Immedesimandosi al “Si” l’esserci fugge da se stesso e dalla sua possibilità di essere autenticamente se stesso e viene così a privarsi della sua apertura. Questa è invece propriamente caratterizzata dalla situazione emotiva dell’angoscia: come aveva già dimostrato Kierkegaard, a cui Heidegger si richiama palesemente, l’angoscia è diversa dalla paura, perché quel che essa si trova davanti non è mai un ente definito, ma qualcosa di indeterminato. Questo provoca una sorta di spaesamento dal mondo, che appare privo di significato e tale da non poter più offrire nulla, è il nulla. L’angoscia è una situazione rara, ma è in essa che l’esserci si manifesta come essere possibile, sottratto a quello stato di nascondimento, in cui si trova quand’è immerso nel “Si” anonimo, e aperto, invece, alla libertà e alla possibilità di ritrovare se stesso. In quanto aperto a questa possibilità, l’esserci è già sempre proiettato avanti rispetto a sé, cioè si progetta, nel senso letterale del termine.
A questo punto, Heidegger può affrontare il problema del poter essere autentico e compiere l’ulteriore passo, che lo condurrà a mostrare che l’essere-nel-mondo è essenzialmente temporale e storico. La cura è la struttura fondamentale dell’esserci e l’aver cura, caratterizzandosi come progetto, comporta un essere avanti a sé, cosicché nell’esserci c’è sempre qualcosa che ancora manca. Questo vuol dire che l’esserci non può mai esperirsi come un ente totalmente compiuto, ma sempre soltanto come poter essere e può essere autenticamente tale solo ‘anticipando costantemente la possibilità estrema e insuperabile’, cioè la morte. Per morte non si deve qui intendere la conclusione della vita: mentre la morte come fatto non ò mai la propria morte, dal momento che come fatto essa ò l’annichilamento dell’esserci, la morte come possibilità è la possibilità più propria. Nessuno infatti può assumersi il morire di un altro: di fronte alla possibilità della morte l’esserci ò insostituibile.
La morte è, dunque, per l’esserci la possibilità estrema e assolutamente propria di non poter più esserci: l’esserci non si crea questa possibilità, ma in quanto esiste è già sempre gettato in essa, che gli si rivela nell’angoscia. L’essere-per-la-morte è dunque costitutivo dell’esistenza, ma nell’esistenza quotidiana e inautentica, che tende a tranquillizzare, la morte è considerata un evento noto a tutti (si “muore”, appunto) e l’angoscia si banalizza assumendo la forma della paura. Essere-per-la-morte, d’altra parte, non vuol dire realizzare la morte suicidandosi, perché in tal caso l’esserci si priverebbe della sua possibilità più propria, trasformandola in un fatto. Si tratta invece di assumersi con una decisione anticipatrice, la possibilità della morte, mantenendola come possibilità: in tal modo l’esserci si sottrae al “Si” e alla sua dispersione in possibilità puramente casuali, si comprende come un essere finito e si dispone alla scelta delle sue possibilità autentiche.
Attraverso l’appello della voce della coscienza l’esserci è richiamato al suo più proprio poter-essere, ma che al suo sentirsi in colpa. Infatti, dal momento che è libero solo scegliendo una possibilità e rinunciando alle altre, l’esserci è caratterizzato costitutivamente da un “non” e pertanto si configura, al tempo stesso, come nullità di se stesso. Per questo egli si sente in colpa e il richiamo della coscienza lo conduce allora a non disperdersi in possibilità inautentiche, ma alla scelta di scegliere se stesso, che Heidegger chiama, con un termine diffuso nella cultura del tempo, decisione: ponendosi in lotta contro la non verità del “si”, la decisione mette di fronte alla verità originaria dell’esistenza, nella quale l’esserci ò svelato a se stesso nel suo poter-essere autentico.
La cura, in quanto struttura fondamentale dell’esistenza, si è così mostrata nella sua autenticità come decisione anticipatrice della morte: il senso di tale cura, secondo Heidegger, è quindi la temporalità. Nell’esistenza inautentica il tempo ò concepito come un’infinita successione di “ora”, di cui non si può pensare il termine, ma ciò occulta la temporalità autentica. Nell’orizzonte dell’inautenticità , infatti, il futuro è pensato essenzialmente come oggetto di attesa, il passato come oggetto di ricordo e il presente non è l’attimo della decisione, ma poggia soltanto sull’attesa di possibilità che illusoriamente si ritiene che siano svincolate dal passato. Ciò significa che nell’esistenza inautentica il tempo si costituisce soltanto come somma di tre momenti, non come unità.
La temporalità autentica, invece, secondo Heidegger, non è un ente: propriamente essa non è, ma “si temporalizza”, cioè passato, presente e futuro non sono tre fasi distinte, ma soltanto aspetti diversi di un unico processo di temporalizzazione (Heidegger, lo chiama l’ ekstatikòn, che in greco significa l’ “andar fuori di sé”). La temporalità autentica rende dunque possibile l’unità dell’esistenza come unità di passato, presente e futuro e non ò più pensata privilegiando il presente; anzi il senso primario dell’esistenzialità viene ad essere riposto nell’avvenire, in cui per l’esserci ne va del suo essere. L’esserci è dunque caratterizzato dalla mobilità, ma questa mobilità è diversa dal moto di un ente semplicemente presente all’interno del tempo: essa consiste nello storicizzarsi dell’esserci.
La storia non è primariamente quel che è oggetto di una scienza particolare, la storiografia: l’esserci non è temporale perché sta nella storia, ma esiste e può esistere storicamente soltanto perché è temporale nel fondamento del suo essere. Nella concezione ordinaria, per storico s’intende solitamente il passato, in quanto non è più presente o in quanto è ancora presente, ma inefficace o in quanto ancora efficace nel presente: ciò che domina in questa concezione è il riferimento al presente. Storia è invece propriamente, secondo Heidegger, lo storicizzarsi nel tempo dell’esserci esistente: l’esserci non può mai essere passato, perché non può essere un qualcosa di compiuto e definitivo, né una semplice presenza, dato che il suo essere ò esistenza e quindi poter-essere.
La finitudine, avvertita attraverso l’essere-per-la-morte, sottrae l’esistenza alla molteplicità caotica delle possibilità che si offrono e la pone di fronte alla nudità del suo destino, il quale è lo storicizzarsi dell’esserci che ha luogo nella decisone autentica: l’esserci, libero di fronte alla possibilità della sua morte, si tramanda in una possibilità ereditata e tuttavia scelta, assume il suo passato come determinante per il futuro, cioè come destino, e si mantiene fedele ad esso.
Nell’analisi heideggeriana di questi termini è avvertibile il suono di discussioni fiorite nella cultura tedesca, durante e immediatamente dopo la prima guerra mondiale, e guidata dalla preoccupazione per la sorte della nazione e dell’identità tedesca. In questa situazione il tema della morte si era imposto in tutta la sua drammaticità agli intellettuali interventisti, polemici contro le aspirazione borghesi, ritenute tipiche della moderna civiltà industriale, alla sicurezza e alle banalità della vita quotidiana. A questo essi contrapponevano l’esperienza della morte come possibilità suprema, di fronte alla quale si decide di se stessi e si ritrova, al tempo stesso, il legame autentico con la comunità e il popolo al quale si appartiene.
- 1900
- Heidegger
- Filosofia - 1900