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Emmanuel Lévinas

Pensiero e vita del filosofo.

Vita e opere Emmanuel Lèvinas ò nato a Kaunas (Lituania) nel 1905 da una famiglia ebrea e ha vissuto la rivoluzione russa in Ucraina. Nel 1923 si trasferisce in Francia a Strasburgo, dove inizia gli studi universitari, seguendo i corsi di Blondel e di Halbwachs. Nel 1928-1929 si reca a Friburgo, dove assiste alle ultime lezioni di Husserl e conosce Heidegger di cui rimase affascinato. L’ ” apprendistato della fenomenologia “, come egli lo ha definito, orienterà  poi la sua ricerca personale. Dal 1930 fino alla guerra occupa diverse funzioni nella “à‰cole normale israèlite di Auteuil”, che forma gli insegnanti dell’Alliance Israèlite Universelle e stringe amicizia con Henri Nerson, cui dedicherà  il suo primo libro di scritti giudaici ” Difficile Libertè “. Emmanuel Lèvinas rievoca spesso gli anni dei suoi studi universitari a Friburgo, dove si recò prima che ” Hitler diventasse Hitler “. Fa poi ritorno in Francia prima che Hitler salisse al potere, nel 1932. E in seguito, per giustificare il fatto che Heidegger si era compromesso con il nazismo, il filosofo francese adduce la genialità  del maestro tedesco. Prima della sua permanenza a Friburgo, in Francia, Lèvinas aveva conosciuto Jean-Paul Sartre di cui apprezzava il ” pensiero audace e regolare “. La sua formazione filosofica inizia con Blondel che incarnava la ” luminosità  dello spirito francese “, la “clartè”, l’ordine. Accanto all’incontro con Heidegger e Husserl, Lèvinas ricorda l’altro grande evento della sua vita: il rapporto con Monsieur Chouchani, un genio talmudico, che aveva il Talmud dentro, incarnato, vivente. Questo sapiente ebreo gli trasmette ” il vigore intellettuale nella crudezza della potenza del Talmud ” (ebraico: disciplina), raccolta di norme religiose e legali, Mishna, e di sentenze rabbiniche, Gemara. Ve ne sono due redazioni: quella di Babilonia e quella di Gerusalemme, e molti commenti. Il Talmud contiene, tra l’altro, il credo ebraico, di 13 articoli). La sua tradizione familiare ebraica viene alimentata, dopo questo incontro decisivo, da un giudaismo vivente. Husserl viene descritto come splendido genio che rappresenta il filosofo tedesco tradizionale, legato a doppio filo con la fenomenologia. Lèvinas parla del suo incontro con Jacques Derridà , anche lui passato attraverso Heidegger e Husserl. Poi accenna alla sua lingua madre, il russo, che però non ha utilizzato per le sue opere filosofiche che ha scritto in francese o in tedesco, infarcendole di riferimenti in greco e latino. Mobilitato nel 1939, viene fatto prigioniero e sarà  liberato solo nel 1945. Nell’ immediato dopoguerra riprende il suo posto all’ “à‰cole normale israèlite”, questa volta come direttore, e partecipa alle riunioni settimanali di Gabriel Marcel e al “Collòge philosophique” di Jean Wahl, sotto la cui direzione prepara la tesi di Stato, pubblicata nel 1961 sotto il titolo di ” Totalitè et infini ” che gli apre le porte dell’insegnamento universitario. Nel 1957 inizia anche l’attività  di lettura e commento del Talmud ai ” Colloques des Intellectuels Juifs de Langue Franà§aise “. Nel 1964 viene chiamato all’Università  di Poitiers, nel 1967 passa a Paris-Nanterre e nel 1973 alla Sorbonne. Muore nel 1995. Le due opere fondamentali di Levinas sono ” Totalità  ed infinito ” e ” Altrimenti che essere o al di là  dell’essenza “. Da ricordare anche ” Nomi propri “. Il tema dell’ebraismo viene svolto nelle ” Quattro lettere talmudiche “. Un’utile lettura preliminare può essere ” Dall’esistenza all’esistente “, in cui viene posto il legame con il pensiero di Husserl e di Heidegger. L’impianto filosofico La filosofia di Lèvinas ò incentrata sul problema dell’ Etica della quale ha elaborato i princìpi primi