Si ricorda spesso la leggenda secondo la quale Galileo, per dimostrare la sua legge di caduta dei gravi, sarebbe salito sulla torre di Pisa e avrebbe fatto cadere oggetti di materiale diverso per verificare la fondatezza delle sue teorie. Noi sappiamo con certezza che questo ” racconto ” è falso ed è solo una leggenda non solo per mancanza di prove storiche, ma anche perchò se l’ avesse fatto non avrebbe verificato le sue teorie: un esperimento del genere avrebbe dato infatti ragione ad Aristotele, che sosteneva che i corpi cadono con una proporzionalità diretta con il proprio peso ( più un corpo è pesante e più cade velocemente ). Tuttavia noi oggi sappiamo che aveva ragione Galileo: il peso non c’ entra niente con la velocità di caduta dei gravi: cadono tutti con la stessa velocità , che è proporzionale non al peso, ma al tempo trascorso da quando il moto è iniziato ( se lancio un oggetto, prima va lento e poi aumenta col passare del tempo la velocità ). Dunque per Galileo la velocità di caduta è proporzionale non al peso, ma al tempo trascorso nella caduta. Gli oggetti cadono tutti con la stessa velocità ; però se facciamo cadere una palla di piombo e un batuffolo di cotone ci accorgiamo subito che non cadono alla stessa velocità e pare quindi aver ragione Aristotele e non Galileo; questo dimostra che l’ esperienza comune dà ragione ad Aristotele: egli quindi è davvero stato un grande osservatore della natura. Se Galileo fosse quindi salito sulla Torre di Pisa e avesse fatto cadere una palla di piombo e un batuffolo di cotone per dimostrare che il peso non conta avrebbe fatto fiasco. Galileo ha ragione solamente in considerazioni particolarissime, ideali: la legge di caduta dei gravi galileiana vale esclusivamente nel vuoto; nel vuoto sì che i corpi cadrebbero tutti alla stessa velocità . Quando non c’ è il vuoto è ovvio che un oggetto meno pesante occupa più spazio in proporzione al peso e occupando più spazio c’ è un attrito maggiore nella caduta: 1 Kg di piombo cade prima di 1 Kg di cotone secondo Aristotele; cadendo devono spostare l’ aria: 1 Kg di piombo deve spostarne poca, c’ è meno attrito e quindi arriva prima; 1 Kg di cotone occupa più spazio ( ci vuole tantissimo cotone per arrivare ad 1 Kg ! ), c’ è più attrito con l’ aria, e quindi arriva dopo rispetto al piombo. Questo perchò c’ è l’ aria: se fossimo nel vuoto toccherebbero terra insieme. Tutto il discorso insegna che l’ osservazione pura e semplice non dà mai ragione a Galileo perchò a lui non interessa l’ osservazione casuale, ma quella controllata in sistuazioni particolarissime: un’ osservazione ideale. In altre parole gli interessa l’ esperimento, ossia un’ esperienza fatta in una situazione controllata e quindi misurabile; se vedo cadere delle cose l’ esperienza di tipo aristotelico mi dice che ci sono oggetti che tendono al loro luogo naturale, al limite può dirmi che tendono ad aumentare di velocità man mano che precipitano; ma quest’ esperienza non mi dice di quanto aumenta la velocità in un determinato tempo. Ma perchò quindi Aristotele si basa solo sull’ esperienza, mentre Galileo anche sull’ esperimento, ossia l’ esperienza controllata? Ad Aristotele interessano i dati qualitativi – i corpi pesanti vanno verso il basso; al limite può interessargli sapere che ci sono corpi che vanno più velocemente, altri più lentamente – ma non gli interessano dati quantitativi ( quanto ci mette a cadere un oggetto, per esempio ) proprio perchò non ha i mezzi per misurare; invece Galileo può misurare con l’ esperimento, può quantificare; Aristotele non ha i mezzi perchò non gli interessa, ma è anche vero il contrario, ossia non gli interessa perchò non ha i mezzi. Accanto alla matematica, la sperimentazione ò il secondo mezzo a cui i nuovi scienziati fanno metodicamente ricorso. L’esperimento, inoltre, il quale ( come detto ) consiste nella riproduzione artificiale di processi naturali in condizioni di massima osservabilità , deve servirsi di strumenti di indagine e di misurazione sempre più raffinati (ad es. orologi, cannocchiali, telescopi, barometri). Si stabilisce quindi la già citata connessione tra scienza e tecnica. L’ esperienza di ogni giorno darebbe ragione ad Aristotele, ma Galileo sente l’ esigenza di ridurre l’ esperienza a condizioni ideali e rigorosamente determinabili, di eliminare tutti i fattori di disturbo rispetto al fenomeno che deve essere studiato. Però l’ esperienza comune non ci mette mai di fronte al fenomeno che dobbiamo studiare nella sua purezza: è sempre mescolato ad altri fenomeni: se devo studiare la caduta dei gravi, essa non è un fenomeno puro perchò c’ è l’ attrito; sarebbe puro se fatto nel vuoto o comunque ( visto che all’ epoca il vuoto non era realizzabile ) in condizioni che almeno si sforzino di ridurre al minimo quegli elementi di disturbo che tendono appunto a non farci vedere l’ oggetto della nostra indagine nella sua purezza. Allora