Filippiche IV, 5 - Studentville

Filippiche IV, 5

Reliquum est,

Quirites, ut vos in ista sententia, quam prae vobis fertis, perseveretis. Faciam igitur, ut imperatores instructa acie solent,

quamquam paratissimos milites ad proeliandum videant, ut eos tamen adhortentur, sic ego vos ardentes et erectos ad libertatem

reciperandam cohortabor. Non est vobis, Quirites, cum eo hoste certamen, cum quo aliqua pacis condicio esse possit. Neque enim

ille servitutem vestram ut antea, sed iam iratus sanguinem concupivit. Nullus ei ludus videtur esse iucundior quam cruor, quam

caedes, quam ante oculos trucidatio civium. Non est vobis res, Quirites, cum scelerato homine ac nefario, sed cum immani

taetraque belua, quae quoniam in foveam incidit, obruatur. Si enim illinc emerserit, nullius supplicii crudelitas erit

recusanda. Sed tenetur, premitur, urguetur nunc iis copiis, quas [iam] habemus, mox iis, quas paucis diebus novi consules

comparabunt. Incumbite in causam, Quirites, ut facitis. Numquam maior consensus vester in ulla causa fuit, numquam tam

vehementer cum senatu consociati fuistis. Nec mirum; agitur enim, non qua condicione victuri, sed victurine simus an cum

supplicio ignominiaque perituri. Quamquam mortem quidem natura omnibus proposuit, crudelitatem mortis et dedecus virtus

propulsare solet, quae propria est Romani generis et seminis. Hanc retinete, quaeso, quam vobis tamquam hereditatem maiores

vestri reliquerunt. Nam cum alia omnia falsa, incerta sint, caduca, mobilia, virtus est una altissimis defixa radicibus; quae

numquam vi ulla labefactari potest, numquam demoveri loco. Hac virtute maiores vestri primum universam Italiam devicerunt,

deinde Karthaginem exciderunt, Numantiam everterunt, potentissimos reges, bellicosissimas gentes in dicionem huius imperii

redegerunt.

Versione tradotta

Resta, o Quiriti, che

voi perseveriate in codesto proposito che portate avanti a voi. Farò dunque come usano i comandanti dopo aver schierato

l'esercito che sebbene vedano i soldati molto preparati al combattere tuttavia li esortano; così io esorterò voi ardenti e

sollevati a recuperare la libertà. Voi non avete, o Quiriti, non avete da combattere con un nemico tale col quale si possa

stabilire una certa condizione di pace: infatti quello non desidera, come prima, la vostra servitù, ma ora, irato, il sangue.

Nessuno spettacolo gli sembra essere più piacevole quanto il sangue, quanto la strage, quanto l'eccidio dei cittadini

davanti agli occhi. Voi non avete a che fare, Quiriti, con un uomo scellerato e crudele, ma con una grande e orribile belva

che, giacché è caduta in una fossa, deve essere sepolta. Se infatti uscirà di lì non potremo evitare la crudeltà di nessun

supplizio. Ma ora è preso, è stretto, è pressato con quelle milizie che già abbiamo e fra poco da quelle che i nuovi consoli

allestiranno fra pochi giorni. Gettatevi nell'impresa come fate, o Quiriti. Mai fu maggiore il vostro consenso in alcuna

causa, mai foste tanto ardentemente uniti col senato. Né è strano: si tratta infatti non in quale condizione potremo vivere ma

se potremo vivere o dovremo morire tra supplizi e vergogna. Sebbene la natura abbia destinato per tutti la morte, la virtù, che

è propria della stirpe e della generazione romana, è solita respingere la crudeltà e il disonore della morte. Conservate di

grazia questa virtù, Quiriti, che i vostri antenati vi hanno lasciato in eredità. Tutte le altre cose sono false, incerte,

caduche, instabili: la virtù soltanto è fissa con radici saldissime; la quale mai può essere scossa con alcuna forza, mai

essere smossa dal posto. Con questa virtù i vostri antenati prima vinsero tutta l'Italia, poi abbatterono Cartagine,

distrussero Numanzia, ridussero sotto il potere di questo impero re molto potenti, genti molto bellicose.

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