per aprirla alla metafisica. L’etica equivale alla metafisica, perchè l’unica filosofia possibile, l’unica possibile conoscenza, ò quella dei princìpi primi dell’agire morale. La Bibbia e la filosofia sono in accordo, anche se la vera filosofia ò quella che distrugge tutti i miti costruiti dall’uomo. Il compito della filosofia ò pensare (secondo un’espressione desunta da Barth) al “Totalmente Altro” dall’Essere e dal Logos che sono le categorie di una comprensione riduttiva e fallace del reale. Lèvinas ha una diversa prospettiva dell’alterità  radicale. La sua filosofia nasce dallo ” stupore del silenzio di Dio ” verso le tragedie. Pensare ò ascoltare la Parola dell’infinito che ò udibile dal volto dell’altro nella cui nudità  e povertà  risplende la traccia di Dio. Ciò ò possibile solo nel rispetto della sua alterità , della sua solitudine, del suo mistero e della sua persona: ò questo il principio primo dell’etica che, in questo ambito, diventa metafisica: se non violo con le mie categorie onnicomprensive il mistero dell’altro, cioò se non lo riduco ad un’essenza pre-determinata e pre-giudicata, arrivo ad un tipo di conoscenza che ò reale perchè ò traccia dell’infinito. L’alterità  ò totalmente estranea all’ego (frattura tra sè e l’altro) e, pertanto, la mia esperienza non sarà  mai paragonabile a quella di un altro, io non posso vivere il dolore, la gioia e altre esperienze limite di un altro. Per il filosofo lituano l’etica costituisce la possibilità  di uscita dalla conoscenza come comprensione dell’altro che viene generalmente assimilato a sè ed espropriato della sua alterità  e diversità . L’altro, per essere tale, non può essere ricondotto nè alla conoscenza che io ne ho (che ò sempre un’interpretazione parziale), nè all’amore che parte da me e intende abbracciarlo. Lèvinas vede nell’ ” eros uno dei simboli massimi dell’alterità  “, eros non ò possesso, ma mistero che implica la presenza dell’infinito. Un’altra manifestazione dell’alterità  ò la filialità  o la paternità  perchè la donna ha difficoltà  nel distinguere il figlio da sè, mentre vero padre ò colui che distingue il figlio da sè pur sentendolo da sè generato. Lèvinas ò contro l’amore romantico inteso come la fusione di due esseri. Il volto non può essere assorbito nella mia identità  e rappresenta l’inizio della rottura con la totalità  perchè la vera unione ò un faccia a faccia, alterità  reciproche che non vengono assorbite o eliminate. La rottura della totalità  ò rappresentata dalla soggettività  umana, ridefinita da Lèvinas nel volto che esprime il mistero del soggetto. La società  non sarà  mai la somma di soggettività  fuse nel tutto, ma sarà  fondata su una relazione intersoggettiva che non abolisce l’altro, ma ne rispetta il mistero. L’altro ò soggettività  che trascende la totalità . L’etica di Lèvinas ò una forte provocazione per chi svilisce il messaggio evangelico dell’amore nell’estensione della propria soggettività . Il rapporto con l’altro non ò immediato, ma ò mediato dall’Infinito. Il culmine dell’identità  ò la distinzione, il culmine dell’amore ò l’alterità  personale pienamente realizzata nel rapporto, il culmine della giustizia ò il faccia a faccia con l’altro, che ò tutto ciò che impedisce di ridurre l’altro a me. Per questo Lèvinas può affermare che il principio primo dell’etica ò la separazione, ossia il muoversi verso l’altro sentito come altro da sè; occorre considerare sempre l’altro come un fine e mai come un mezzo. Se nel volto dell’altro risplende l’ “Eglità ” come traccia dell’Infinito, tuttavia questa traccia non giunge mai a farsi realmente segno di Dio che rimane, perciò, assente perchè la traccia sul volto dell’altro ò cancellata come una traccia lasciata sulla sabbia che ò traccia di un passato e di un’assenza. L’essenza viene vista come totalità  