l’ esperienza di Aristotele è concreta, sempre intrecciata ad altri fenomeni che disturbano, mai pura: non è esperimento, ma esperienza, semplice osservazione della natura. L’ esperimento è quello di Galileo, dove si riproduce una determinata situazione, un determinato fenomeno in condizioni che cercano di eliminare ciò che disturba per poter studiare in condizioni di purezza. L’ esperienza come la vorrebbe Galileo, però, non esiste mai in natura: ecco il paradosso della scienza galileiana. Se al giorno d’ oggi siamo abituati a pensare che il mondo descrittoci da Galileo sia quello vero, preciso, è altrettanto vero che Aristotele ci descrive il mondo così come lo vediamo ogni giorno. Quello che dice la scienza galileiana non succede mai perchò nel nostro mondo non ci sono le condizioni giuste ( vedi il vuoto ): possiamo arrivare ad una conclusione paradossale: il mondo descritto da Galileo è un mondo puramente ideale, che esiste solo nella sua testa. E’ un mondo ideale al quale il nostro mondo concreto risulta avvicinarsi più o meno a seconda dei casi; è evidente che quanto appena detto evoca fortemente il platonismo: Platone aveva infatti parlato di un mondo ideale, delle idee perfette, immutabili ed uniche contrapposto ad un mondo sensibile ( il nostro ), pallida copia di quello ideale. Anche per Galilei in fondo è così: nel nostro mondo le cose non sono mai ” perfette ” come le propone Galileo. D’ altronde già l’ amore per le ” certe dimostrazioni “, ossia per la matematica è di forte ispirazione platonica: ” non entri chi non sa la matematica ” c’ era scritto all’ ingresso dell’ accademia platonica. Un quesito su cui gli studiosi si sono molto arrovellati nel tempo è se Galileo preferisse le ” sensate esperienze ” o le ” certe dimostrazioni “; si è arrivati alla conclusione che egli preferisse le ” certe dimostrazioni “, le verità matematiche. Come mai? Cerchiamo di capire tramite un esempio concreto. Ritorniamo sulla legge di caduta dei gravi: in generale il metodo galileiano funziona così: si elabora un’ ipotesi matematica ( in termini di rapporti matematici tra le varie grandezze prese in esame ) su come funzionano i fenomeni, si cerca con un esperimento ( ossia un’ esperienza controllata e rigorosa ) di verificare se questa ipotesi corrisponde alla realtà fisica; si avanza l’ ipotesi che i corpi cadano secondo un’ accelerazione per cui la velocità è proporzionale al tempo trascorso ( v = t ). Si può vedere con un calcolo piuttosto semplice che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi ( v = t, ma v è spazio su tempo, ossia s/t; quindi v = t diventa s/t = t che è s = t al quadrato ). Galileo si pone una domanda: come posso verificare la caduta dei gravi? Per verificare Galileo in primo luogo si avvale della pars destruens, con la quale confuta ( distrugge ) le posizioni ” vecchie ” in contrasto con quelle da lui sostenute: fa alcuni esperimenti mentali ( ossia esperimenti non svolti materialmente, bensì nella mente di chi lo effettua; vengono svolti solo nella mente soprattutto perchò spesso non sono verificabili concretamente ); deve confutare la tesi aristotelica secondo la quale i corpi cadono a velocità diverse a seconda del loro peso. Fa questo ragionamento: supponiamo di avere due oggetti di peso diverso, che secondo Aristotele dovrebbero toccare terra in momenti diversi; proviamo ad unire insieme i due pesi ottenendo un corpo unico: con che velocità cadranno questi due corpi legati insieme? Secondo Aristotele essendo più pesante il nuovo corpo ( perchò somma dei due ) andrà più veloce di quello più pesante dei due da solo; ma è anche vero che il più leggero ridurrà la velocità di quello più pesante: si dovrà fare una media tra i due. Con questa dimostrazione per assurdo si dimostra che si dovrebbero avere due velocità diverse, per un verso una maggiore rispetto a quella dei due corpi precedenti da soli, per un altro una velocità intermedia tra le due: quindi l’ ipotesi aristotelica che sia il peso a determinare la velocità di caduta si smentisce da sè: l’ ipotesi del padre della logica viene così smentita da Galileo con un ragionamento logico. Altro tipo di esperimento mentale che Galileo propone per confutare le tesi aristoteliche della velocità di caduta legata al peso è il seguente: si vuole dimostrare che la differenza di velocità è dovuta alla presenza di un mezzo denso ( l’ aria, per esempio ) e che nel vuoto questa differenza si annullerebbe; ma il vuoto non lo si può realizzare: allora Galileo deve ovviare servendosi di mezzi con densità diversa: per esempio si può scegliere di far cadere i nostri oggetti di peso diverso nell’ aria, nell’ acqua e nell’ olio; ci si accorge subito che cadono sì con velocità diverse, ma se aumentiamo la densità del mezzo ( non più l’ aria ma l’ olio, per esempio ), ci si accorge che questa differenza di velocità di caduta aumenta: più il mezzo è denso e più la