Recentemente ho compilato un resoconto delle principali novelle del capolavoro boccacciano, segnalando di ciascuna le tematiche principali e in questo modo mi sono davvero reso conto della complessità, quasi al livello di manierismo, con il quale l’autore ha intrecciato più motivi ricorrenti. In particolare mi ha colpito l’episodio conclusivo quello di Griselda, Giornata X Novella X. In questo racconto si narra la storia di questo cinico e spietato gentiluomo, tale Gualtieri marchese di Saluzzo: dalla narrazione lo si evince affetto da un’inguaribile misoginia, tuttavia per compiacere le sempre più frequenti pressioni dei suoi fidati sulla necessità di una compagna al suo fianco, decide di prendere per moglie una giovine di un villaggio limitrofo, di nome Griselda. Tuttavia la sua incapacità a fidarsi delle donne lo porta a sottoporre la moglie ad una serie di estenuanti e psicologicamente dilanianti prove per testare la sua fedeltà e la sua sottomissione. A queste Griselda si sottopone senza mostrare il benché minimo istinto a ribellarsi, sempre pronta ad acconsentire con benevolenza ai capricci del marito. Tra le altre cose la giovane moglie viene costretta a consegnare la figlia ed il figlio al marito il quale asserisce di volersene sbarazzare ed inoltre la ripudia rimandandola quasi nuda dal padre, affermando di avere intenzione di risposarsi. Inoltre la invita come sguattera al suo matrimonio con una deliziosa giovinetta dodicenne. Al termine dello sposalizio, una volta convintosi delle innegabili virtù di sottomissione e obbedienza della moglie, le rivela che la presunta fidanzata altri non è che sua figlia, che il suo secondogenito non è morto e che il loro matrimonio non era stato annullato.
Se si esamina attentatamene la storia si vedrà che Amore, Fortuna ed Intelligenza rivestono un ruolo fondamentale nell’intreccio: il primo è il sentimento che induce alla cieca obbedienza e alla islamica sottomissione quale la moglie si sottopone, la Fortuna, intesa laicamente come destino, è quella che induce una povera contadina a diventare marchesana, mentre l’ingegno è lo strumento diabolico che permette al gentiluomo di sottoporre a tali supplizi la fedele consorte. Quindi tutta la vicenda è saldamente legata a queste tre inscindibili tematiche e non solo il racconto in questione, ma gran parte delle altre novelle hanno il medesimo layout: per citarne un altro la vicenda di Nastalgio degli Onesti: l’amore travolge il giovane invaghitosi della Traversari, l’ingegno gli permette di trovare il modo di indurla a sposarlo e la fortuna gli consente di assistere alla pantomima infernale che gli suggerisce l’idea dell’escamotage. Inoltre a sottolineare la complessità e la infinite sfaccettature dell’opera bisogna tenere in considerazione anche il pluristilismo: per esempio di passa dai toni notarili e appartenenti al registro religioso clericale, presenti nella prima novella quella di Ser Cappelletto, a quelli commerciali, nella storia di Landolfo Rufolo, per giungere a quelli comico-popolareschi, su cui è basata la beffa del porco ordita ai danni di Calandrino: quindi la ruota di Virgilio, che compendia i tre stili umile, medio e grave, è quasi presente in toto.
Alcuni lettori tuttavia hanno saputo trovare nell’opera una certa unità: Umberto Fosco per esempio ha definito il Decameron come “il poema dell’intelligenza”, mentre secondo Ferdinando Neri la Fortuna assuma un ruolo di primo piano a partire dalla II giornata e l’ingegno a cominciare dalla VI. Lo stesso De Sanctis, celebre commentatore della Commedia, ha cercato di ripetere l’esperimento, a mio modo di vedere in maniera quasi ossessiva, nel Decameron, sforzandosi di ricercare l’unità. Tendo a concordare con Momigliano, riguardo al problema dell’unità artistica: essa vi è solo quando c’è un problema spirituale dominante o un atteggiamento immutabile della coscienza, quando queste due componenti vengono a mancare le analogia fra le parti vengono a ridursi a meri dettagli tecnici, a sole caratteristiche metriche. Diversamente penso che si possa scovare l’unità poetica, dal momento che “tutte le novelle hanno origine dalla contemplazione dei limiti e degli ostacoli posti dalla vita stessa all’uomo nell’ambito della realtà sociale”: parole sicuramente ermetiche che Getto impiega per sottolineare che il trait de union che si instaura fra le varie narrazioni è dato dal fatto che le vicende scaturiscono immancabilmente da vicissitudini e difficoltà plausibilissime che si presentano sul cammino dei protagonisti, ma che potrebbero porsi anche ai suoi contemporanei, vedasi per esempio il problema di conquistare il cuore di una dama ambita, come nel caso di Federigo degli Alberghi, oppure il cruccio di espandere i propri traffici commerciali, come nel caso di Andreuccio da Perugia.
Da: atuttascuola.it
- 200 e 300
- Decameron di Boccaccio
- Boccaccio
- Letteratura Italiana - 200 e 300