Differenza, traccia e supplemento. - Studentville

Differenza, traccia e supplemento.

Concetto di differenza, traccia e supplemento.
Concetto di differenza, traccia e supplemento.

Nell’analisi genealogica della filosofìa socratico-platonica, condotta in “La farmacia di Platone”, Derrida mostra un’attitudine tipicamente nietzscheana. Ma l’emergenza del tema della scrittura sposta l’attenzione verso un ambito tematico più propriamente psicoanalitico: la messa in luce di uno schema familiare, al fondo della cosiddetta metafisica della presenza – schema in cui il logos occupa la posizione del padre – si avvale di tutto un armamentario interpretativo in cui concetti psicoanalitici come “rimozione”, “castrazione”, “sublimazione”, “pulsione di morte”, “coazione” ecc. giocano un ruolo di primo piano. L’analisi stessa del testo ò condotta come un tentativo di individuazione di atti mancati, lapsus, mascheramenti, sintomi e brecce che la decostruzione sfrutta per inserirsi in sistemi che a prima vista – diremmo, nei loro “meccanismi di difesa” – appaiono solidi e inattaccabili. Di questa deriva psicoanalitica Derrida aveva dato una chiara anticipazione già  in “La voce e il fenomeno”, scrivendo: ” ed ò proprio intorno al privilegio dell’adesso, dall’adesso, che si svolge, in ultima istanza, questo dibattito, che non può somigliare a nessun altro, tra la filosofia, che ò sempre filosofia della presenza, e un pensiero della non-presenza, che non ò forzatamente il suo contrario, nè necessariamente una meditazione dell’assenza negativa, anzi, una teoria della non-presenza come inconscio ” (“La voce e il fenomeno”). Questa teoria della non-presenza ò riassunta nel concetto di “traccia”. La traccia (e qui Derrida riprende la definizione di Emmanuel Lèvinas) ò ” un passato che non ò mai stato presente “, cioò la dimensione di un’alterità  che non si ò mai presentata ne potrà  mai presentarsi, che Derrida non esita ad assimilare alla nozione psicoanalitica di inconscio: ” con l’alterità  dell'”inconscio” abbiamo a che fare non con degli orizzonti di presenti modificati – passati o a venire – ma con un “passato” che non ò mai stato presente e che non lo sarà  mai, il cui “avvenire” non sarà  mai la produzione o la riproduzione nella forma della presenza. Il concetto di traccia ò dunque incommensurabile con quello di ritenzione, di divenir-passato di ciò che ò stato presente. Non si può pensare la traccia – e dunque la diffèrance – a partire dal presente, o dalla presenza del presente ” (“La diffòrance”). Come la nozione freudiana di inconscio, il concetto di traccia assume una funzione antifenomenologica, nel senso che costituisce un ordine di alterità  per definizione irrappresentabile, o rappresentabile soltanto attraverso un insieme di sostituzioni: ” e per descriverle, per leggere le tracce delle tracce “inconsce” (non c’ò traccia “cosciente”), il linguaggio della presenza o dell’assenza, il discorso metafisico della fenomenologia ò inadeguato “. Ed ò infatti proprio questo l’esito principale consentito dalla nozione di traccia: quello di far intendere l’ordine del senso – della coscienza, della presenza, e di tutto il sistema concettuale da esse regolato, cioò l’insieme stesso della metafisica – come un ordine supplementare, radicalizzando con ciò quella che, secondo una tale metafisica, era una condizione limitata alla semplice scrittura. Vale a dire che l’impresentabilità  della traccia tende a far leggere ogni presentazione o rappresentazione come ciò che sta al posto della traccia “originaria”, la sostituisce, ne ò insomma la scrittura, così come la coscienza, in un testo famoso in cui Freud la paragona ad un notes magico e che Derrida discute in “La scrittura e la differenza”, ò la traccia “visibile” dell’inconscio. Questa “logica del supplemento” ò ovviamente impensabile all’interno della logica (“Della grammatologia”): il supplemento supplisce una mancanza, una non-presenza, nel senso che rappresenta il momento di una strutturazione non preceduta da nulla, ma a partire dalla quale qualcosa “appare”. ” Il supplemento viene al posto di un cedimento, di un non-significato o di un non-rappresentato, di una non-presenza. Non c’ò nessun presente prima di esso, ò quindi preceduto solo da se stesso, cioò da un altro supplemento. Il supplemento ò sempre il supplemento di un supplemento “. Una tale “logica del supplemento” o della traccia (supplementarità  originaria) ò quindi il “concetto fondamentale” di una nuova scienza (se essa fosse possibile), che Derrida chiama “grammatologia”: la grammatologia fa dell’essere dell’ontologia – di “ciò che c’ò” – la traccia di ciò che “non c’ò”, che non si presenta ne può mai presentarsi; la grammatologia costituisce in breve l’introduzione, all’interno dell’ontologia da sempre dominata dal principio di identità , di una differenzialità  originaria, di uno scarto, di una cesura, che Derrida riassume nella nozione di diffèrance. Una comprensione della nozione derridiana di diffèrance – argomento di una famosa conferenza tenuta il 27 gennaio 1968 e poi compresa in “Margini” – non può che partire dal suo statuto di “scrittura”, dal modo in cui la parola stessa viene scritta, prima e piuttosto che dal suo contenuto “concettuale”: la sua “concettualità ” ò anzi tutta nella sua scritturalità . La diffèrance ò innanzitutto quel “lavoro” silenzioso che la scrittura opera al di là  di ogni possibile concettualizzazione. Il termine francese usato da Derrida ò volutamente scritto con la “o” anzichè con la -e-, come sarebbe la sua forma corretta (diffèrencò). Questa “violenza grafica” non ha conseguenze fonetiche percepibili, e perciò intelligibili: con ciò Derrida intende segnare uno scarto dal fonologocentrismo, ovvero dal privilegio del logos nel sistema concettuale dell’Occidente, di cui ò diretta conseguenza – o addirittura causa – l’uso della scrittura fonetica. Privilegio del logos significa: a) privilegio del concettuale, del soprasensibile; b) solidarietà  sistematica tra il concettuale (lo spirituale) e il fonetico (la voce, l’ascolto ecc. ); e) centralità  della coscienza nella fondazione della verità  in quanto garante della prossimità  tra il significante e il significato; d) condanna della scrittura in quanto possibilità  di sviamento dalla verità , perchè svincolata o pur sempre svincolabile dalla presenza di una coscienza; e) concezione della verità  come rapporto a un’origine riattivabile; f) determinazione di questa origine come “presenza”. Con il suo lavoro “silenzioso”, la diffèrance segna uno scarto rispetto a tutti questi punti, non però nella forma di una “opposizione”, bensì di un’alterità  eccentrica rispetto al sistema oppositivo su cui si regola il logocentrismo. Questa eccentricità , ò quella di un alterità  non riconducibile all’identità , o meglio di un “luogo” altro come può essere l’inconscio o la “materia”. Si tratta di una collocazione che Derrida definisce a come “la voce media” (nè… nè… ), e che nella parola stessa diffèrance ò espressa dalla terminazione -ance, propria di parole che, formate sul participio presente, restano sospese tra l’attivo e il passivo. Ma insieme al suo senso grammaticale, ò il senso logico della terminazione media che qui importa: essa corrisponde alla forma indecidibile del “nè… nè… “, del tertium datur con cui e scardinata la razionalità  metafìsica, fondata sui princìpi di non contraddizione e del terzo escluso. L’indecidibile ò la “logica” stessa del decostruzionismo, un’ alogica che anzichè scegliere tra due elementi opposti, appartenenti, per la loro stessa solidarietà  sistematica, a un medesimo ordine concettuale, tende a farli collidere o a intrecciarli in maniera chiasmatica: il chiasma ò la “x”, figura dell’incognita e della barratura dell’indecidibile. Da questo punto di vista la decostruzione ò atetica, non approda cioò a nessuna tesi. La decostruzione della metafisica della presenza non può essere più radicale: non potendosi esprimere nella forma del discorso letico e apofantico “S ò P” la decostruzione, attraverso l’indecidibile, si richiama a forme di discorso tradizione mente non apofantiche: quelle, come vedremo, dell’invocazione, del giuramento dell’invito, del ringraziamento, del perdono e finanche della preghiera Nella sua medietà , la provenienza terminologica dal participio del verbo diffèrer allude al doppio significato, a un tempo sincronico e diacronico, di diffèrance: 1) sincronico: la diffèrance ò da questo punto di vista una radicalizzazione (e perciò anche una decostruzione) di quel gioco sincronico delle differenze in cui lo strutturalismo saussuriano faceva consistere il significato. ” Nella lingua non ci sono termini positivi, ma solo differenze “, scriveva Saussure: ò dal rapporto sincronico tra i vari termini, nel loro gioco differenziale, che si genera l’identità  di un significato (ò noto esemplo di Saussure della lettera “t”, che può essere scritta in mille modi diversi ma l’importante ò che “non si confonda”, cioò si differenzi dalle altre lettere)- 2) diacronico -, la diffèrance indica il movimento di “differimento” temporale (ritardo o anticipazione) che disloca continuamente l’origine in un altrove, in un luogo e in un tempo “altri”. Anche qui abbiamo a che fare con una radicalizzazione, quella della “differenza ontologica” heideggeriana, che si risolve iperbolicamente, e dunque paradossalmente, nella sua cancellazione: il senso ultimo (il significato trascendentale) non ò “riappropriabile”, la differenza resta “assoluta”, e perciò cancellata (Derrida si richiama al proposito al concetto hegeliano di “differenza”, nella “Scienza della Logica”). Questo espacement (semento in sè privo di significato, ma condizione del significato: Derrida ricorda la funzione della spaziatura nella scrittura) indica quindi allo stesso tempo un differimento temporale e spaziale: ciò che ò percepibile, intelligibile, cosciente ecc. non e che traccia di questo movimento, traccia della diffèrance. In tal modo Derrida capovolge il sistema logocentrico, facendo del logos la traccia di un’origine perduta e portando m primo piano questo sistema di tracce in quanto scrittura. La scrittura ò la traccia di un’origine assente, differenzialità  pura, traccia che ha cancellato la sua origine come la ricerca della verità  in Nietzsche, così la ricerca dell’origine giunge qui a un esito nichilistico, quello di risolvere o dissolvere il fondamento nel gioco dei rimandi senza termine ultimo. E, questa, quella nozione di “testualità  generale” cui il decostruzionismo di Derrida ò approdato e che ha avuto ampi sviluppi soprattutto in sede di critica letteraria.

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