello, se col cielo limpido e sereno o quando tutto

è sconvolto da frequenti strepiti e di qua e di là balenano lampi! Eppure l'aspetto di un regno tranquillo e costumato non è

diverso da quello del cielo sereno e splendente. Un regno crudele, tra genti tremebonde che si spaventano per un rumore

improvviso, senza che rimanga intatto nemmeno colui che causa il turbamento generale, è agitato ed oscuro per le tenebre. Si

perdonano più facilmente i privati, benché si vendichino più caparbiamente: infatti, possono essere danneggiati anch'essi e

il loro dolore deriva da un torto; temono, inoltre, il disprezzo e non aver reso la pariglia a chi li danneggia sembra

debolezza, non clemenza. Ma chi ha una facile vendetta, costui, se l'ha lasciata andare, ottiene la fama di mitezza. Per chi

è di umili natali vi è più libertà di venire alle mani, litigare, darsi alla rissa e assecondare la propria ira; gli scontri

tra pari sono tollerabili, per un re anche le grida e il non frenare le parole non sono confacenti alla maestà.

  • Letteratura Latina
  • De clementia di Seneca
  • Seneca

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