differenza tra le velocità di caduta di oggetti di peso diverso aumenta; è ovvio: più c’ è attrito e più l’ oggetto leggero ci mette ad atterrare. Se con il più denso ( l’ olio ) la differenza di velocità è grandissima, se con l’ intermedio ( l’ acqua ) è minore e se infine con l’ aria è minima, posso estrapolare ( da una seguenza di dati che possiedo ne tiro fuori uno che non possiedo ) qualcosa. Se la differenza di velocità diminuisce col diminuire della densità , posso arrivare ( con dati verificati ) ad estrapolare un dato che non avrò mai sperimentalmente: la caduta di corpi di pesi diversi nel vuoto ( che ha densità zero ). Emerge quindi una cosa fondamentale: Galileo si fonda in parte sulla esperienza, e molto di più su dati matematici, sul costruire mentalmente un mondo ( inesistente nella realtà ) in cui i dati dell’ esperienza risultano purificati. Esaminiamo ora la pars costruens, ossia in che modo Galileo, distrutte le tesi dell’ avversario, costruisce le sue: elabora un ‘ ipotesi in termini matematici, suggerita in qualche modo dall’ esperienza ma non derivante da essa: questo dimostra che nella costruzione della scienza l’ elemento creativo è assolutamente fondamentale; quasi mai dalla pura e semplice raccolta di dati vengono fuori verità : esse emergono solo grazie all’ atto creativo, ossia la formulazione di una ipotesi. Posso osservare la natura finchò voglio, ma non mi verrà mai fuori da sola l’ ipotesi galileiana sulla caduta dei gravi; dall’ osservazione della natura posso avere stimoli, ma devo dire ” proviamo ad immaginare che la legge sia questa “: si deve inventare avvalendosi dei suggerimenti che la natura ci fornisce; certo non avrebbe potuto inventare l’ ipotesi opposta: la velocità di caduta dei gravi dimuisce col tempo. Certo poteva anche inventare diversamente e dire che la velocità aumenta coll’ aumentare dello spazio percorso ( e peraltro lo fece, ma poi si corresse ). Ritornando all’ ipotesi che la velocità dipende dal tempo di caduta: si formula un’ ipotesi, ma non è verificabile direttamente ( la velocità non è quasi mai verificabile direttamente ); dire che la velocità è proporzionale al tempo non è verificabile direttamente, ma lo è la sua conseguenza matematica ( il teorema: l’ affermazione derivata matematicamente dall’ ipotesi ): l’ ipotesi è che la velocità sia proporzionale al tempo, il teorema è quello, matematicamente derivato dall’ ipotesi, che dice che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi. Questo teorema è sì verificabile; quindi Galileo valuta se questa teoria è verificata dall’ esperimento ( e non dall’ esperienza: devo infatti misurare le grandezze ); fa quindi il famoso esperimento del piano inclinato: doveva misurare i tempi per percorrere un certo spazio e gli spazi percorsi; deve rendere misurabile e quindi fa avvenire la caduta non in verticale ( sarebbe difficilissimo misurarla ) ma su un piano inclinato artificialmente creato ( maggior lentezza ); questo piano inclinato su cui è stato tracciato un carretto su cui far scorrere una biglia di bronzo deve essere il più liscio possibile per ridurre l’ attrito ( eliminarlo è impossibile; Galileo vuole renderlo trascurabile ). Dopo di che misura con gli imprecisi strumenti ( non si scendeva sotto il secondo, che si misurava coi battiti cardiaci ) di allora il tempo e lo spazio: constata che il teorema ( non l’ ipotesi che la velocità è proporzionale al tempo ) dello spazio percorso proporzionale al quadrato dei tempi è vero: in un secondo la biglia avrà percorso una distanza x; in due secondi una distanza x elevata a potenza, e così via. Galileo ritiene di poter dire che se il teorema è stato verificato, allora le premesse ( l’ ipotesi ) era vera; se la conseguenza è vera, allora anche la premessa è vera, dice Galileo. Ma secondo i sillogismi aristotelici se la conseguenza è vera non è detto che anche la premessa sia vera ( le rane sono vegetali, i vegetali sono verdi quindi le rane sono verdi: la conseguenza è giusta, ma la premessa no ! ). In effetti in logica è un grave errore credere che da conseguenza vera derivi premessa vera; ma Galileo opera in ambito matematico: nelle espressioni algebriche, per esempio, guardando il risultato finale che spesso i libri danno si può capire se l’ espressione è stata svolta correttamente; però si può arrivare al risultato anche con procedimenti sbagliati ( ed è la critica logica che si muove a Galileo ): ma in matematica ( a differenza che in logica ) le probabilità di arrivare a un risultato giusto svolgendo scorrettamente sono bassissime; e lo stesso vale per Galileo: avendo a che fare con quantità , è praticamente nulla la possibilità che si arrivi al giusto partendo dallo sbagliato. Dalla verifica del teorema che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi impiegati posso quindi argomentare la veridicità dell’ ipotesi che la velocità è proporzionale al tempo.
- Tesine