Gianni Vattimo intende ripercorrere con questo saggio il personale itinerario di avvicinamento all’opera del pensatore tedesco. Il cui punto centrale consiste nell’opposizione critica ad ogni Weltanschauung. Richard Rorty ha definito Gianni Vattimo “un filosofo ironico”. Il “pensiero debole” dell’intellettuale torinese rappresenta infatti, non soltanto una serena accettazione del tramonto della metafisica occidentale, compiutosi con l’opera di Friedrich Nietzsche, ma anche una consapevole presa di posizione per una deresponsabilizzazione della filosofia post – moderna. Dialogare con Nietzsche significa, innanzitutto, rendersi conto di quale sia stata la portata critica del suo pensiero, e quanto profondamente esso abbia influito sul dibattito filosofico dell’ultimo secolo. Vattimo intende ripercorrere con questo saggio il suo itinerario di avvicinamento all’opera nietzscheana negli ultimi quarant’anni, e contemporaneamente presentare la propria interpretazione di una filosofia troppo spesso manipolata e mitizzata. Un’adeguata decifrazione del pensiero nietzscheano non può che avere inizio dal concetto di temporalità . L’umanismo anarchico del filosofo tedesco prende origine dalla consapevolezza della rigida struttura all’interno della quale si svolge l’esistenza. L’uomo ò prigioniero del passato, e del dogmatismo di una storia che incombe continuamente sulla vita, limitando od impedendo l’accesso all’unica forma di libertà : la creazione dell’istante. Il finalismo paralizza l’uomo nel timore, nell’insicurezza, svilisce l’intenzione nell’omogeneità del divenire. Non vi ò alcuna epoca storica che non sia stata nichilista. La storia della metafisica occidentale non ò altro che un continuo tentativo di vendetta della volontà nei confronti dell’impossibilità del passato. La conoscenza che l’uomo ha creato e ricercato ò l’arroganza dello sconfitto. In Nietzsche, sottolinea Vattimo, nichilismo estremo e superamento dello stesso sono momenti così vicini da coincidere quasi. Il primo consiste nell’annullamento di tutti i valori mendaci che formano il mondo, il secondo nella compiuta consapevolezza che l’uomo assume di fronte alla vacuità del divenire inteso come processo storico. La temporalità , dunque, per Nietzsche non può avere un andamento rettilineo. Il passato schiaccerebbe il futuro, e la volontà frustrata continuerebbe la vana ricerca di sè nella conoscenza acquisita; religiosa, morale o gnoseologica. Soltanto la concezione del tempo come circolarità può annullare lo spirito di vendetta. Passato e futuro si fondono continuamente nell’attimo, il momento infinito della creazione che definisce il fluire dell’eternità . Ma il punto centrale, ricorda Vattimo, della filosofia nietzscheana consiste nella sua opposizione critica ad ogni Weltanschauung; essa non deve limitarsi ad osservare il mondo e a ricercare la verità , ma essere in grado di oltrepassare le convenzioni euritmiche che, partendo dal linguaggio, conducono l’indagine verso l’omogeneità dell’apparire, indebolendo la stessa forza del dubbio in una gnoseologia logica necessariamente fuorviante. Se la filosofia ò diventata favola, allora anche Nietzsche si presenta come un incantatore. A differenza dello storicismo, però, egli non chiude l’esistenza nella gabbia della determinazione. Al termine del proprio mito Nietzsche intende porre una domanda all’uomo sull’uomo, e soltanto chi ò in grado di fornire la risposta può affermare una volontà concreta di conoscenza. La realtà ò frutto del linguaggio, e delle “metafore poetanti” attraverso cui esso riesce ad illudere sul procedimento euristico della verità . Lo studio del Nietzsche filologo permette un più chiaro approccio allo sviluppo critico delle opere più mature. Dalla messa in discussione del criterio rigidamente deterministico dello storicismo, il filosofo tedesco deduce la necessità di una verità non più adeguata al dato, ma inclusa in quell’orizzonte aperto che comprende il continuo fluire dell’esistenza. Vattimo quindi sostiene la centralità dell’aspetto ermeneutico di Nietzsche . Se per Heidegger, infatti, l’opera nietzscheana rappresenta la compiuta conclusione della metafisica tradizionale, ò più che lecito, continua Vattimo, mettere in risalto gli aspetti postmoderni del pensiero del filosofo tedesco, ed in primo luogo considerare l’agire interpretativo come il momento più evidente di quel nichilismo che l’ermeneutica contemporanea consciamente o meno, porta con sè. Vattimo, richiamandosi ad un suo saggio del 1974 ( Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della trasformazione ), prende quindi in esame i concetti dell’ estetica nietzscheana . Inquadrata nella stessa ottica della “alienazione di sè” platonica, essa pone il proprio principio nel fondamentale impulso alla negazione dell’identità . Lacerato il velo di Maya, l’apollineo ed il dionisiaco non sono soltanto più visti come i poli dicotomici dell’apparenza e dell’esistenza, ma come reali momenti storici attraverso cui l’uomo, tramite una simbologia fondante, ha percorso il proprio sentiero esistenziale definito dalla menzogna e dall’eccesso. Sopravvivere alla falsificazione significa, quindi, aprirsi ad una realtà sostanzialmente ermeneutica, per la quale, sottolinea Vattimo, occorre scoprire il lato debole del superuomo, quella estetizzazione dell’esistenza di cui l’artista ò simbolo, e che probabilmente rappresenta l’unico mezzo rimasto per oltrepassare il nichilismo e la fine della filosofia.
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