La dottrina della scienza, così come viene esposta nei Fondamenti del 1794 e nelle successive riformulazioni fino alle due Introduzioni alla dottrina della scienza del 1797, determina la fama di Fichte presso i contemporanei. Le successive versioni delle Dottrina della scienza (1801, 1804, 1810, 1813, 1814) non ebbero incidenza sia perchè, eccetto quella del 1810, furono pubblicate solo dopo la morte del loro autore, sia perchè la popolarità di Fichte ormai era oscurata dalla fama di Schelling. L’ idealismo di Fichte, che i suoi contemporanei conoscono, ò quindi quello che vede nell’ Io Assoluto il fondamento ultimo di ogni realtà , tanto sotto il profilo teoretico quanto sotto quello pratico. Stando così le cose, non ebbe torto Hegel a definire la filosofia fichtiana come idealismo soggettivo, cui andava contrapposto l’ idealismo oggettivo di Schelling, riservando invece la definizione di idealismo assoluto per il proprio sistema filosofico, che doveva essere sintesi e completamento delle unilaterali proposte filosofiche dei primi due. Ma l’ idealismo soggettivo esaurisce soltanto la prima fase del pensiero di Fichte. Dal 1800 in poi egli, pur difendendo la continuità del suo primo pensiero con la dottrina del ‘ 94, si distacca dallo schema dei tre princìpi e pone in secondo piano la stessa esposizione dell’ idealismo trascendentale, imprimendo alla propria riflessione un sempre più forte carattere religioso. Su di lui hanno probabilmente influenza le critiche degli avversari, soprattutto dei romantici, che lo accusavano di aver formulato, con la dottrina della scienza, un sapere formalistico, costruito puramente a priori, chiuso nella soggettività dell’ Io e come tale incapace di attingere la vera realtà . Per sfuggire a queste critiche, Fichte intende ora dare al suo sistema un fondamento ontologico, anzichò semplicemente trascendentale: l’ Io puro non appare più il princìpio primo, da cui far dipendere l’ intero sistema, ma rimanda a un fondamento ulteriore, a un Essere assoluto che sta a sua volta a fondamento dell’ attività dell’ Io. Il nuovo orientamento del pensiero di Fichte implica anche una nuova nozione dell’ infinito. Fino al 1800 l’ infinitezza era attribuita soltanto all’ attività del soggetto, oltre che al compito morale che esso deve realizzare. Si trattava, quindi, di un’ infinitezza trascendentale (o, per così dire, funzionale) la quale non toccava la sfera dell’ essere. Il concetto di una “divinità nell quale tutto fosse posto per il solo fatto che l’ Io era posto”, cioò il concetto di un Essere infinito che non trovasse più limiti in alcun Non-io ad esso esterno, era dichiarato “impensabile”. Ora, invece, l’ infinito assume carattere metafisico: ò l’ infinitezza di un Essere, di un Dio o, nella nuova terminologia che Fichte prende a prestito dai romantici, di un Assoluto che ò principio ontologico (e non soltanto gnoseologico) di ogni realtà . Si ò detto di una probabile influenza su Fichte da parte dei romantici: non a caso Schelling stesso lo accusò di plagio, per aver mutuato da lui il concetto di Assoluto. Ma la filosofia dell’ Assoluto di Fichte si differenzia da quella romantica sotto due aspetti. In primis, mentre i romantici ritenevano che l’ Assoluto si manifestasse nel mondo della natura, Fichte (rimanendo in ciò più fedele al principio kantiano del primato della ragion pratica) ritiene che la sede più propria della sua rivelazione sia la sfera morale. Questo ò evidente sin dalla prima opera che, in forma “popolare”, apre la nuova fase del pensiero fichtiano, La missione dell’ uomo, del 1800. Il fondamento soprasensibile che deve fondare il mondo sensibile ò una volontà morale infinita, principio e garanzia di un ordine morale assoluto nel quale convergono in unità tutte le volontà finite che agiscono in base al dovere. Con Schelling e i romantici, Fichte