che fa di tutte la cose degli oggetti per me, da me utilizzabili e, quindi, apre la prospettiva della violenza, mentre il volto altrui ò il Totalmente Altro da me, ò per sè e, dunque, non manipolabile da me, in quanto segno del Mistero. L’etica della differenza L’opera di Lèvinas ò assillata da ciò che non può essere detto. Una comunicazione con l’altro che lo lasci essere altro, senza ridurlo alla comune misura. Ultima grande architettura filosofica del Novecento, quella di Emmanuel Lèvinas ò un’opera compatta, che non consente estrapolazioni, poichè ogni singolo frammento rinvia al disegno d’insieme. E come se la scrittura sorvegliasse il suo lettore, lo obbligasse a cercare la chiave. Per usare un termine che Lèvinas stesso ha indicato come cifra della propria ossessione, il lettore ò ” ostaggio del testo ” su cui inavvertitamente si ò chinato. Erede e interlocutore discreto del grande Novecento filosofico, ha nutrito la propria scrittura di scetticismo e gentilezza, l’unico modo di trattare e amare il cuore segreto dell’utopia senza cedere alle lusinghe della grandezza. Scrittura rigorosa, incatenata e paziente. Nessuna concessione agli estetismi tanto cari a buona parte degli epigoni della filosofia heideggeriana. Parole come esposizione, vulnerabilità , prossimità , sostituzione, ostaggio, sono altrettanti distillati di un rigore che non consente abusi, pena il tradimento dell’intenzione profonda che li unisce. Fanno esplodere il linguaggio filosofico dall’interno come gocce d’acqua che ritornano dalla loro congelazione. Conducono la filosofia al punto della sua fissione, costringendola a sè fino alla rottura, all’apertura, che non ò rinuncia, ma rivelazione della pienezza stessa. L’etica della differenza, dell’alterità  che sussiste fra me e il prossimo, ò alla base del pensiero ermeneutico di Lòvinas. Il nostro rapporto col mondo, prima ancora di essere un rapporto con le cose, ò un rapporto con l’Altro. E’ un rapporto prioritario, che, invece, la tradizione metafisica occidentale ha occultato, cercando di assorbire e identificare l’altro a sè, spogliandolo della sua alterità . Ciò ò stato fatto privilegiando l’essere, cioò la realtà  nel suo aspetto generalissimo, in cui vengono a smarrirsi le differenze, le individualità , che sono, invece, irriducibili le une alle altre. ” L’essere ò il non senso: ha senso solo l’esistente, l’uomo “. E l’esistente acquista significato solo in relazione all’Altro, cioò attraverso una comunicazione interumana nella quale l’Altro non viene assimilato a me. Dell’Altro non ci si può appropriare in alcun modo, l’Altro irrimediabilmente mi sfugge perchè non ha alcun comun denominatore con me. Il volto dell’Altro, degli Altri, ò al di là  dell’immagine che di loro mi faccio. Il senso della vita Lèvinas cerca di accordare le tradizioni della Bibbia e della filosofia. Se esse non si sono conciliate ò perchè ogni pensiero filosofico si fonda su esperienze pre-filosofiche come, per lui, ò stata la lettura della Bibbia, il cui miracolo ò il confluire di letterature diverse verso uno stesso contenuto essenziale. Il polo di questa influenza ò l’etica e, in questo modo, la verità  etica ò comune. La religione non ò identica alla filosofia, la quale non necessariamente offre le consolazioni che può dare la religione. Il filosofo si deve porre accanto alle cose senza illusione, rispettando la loro oggettività  (sono altro da me). Per chiarire dove nasce l’esistente, Lèvinas analizza la nozione di “il ya” che ò l’essere in generale. L’esistente esce dall’esistenza, il sensato prende vita spezzando la neutralità  dell’essere. ” L’essere e la realtà  sono puro non senso, chi ha senso e dà  senso ò l’esistente, l’uomo “; in quest’ottica si può scorgere sullo sfondo il pensiero di Heidegger che vedeva l’uomo come l’ente che si pone