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Fichte: Il giusnaturalismo

Il giusnaturalismo fichtiano.

Anche il pensiero giuridico-politico di Fichte, come quello più specificatamente filosofico, presenta carattere evolutivo e si articola in periodi diversi. La sua prima fase copre l’ arco degli anni Novanta e trova espressione soprattutto nei Contributi per la rettifica del giudizio del pubblico sulla Rivoluzione francese (1793) e nel Fondamento del diritto naturale (1796-1797). In questo periodo della sua esasperata ricerca, Fichte rimane fedele ai princìpi del giusnaturismo, soprattutto nella forma in cui esso era già  presente in Kant. Precedentemente e indipendentemente dalla costituzione un diritto positivo, garantito dalle leggi dello Stato, esiste un diritto naturale o razionale, cosiddetto perchò inscritto nella natura stessa dell’ uomo, ossia nella ragione. Il diritto e la morale trovano infatti nella ragione il loro comune fondamento. La differenza ò che, mentre la morale riguarda l’ ambito dei rapporti che l’ individuo intrattiene con se stesso, il diritto concerne la sfera delle relazioni tra individui diversi. La morale ò relativa all’ interiorità  della coscienza, il diritto riguarda l’ esteriorità  della vita sociale. Morale e diritto hanno anche in comune la promozione della libertà  umana: lo scopo della morale dell’ uomo consiste nella realizzazione della propria libertà , cioò l’ affermazione della propria indipendenza dalla natura. Tuttavia, nella sua azione concreta l’ individuo si trova di fronte altri individui, cioò altri soggetti morali, portatori di un analogo diritto-dovere alla libertà . La ragione comanda, allora, di instaurare un ordine sociale che, anche esteriormente, renda possibile la realizzazione della libertà  di ciascuno senza pregiudicare la libertà  degli altri. “Il concetto del diritto ò infatti il concetto dei vicendevoli rapporti necessari (cioò necessariamente stabiliti dalla ragione) tra esseri liberi”, fa notare Fichte. Il giusnaturismo fichtiano ò comunque perfettamente integrato con gli aspetti pratici della dottrina della scienza. All’ interno dei diritti naturali, Fichte distingue infatti tra diritti inalienabili, che entrano nella definizione essenziale dell’ uomo e sono indispensabili per realizzare il suo compito morale (per esempio, la libertà ), e diritti alienabili, che sono indifferenti per la coscienza in quanto non influiscono nè positivamente nè negativamente sulla realizzazione del dovere. I diritti alienabili possono essere ceduti o scambiati mediante la stipulazione di contratti, dando così origine alla società  (intesa come società  naturale, precedente la società  statale). Nell’ ambito della società  nasce l’ istituzione della proprietà , la quale ha il suo fondamento naturale (come già  diceva Locke) nel lavoro con cui il possessore imprime la sua impronta individuale all ‘ oggetto di cui ha preso possesso, per esempio il campo che ha lavorato. Ma soltanto attraverso un contratto, con cui gli individui si impegnino a riconoscere reciprocamente l’ appropriazione mediante lavoro, il semplice possesso fisico si trasforma in una proprietà  giuridica. Sempre nella sfera della società  naturale si trovano inoltre le condizioni per la realizzazione della cultura, intesa come “l’ esercizio di tutte le nuove facoltà  allo scopo della piena libertà , della piena indipendenza da tutto ciò che non ò noi stessi, che non ò il nostro Io puro”. Infatti, se da un lato la cultura, comportando una progressiva liberazione dalla schiavitù della sensibilità , dipende esclusivamente dalla coscienza interiore dell’ uomo, dall’ altro essa richiede, per la sua piena realizzazione, anche il concorso dell’ azione esterna degli altri individui, e quindi della società . La promozione della cultura non ò impresa di asceti solitari, ma di uomini che vivono e operano attivamente nella comunità  sociale. Un caso particolare di contratto ò il contratto sociale, attraverso il quale si passa dalla società  naturale allo Stato. Le funzioni dello Stato sono due: in primis, esso conferisce potere coercitivo al diritto naturale, trasformando i comandi della ragione in vere e proprie leggi positive (positive nel senso di “poste”); in secondo luogo, esso introduce nuove norme, indifferenti dal punto di vista del diritto naturale, ma intese a promuovere determinate finalità  specifiche sulle quali tutti i cittadini concordano. Il riconoscimento dell’ origine contrattuale dello Stato ha in Fichte notevoli conseguenze. Infatti, se il contratto sociale ò stato stipulato nel solo interesse dei contraenti, ò sempre possibile annullarlo, quando gli individui non abbiano più motivo di perpetrarlo: ogni contratto può essere liberamente sciolto, così come ò stato liberamente accettato. Per Fichte del resto, l’ istituzione statale non ò indispensabile neppure per il mantenimento forzoso dell’ ordine sociale, dal momento che, se gli uomini sviluppassero totalmente la propria moralità , non avrebbero bisogno della coercizione esteriore delle leggi positive per realizzare il diritto che ha un fondamento naturale. La posizione originaria di Fichte, a proposito del problema giuridico – politico, ò quindi caratterizzata da un sostanziale antistatalismo: il futuro di di un’ umanità  moralmente maggiorenne ò una società  senza Stato. Questo giudizio limitativo sul valore dello Stato ò rafforzato anche dalla convinzione i due scopi fondamentali del vivere sociale (la garanzia della proprietà  e la promozione della cultura) non dipendono dallo Stato, ma da una società  naturale. Anzi, l’ esperienza storica insegna che in molti casi gli Stati hanno reso precario il godimento della proprietà  e, soprattutto, hanno ostacolato il perseguimento della cultura e delle finalità  morali dell’ uomo. In quest’ ultima circostanza non solo ò possibile, ma diventa doveroso sciogliere il contratto sociale. In base a queste considerazioni, all’ inizio degli anni Novanta Fichte dimostra la legittimità  della rivoluzione francese, interpretata come la risoluzione di un contratto sociale ingiusto e la sua sostituzione con un nuovo patto, più vicino all’ essenza e alla finalità  dell’ uomo. E’ evidente quanto su queste idee del giovane Fichte “giacobino” abbia influito la letture di Rosseau, la cui opera liberatrice ò da lui accostata a quella di Cristo e di Lutero.

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