condivide ormai la convinzione dell’ insufficienza degli strumenti razionali (e quindi della dottrina della scienza, così com’ era formulata nel ‘ 94) per attingere l’ Assoluto. Ma mentre i romantici credono che esso possa essere colto nella natura o nell’ arte, Fichte afferma che ad esso si può arrivare soltanto attraverso l’ esperienza morale. In secondo luogo, Fichte concepisce l’ Assoluto non come identità o indifferenza al pari di Schelling, ma come qualcosa che, non essendo attingibile attraverso le forme conoscitive dell’ Io puro, ò al di là di ogni rappresentazione, comprese quelle dell’ identità e dell’ indifferenza. In una lettera del 1801 egli afferma: l’ Assoluto “non ò nè Sapere, nè Essere, nè Identità , nè Indifferenza di entrambi, ma assolutamente l’ Assoluto, puramente e semplicemente”. E ancora: “L’ Assoluto ò assolutamente ciò che ò, riposa su e in se medesimo assolutamente, senza mutamento nè oscillazione, saldo, completo e chiuso in sè stesso”. Da queste affermazioni si evince che l’ essenza ultima dell’ Assoluto non ò conoscibile. Ciò che l’ uomo può cogliere non ò l’ Assoluto stesso, ma soltanto la sua immagine, la sua manifestazione. Nell’ ultimo periodo del suo pensiero, per spiegare la sua concezione dell’ Assoluto, Fichte ricorre al modello teologico di tipo gerarchico introdotto nella filosofia occidentale dal pensiero neoplatonico antico e parzialmente ripreso, in chiave più espressamente religiosa, nel Vangelo di Giovanni: per tale ragione questa frase della filosofia fichtiana viene indicata come dottrina giovannea. In essa si distinguono almeno tre gradi fondamentali della realtà . 1) Al ilvello superiore vi ò l’ Assoluto, ovvero “Dio in sè e per sè”. Qui Dio viene considerato come Essere puro, precedente a ogni determinazione e a ogni distinzione, e quindi come assoluta Unità (analogamente all’ Uno di Plotino): in quanto tale l’ Assoluto rimane del tutto inaccessibile alla conoscenza umana. 2) Al livello intermedio si colloca l’ Idea di Dio, ovvero la sua manifestazione in forma di ragione assoluta. Essendo ragione, l’ Idea può essere partecipata dall’ uomo, il quale dunque non conosce Dio stesso, ma soltanto quell’ “immagine” di Dio che ò consona alla sua natura razionale. Nella teologia di Giovanni, questo livello corrisponde al Logos, al Verbo, al Figlio divino intermediario tra Dio padre e il mondo. 3) A sua volta, infatti, la ragione assoluta (che Fichte tende a identificare con l’ Io assoluto della Dottrina della scienza) produce il mondo sensibile, il quale da un lato appare come un limite all’ attività della ragione stessa, dall’ altro dev’ essere compreso come una sua semplice “posizione” e “rappresentazione”, e quindi come immagine dell’ immagine di Dio. Il destino dell’ uomo sta nel raggiungimento della beatitudine, ovvero nell’ unione con Dio. A ciò non ò sufficiente il Sapere assoluto, nel quale l’ uomo attinge soltanto l’ idea di Dio, l’ unica immagine divina a lui razionalmente accessibile. Lo stesso Sapere, tuttavia, può aprirsi all’ Assoluto, pur senza conoscerlo: portando all’ estremo la riflessione su se stesso e astraendo da tutti i suoi contenuti specifici, il sapere razionale prende coscienza del suo essere semplice forma. Consapevole dell’ insufficienza di questo carattere puramente formale (era la critica che Schelling e i romantici rivolgevano a Fichte), la ragione sente l’ esigenza di un fondamento che vada al di là di se stessa e che sia radicato nella pienezza dell’ essere. Tale fondamento ò l’ Assoluto, con il quale l’ uomo si può ricongiungere non con un atto conoscitivo (dato che l’ Assoluto ò al di là della ragione), bensì con un atto di amore: soltanto allora vi ò piena fusione tra l’ Assoluto e la forma che lo esprime, ovvero tra Dio e la sua manifestazione nella ragione umana.
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