la domanda sul senso dell’essere. Una corretta impostazione di questo problema, richiede una esplicitazione preliminare di quell’ente che si pone la domanda sul senso dell’essere, e questo ente ò da Heidegger indicato col termine di Esserci (Dasein). L’uomo, considerato nel suo modo di essere, ò Da-Sein, esser-ci; e il “ci” (da) sta ad indicare il fatto che l’uomo ò sempre in una situazione, gettato in essa, e in rapporto attivo nei suoi confronti. L’Esserci, cioò l’uomo, non ò soltanto quell’ente che pone la domanda sul senso dell’essere, ma ò anche quell’ente che non si lascia ridurre alla nozione di essere. Le cose sono diverse l’una dall’altra, ma tutti sono oggetti posti davanti a me: l’uomo non può ridursi ad un oggetto puro e semplice del mondo; l’Esserci non ò mai una semplice presenza come le cose, giacchè esso ò proprio quell’ente per cui le cose sono presenti. Il modo di essere dell’Esserci ò l’ esistenza, l’ “essenza” dell’Esserci consiste nella sua esistenza, e l’essenza dell’esistenza ò data dalla possibilità  da attuare e, di conseguenza, l’uomo può scegliersi perdendosi o conquistandosi. Ciò detto, l’uomo che si trova a dover decidere della propria vita, conosce la disperazione della solitudine o dell’isolamento nell’angoscia. Secondo Lèvinas, il fatto di essere ò quanto di più privato ci sia, l’esistenza ò la sola cosa che non posso comunicare perchè la posso raccontare, ma non condividere. La solitudine appare come lo stesso evento di essere: ” siamo circondati da esseri e da cose con i quali intratteniamo relazioni. Siamo con gli altri con la vista, con il tatto, con la simpatia, con il lavoro in comune. Io tocco un oggetto, vedo l’altro, ma non sono l’altro. Tra esseri ci si può scambiare tutto tranne l’esistere “. Differenza dei sessi Si affaccia nel pensiero di Levìnas anche la riflessione su quella alterità  che ò rappresentata dalla donna, talvolta in alcuni suoi tratti tradizionali, ma anche arrivando a rovesciare la valutazione delle tradizionali categorie di virilità  e femminilità : la virilità  ò il simbolo del soggetto che non vuole farsi alterare dall’Altro, la femminilità  ò liberazione da questo senso di proprietà  e di chiusura. Si delinea, così, quella riflessione sulla differenza dei sessi che ò uno dei temi più recenti e complessi del pensiero. Gli “esseri” non si possono scambiare l’esistenza, ma entrano in rapporto tra loro in vario modo. La prima figura di relazione con gli altri, ò l’ eros, nel quale si esalta un’alterità  tra esseri che non si limita ad una semplice alterità  erotica. Il femminile ò l’origine del concetto stesso di alterità  che non scompare nella relazione amorosa. ” La differenza di sesso non ò la dualità  di due termini complementari. Infatti, due termini complementari suppongono un tutto preesistente. Ora, dire che la dualità  sessuale suppone un tutto, significa porre già  prima l’amore come fusione e, dunque, come annullamento dell’ego. ” Al contrario, il patetico dell’amore consiste in una insormontabile dualità  degli esseri, ò una relazione con ciò che sempre si sottrae, un faccia a faccia, appunto, un aut-aut. La relazione non neutralizza l’individualità , ma la conserva. La seconda figura di relazione con gli altri, ò quella della filialità . Quella biologica ò solo il primo tipo, ma se ne può concepire uno come relazione tra esseri umani, senza legami di parentela. ” La paternità  ò una relazione con un estraneo che, pur essendo altri, ò me, il figlio non ò opera mia, egli non ò neppure una mia proprietà . Io non ho mio figlio, io sono, in qualche modo, mio figlio. Egli ò un io, ò una persona “. Il multiculturalismo Il riconoscimento dell’Altro viene da Levìnas ricondotto alla fede, poichè l’Altro, con la sua irriducibilità  e alterità , ò la rivelazione dell’infinito, dell’infinita alterità , che pure ò presente e ci ispira, anche se non si svela compiutamente a noi. Levìnas contrappone Rivelazione biblica a Ossessione dell’essere: ò la prima a consentirci di riconoscere l’Altro come tale, con una sua totale autonomia, un suo compiuto orizzonte di senso. Essa ci impone di non ridurlo a noi stessi con un uso totalizzante delle nostre categorie interpretative. Ma la relazione all’Altro, oltre che fondata sulla fede, ha anche una connotazione etica: l’irriducibile alterità  dell’Altro ò quella, ad esempio, che ci impone di non uccidere o alimenta, quando lo facciamo, un perenne rimorso della coscienza. Ecco perchè la relazione e la responsabilità  che abbiamo nei confronti dell’Altro sono una dimensione costitutiva di noi stessi. Per diversi studiosi, la riflessione di Levìnas sull’Altro costituisce uno dei fondamenti teorici del multiculturalismo contemporaneo, suggerisce, cioò, una visione nuova e diversa dei rapporti fra gli individui e fra le culture: come rapporti fra diversi, che come tali vanno riconosciuti e valorizzati. Solo attraverso questo riconoscimento ò possibile attivare una comunicazione autentica fra le culture, senza affermazioni egemoniche di una sull’altra. Questa ò una prospettiva feconda, attraverso cui, ad esempio, ò possibile guardare in modo nuovo ai problemi di rapporti fra le culture che vengono a determinarsi con i processi migratori in atto su scala planetaria. Il pensiero di Emmanuel Lèvinas si ò sviluppato, quindi, su due versanti privilegiati: l’ esercizio fenomenologico di cui ò stato tra i primi rappresentanti in Francia e le letture talmudiche, ispirate a temi biblici ed ebraici. Partendo da Heidegger, Lèvinas rimette in questione il primato del problema dell’essere, dominato dal principio di totalità , per cercare nell’appello dell’alterità  il fondamento di una soggettività  autentica. In questa preminenza dell’etica, nella parte più interna della quale si incontra il principio dostoevskiano della responsabilità  universale, l’essere responsabili di tutto verso tutti, Lèvinas ritrova il tema della Legge, centrale nel pensiero ebraico. Voltare le spalle a Parmenide ” II vero Desiderio ò quello che il Desiderato non sazia ma rende più profondo. àˆ bontà . Non si riferisce a una patria o a una pienezza perdute, non ò la malattia del ritorno e neppure nostalgia. àˆ la mancanza nell’essere che già  ò in modo compiuto e a cui non manca nulla ” (“La traccia dell’altro”). ” Si tratta di uscire dall’essere per una nuova via “, scrive Lèvinas nel 1935 (“De l’evasion”). ” Voltare finalmente le spalle a Parmenide “. Come ha scritto Derrida, il pensiero di Lèvinas ci invita ad abbandonare il luogo greco, e forse il luogo in generale, verso ciò che non ò più nemmeno una sorgente o un luogo ma una “respirazione”, una parola profetica già  effusa non solo a monte di Platone, non solo a monte dei presocratici, ma al di qua di ogni origine greca. Sullo sfondo di questo proposito, discreta ma decisiva, vi ò l’ opzione tutta ebraica per il monoteismo. Levinas non accetta il panteismo cosmico che muove l’intera parabola del pensiero greco, nel quale il computo degli esseri torna uguale e perfetto, senza che nulla vada veramente perduto e senza che nulla di nuovo accada davvero. Si chiede se non vi sia proprio in questa positività  priva di ferite un qualche male. L’angoscia di fronte all’essere, l’orrore dell’essere ò forse tanto originaria quanto l’angoscia di fronte alla morte. L’essere in generale ò la vera prigione; ad esso Lèvinas dà  il nome di “il ya”, il puro c’ò, compatto e inestinguibile, che ritorna anche in seno alla propria negazione. Ciò che nel pensiero di Heidegger si definiva come l’abbraccio che raccoglie e dispone ogni cosa nella propria luce, rivela ora le fattezze soffocanti, spersonalizzanti e invasive della notte. Di fronte a quest’oscura invasione siamo esposti, non ò più possibile raccogliersi in sè, rientrare nel proprio guscio. Siamo di fronte al c’ò, al naufragio del tempo, all’ Universo che nessun volto illumina. Una delle caratteristiche del pensiero di Lèvinas ò la tendenza continua all’evasione dalla neutralità , dall’anonimato, da se stessi come “essere generale”. In questo modo egli reinterpreta l’immagine dell’ebreo errante come figura ontologica. Nell’ “uscir fuori di sè” l’uomo incontra l’Altro. Dalla inevitabilità  dell’incontro con l’altro e dal superamento dell’estraneità  deriva la centralità  dell’etica. Lèvinas osserva che il monoteismo segna un momento di rottura nella storia del sacro e che nei confronti del precedente politeismo esso ò una forma di negazione ateistica. Il monoteismo ò anche una manifestazione d’intelligenza che lo avvicina alla filosofia. ” Il monoteismo giudaico non esalta una potenza sacra, un numen che trionfi su altre potenze numinose, ma che partecipi ancora della loro vita clandestina e misteriosa. Il Dio dei giudei non ò sopravvivenza degli dòi mitici. Secondo un apologo Abramo, il padre dei credenti, sarebbe stato figlio di un mercante d’idoli. Approfittando dell’assenza di Tereh, li avrebbe tutti spezzati, risparmiando il piຠgrande di essi per attribuirgli, agli occhi del padre, la responsabilità  del massacro. Ma Teher al suo ritorno non può accettare questa versione fantastica: egli sa che nessun idolo al mondo potrebbe distruggere gli altri. Il monoteismo segna una rottura con una certa concezione del sacro; non unifica nè gerarchizza gli dòi numinosi e numerosi; li nega. Rispetto al divino ch’essi incarnano, non ò altro che ateismo. Su questo punto il giudaismo si sente estremamente vicino all’Occidente, voglio dire alla filosofia. Non ò semplicemente un caso che la via verso la sintesi fra rivelazione giudaica e pensiero greco fosse magistralmente tracciata da Maimonide, cui si richiamano i filosofi giudei e musulmani; che un profondo rispetto per la sapienza greca riempisse già  i sapienti del Talmud; che l’educazione per il giudeo si confonda con l’ispirazione e che l’ignorante non possa essere realmente religioso! E sono frequenti curiosi testi talmudici che cercano di presentare la natura della spiritualità  d’Israele come costituita dalla sua eccellenza intellettuale: non certo per orgoglio luciferino della ragione, ma perchè l’eccellenza intellettuale ò interiore, e i “miracoli” ch’essa rende possibili non feriscono la dignità  dell’essere responsabile, come invece fa la taumaturgia; ma soprattutto perchè non deteriorano le condizioni dell’azione e dello sforzo. Da ciò deriva in tutta la vita religiosa giudaica l’importanza dell’esercizio dell’intelligenza, certo, applicata in primo luogo al contenuto della rivelazione, alla Torah. Ma la nozione di rivelazione ò destinata ad ampliarsi rapidamente, sino a comprendere tutto il sapere essenziale. Un apologo rabbinico rappresenta Dio che insegna agli angeli e a Israele; in questa scuola divina gli angeli (intelletti senza debolezze ma senza malizia) domandano a Israele, posto in prima fila, il senso della parola divina. L’esistenza umana, malgrado l’inferiorità  del suo rango ontologico, a causa di questa inferiorità , di ciò ch’essa implica di tormentato, di inquieto e di critico, ò il vero luogo in cui la parola divina incontra l’intelletto e perde il resto delle sue virtຠche si pretendono mistiche. Ma l’apologo intende anche insegnarci che la verità  degli angeli non ò di specie diversa dalla verità  degli uomini, che gli uomini hanno accesso alla parola divina senza che l’estasi debba strapparli alla loro essenza, alla loro natura umana. ” (“Difficile libertà “) Ciò che non può essere detto ” Dall’esistenza all’esistente ” ò stata scritta nel 1947. Di quest’opera non si comprenderà  nulla se non la si illumina con il “sole nero” che ha coperto l’Europa tra il 39 e il 45, dove la semplice positività  autoevidente dell’esistere ò stata scossa per sempre, ha visto svanire il suo diritto. La notte di Lèvinas ò l’irrimediabile ripercussione filosofica ” dei cerchi concentrici di Notte e Nebbia ” (Neher) che ancora oggi soffocano la memoria dei sopravvissuti al paese delle ombre. Tutta l’opera di Lèvinas ò assillata da ciò che non può essere detto. E non per dirlo, finalmente, piegandolo alle condizioni del linguaggio, ma per ricomprendere l’intero compito del linguaggio e della parola a partire da ciò che inevitabilmente vi si sottrae. Una comunicazione con l’altro che lo lasci essere altro, senza ridurlo alla comune misura. Un cammino che, obbediente all’intenzione ebraica del “dabar”, che assieme significa “parola” ed “evento”, ci conduca verso una patria nella quale non siamo mai nati. Nessun ritorno all’origine, dunque, nessuna ricomposizione, ma esodo, partenza, destituzione della sovranità  di un soggetto che conosce e dispone e che, nella sua originaria libertà , dice e pensa ogni cosa a partire da sè, come se avesse assistito alla creazione del mondo e alla propria stessa nascita. Generalmente si affronta il pensiero di un filosofo attraverso l’enucleazione dei suoi temi, ma ò proprio questo che in Lèvinas risulta impossibile. L’unico suo interesse ò nella costruzione di un pensiero e di una scrittura che si lascino sollecitare da ciò che resiste alla coscienza e al suo movimento appropriante. Il volto e la vera frattura Prima di ogni avventura speculativa, ò nell’incontro con l’altro che si fa strada l’idea dell’infinito. Evento a cui Lèvinas dà  il nome di visage, volto. Anche nella distanza invalicabile delle culture, l’altro ò cercato nel suo volto e in questa prossimità  la relazione si gioca. Il volto ò la vera frattura nel territorio unificato e reso disponibile dalla conoscenza e dalle armi. Con esso avanza l’indisponibile per eccellenza. Lo sguardo ò conoscenza e percezione. La relazione col volto può essere dominata dalla percezione, ma ciò che ò specificatamente volto, ò ciò che non vi si riduce. Anzitutto c’ò la sua esposizione diretta, senza difesa nella quale appare la sua nudità  dignitosa. E’ proprio il volto che inizia e rende possibile ogni discorso ed ò il presupposto di tutte le relazioni umane. L’altro non ò un dato che viene afferrato quasi mettessimo le mani su di lui. L’altro mi guarda e mi riguarda e si disfa dell’idea che di lui ho in mente. Scrive Lèvinas in ” Totalità  e Infinito “: ” Noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta l’Altro. Questo modo non consiste nel mostrarsi come un insieme di qualità  che formano un’immagine. Il volto d’Altri distrugge ad ogni istante e oltrepassa l’immagine plastica che mi lascia “. Il volto dell’Altro ha significato di per sè, si impone al di là  del contesto fisico e sociale: il senso del volto non consiste nella relazione con qualcos’altro, esso ò senso per sè. Si può dire che il volto non ò visto. Esso ò ciò che non può diventare un contenuto afferrabile dal pensiero; ò l’incontenibile, ti conduce al di là . Il volto dell’Altro ti viene incontro e ti dice: “Tu non ucciderai”. Nonostante il divieto può esserci l’assassinio, ma la malignità  del male riapparirà  nei rimorsi della coscienza dell’assassino, nell’accesso al volto c’ò anche un accesso all’idea di Dio. Il volto ò responsabilità  per Altri: il volto dell’Altro entra nel nostro mondo; esso ò una visitazione; ò responsabilità : esso mi guarda e mi riguarda. Il volto d’Altri mi impone un atteggiamento etico: ” ò il povero per il quale io posso tutto e al quale devo tutto “. E’ così che il volto si sottrae al possesso; il volto dell’Altro, afferma Lèvinas, ” mi parla e mi invita ad una relazione che non ha misura comune con un potere che si esercita “. Il volto dell’Altro, dunque, mi coinvolge, mi pone in questione, mi rende immediatamente responsabile. La responsabilità  nei confronti dell’Altro viene a configurarsi, nel pensiero di Lèvinas, come la struttura originaria del soggetto. Fin dall’inizio, ” l’estraneo che non ho nè concepito, nè partorito, l’ ho già  in braccio “. La mia responsabilità  nei confronti dell’altro arriva fino al punto che io mi debba sentire responsabile anche della responsabilità  degli altri. Lo stato e la giustizia Questo comporta la costruzione delle istituzioni e anche dello Stato. Difatti, scrive Lèvinas, ” l’Altro per il quale sono responsabile può essere il carnefice di un terzo che ò anche il mio Altro “. Di qui la necessità  di una giustizia, e dunque delle istituzioni e dello Stato. Ha detto Lèvinas in un’intervista: ” se noi fossimo stati in due, nella storia del mondo ci saremmo fermati all’idea di responsabilità , ma dal momento in cui ci si trova in tre, si pone il problema del rapporto tra il secondo ed il terzo. Alla carità  iniziale si aggiunge una preoccupazione di giustizia e quindi l’esigenza dello Stato, della politica. La giustizia ò una carità  più completa. ” Per Lèvinas, quindi, la responsabilità  ò responsabilità  per altri ed ò alla base della soggettività  per quel che non ò fatto mio e che non mi riguarda. Il legame con altri si stringe solo con la responsabilità , sia che questa sia accettata o rifiutata perchè io sono responsabile di altri senza aspettare il contrario, perchè l’inverso riguarda loro. Siamo responsabili delle persecuzioni che subiamo perchè sopportandole e combattendole, senza scappare da esse, ma rendendosene testimoni, reclamiamo giustizia per il “proprio popolo”. La giustizia ha senso soltanto se conserva lo spirito del disinteresse che anima l’idea della responsabilità  per l’altro uomo. La responsabilità  mi incombe e non la posso rifiutare, preme su di me attraverso lo sguardo altrui che non posso deificare come frammento della Totalità . ” Nessuno, in questo momento può dire: ho fatto tutto il mio dovere “. Questa affermazione ò un’apertura all’infinito perchè significa che siamo volti in costante tensione verso la realizzazione della nostra testimonianza di responsabilità  per Altri. La testimonianza etica ò una rivelazione che non ò una conoscenza perchè il testimone agisce per propria volontà  e con l’affermazione “Eccomi!”, testimonia il suo aver risposto davanti agli altri e per gli altri. In ” Altrimenti che essere o al di là  dell’essenza “, Lèvinas giunge a vedere nella responsabilità  per l’Altro ” un’assegnazione a rispondere dell’Altro, un’espiazione per l’Altro, una sostituzione dell’Altro “. A questo proposito, il Filosofo afferma: ” il soggetto ò ostaggio “. ” Il termine io significa Eccomi, rispondendo di tutti e di tutto “. Ed ò soltanto attraverso la condizione di ostaggio, scrive Lèvinas, che nel mondo può esserci ” pietà , comprensione, perdono e prossimità  “. Dietro a questa posizione etica c’ò, ad avviso di Lèvinas, Dio: c’ò Dio come ispirazione, quantunque non come svelamento di se stesso, perchè Dio o la sua parola, mi viene all’idea concretamente, davanti al volto dell’altro uomo in cui io leggo il comandamento “Tu non ucciderai”. Il divieto scritto sul volto non si può considerare una prova dell’esistenza di Dio, ma ò la circostanza in cui la parola di Dio acquista senso. Ed ecco ancora Lèvinas: ” io non vorrei definire nulla attraverso Dio, giacchè io conosco l’umano. E’ Dio che posso definire attraverso le relazioni umane, non l’inverso. ” In Lèvinas, l’etica si fa spia di un Dio presente e irraggiungibile, vicino e differente.

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