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Galvano Della Volpe

Pensiero e vita.

Cenni biografici e bibliografici Galvano Della Volpe nacque a Imola nel 1895, laureatosi a Bologna nel 1920, morì a Roma nel 1968. Allievo di Rodolfo Mondolfo, subisce negli anni venti l’influenza dell’attualismo di Gentile, per approdare al comunismo marxista nel 1944. Vince la cattedra di Storia della Filosofia all’Università  di Messina, dove resta tutta la vita, non per propria scelta. La sua influenza pratica sulla politica del Partito comunista ò sempre stata scarsa, in contrasto con l’importanza teorica della sua elaborazione filosofica. Ha incarnato nell’ambito della filosofia contemporanea la più coerente espressione del marxismo scientifico e anti-hegeliano. Lucio Colletti, suo allievo, ebbe a dichiarare che la carriera accademica di Della Volpe venne boicottata da Botteghe Oscure. Nessuno lo chiamò mai altrove. Colletti fu testimone delle sue ultime speranze, quando immaginava che Ugo Spirito lo chiamasse a Roma per la cattedra di estetica. Non aveva dalla sua il gruppo di potere del partito comunista. Come non pochi accademici comunisti, aveva coltivato simpatie fasciste. I compagni potevano in particolare rimproverargli un articolo sull’ estetica dei carri armati, sulle pagine di Primato, la rivista di Bottai. Ma la vera colpa, agli occhi della nomenklatura, era l’interpretazione del marxismo in chiave anti-hegeliana e anti-idealista. Per Colletti era un eretico. Era l’assertore d’un Marx critico radicale di Hegel, contro la tradizione italiana della continuità  fra Hegel e Marx e, sul piano nazionale, della linea che univa De Sanctis, Labriola, Croce e Gramsci. Eppure Galvano Della Volpe apparve, negli anni Cinquanta, anche un difensore dell’ortodossia togliattiana, sostenitore del primato della politica sulla cultura in una famosa polemica con Norberto Bobbio, propugnatore viceversa dell’intellettuale come suscitatore di dubbi. Per quanto lontano dalla vulgata marxista, e addirittura revisionista rispetto allo stalinismo, tuttavia in due significativi testi di filosofia politica, “Libertà  comunista” (1946) e “Rousseau e Marx” (1957), Della Volpe proponeva la liberazione dell’uomo dall’alienazione attraverso la rivoluzione comunista. E’ stato certamente un pensatore difficile da collocare, anzi non collocabile. Della Volpe era conte, uno dei tre “conti rossi” della Romagna. Gli altri due: il faentino Luigi Dal Pane (ma “rosso” solo in gioventù) e maestro di Renato Zangheri, e l’imolese, come Della Volpe, Antonio Graziadei. Pensatore di nobili natali, di ostica scrittura e di pessimo carattere, ebbe fama di seduttore, una testa da filosofo e una vita vissuta un po’ alla periferia di tutto quello che davvero contava sul piano del potere. Galvano Della Volpe ò stato il solo teorico del marxismo che ha dato vita a una scuola i cui tratti ancora oggi sono riconoscibili. Esercitò un grande fascino sui giovani con cui ebbe molti rapporti personali. Con lui si formarono, fra gli altri: Nicolao Merker, Mario Rossi, Lucio Colletti che tenevano Kant sugli scudi ed Hegel sotto i piedi. Marx sbrinato dall’idealismo hegeliano acquistò improvvisamente la statura di scienziato sociale. Questo marxista mal visto dal PCI seppe tenere insieme varie attività : l’estetica e la filosofia, la politica, il materialismo, la linguistica e naturalmente le buone letture. Nello scrivere non fu sorretto dalla forza classica, quella per intenderci che ebbe a tratti Lukà cs. Contorta risultò la sua prosa. Ma dopotutto riuscì a imporre uno stile di pensiero che passò non solo nei libri, in particolare nella “Logica come scienza positiva”, ma anche attraverso il magistero svolto nella remota Università  di Messina e nelle zone limitrofe del Partito comunista. Chi lo conobbe lo descrive come un uomo dotato di una straordinaria intelligenza e di una qualche aggressività  mitigata dall’ironia. Non gli dispiaceva il contatto umano, la passeggiata oziosa, la battuta salace, la sosta al bar. Anzi il bar fu per lui una sorta di seconda casa. Oltre agli studi teorici ispirati al marxismo “La libertà  comunista”, 1940; “Logica come scienza positiva”, 1950; “Rousseau e Marx”, 1957), Galvano Della Volpe ha scritto importanti opere sulla storia della filosofia: “Le origini e la formazione della dialettica hegeliana”; “Hegel, romantico e mistico” (1793-1800), 1929; “La filosofia dell’esperienza di David Hume” (1933-1939) e sull’estetica (“Il verosimile filmico”, 1954 e “Critica del gusto”, 1966). Un’esauriente introduzione al suo pensiero ò il libro di John Frazer, “Il pensiero di Galvano Della Volpe”, 1979. L’itinerario intellettuale Nel 1940 era stato sedotto dai carri armati tedeschi che avevano invaso la Francia e dalla realtà  del nuovo ordine nazista ma si era subito ricreduto grazie al comunismo avanzante, avvicinandosi a Marx, da lui e dai suoi discepoli definito in seguito il “Galilei del mondo morale o storico-sociale”. Da fascista era quindi diventato comunista. Galvano Della Volpe ebbe una posizione abbastanza singolare nel panorama marxista del primo dopoguerra. Intransigente nei confronti della precedente cultura filosofica italiana, egli era entrato in contatto con una versione pre-leninista del marxismo all’inizio degli anni Trenta, ma l’aveva rifiutata negli anni di ricerca di nuove vie d’uscita rispetto all’attualismo gentiliano. Questa ricerca puntò sull’accentuazione degli aspetti logico-materialistici della riflessione filosofica, con una critica molto dura di tutte le forme di misticismo, romanticismo, umanitarismo cristiano o laico, e con un riferimento forte ai temi del lavoro, della tecnica, della organizzazione Ebbe buoni rapporti con Rodolfo Mondolfo a Bologna, dove insegnò fino al 1938, quando passò all’Università  di Messina. La filosofia marxista di Della Volpe, emarginata negli anni successivi, ricomparirà  con forza nel dibattito tra i marxisti italiani tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. L’opera di Della Volpe ci appare complessa e, a volte, contraddittoria, articolata su una pluralità  di temi e discipline (dalla storia della filosofia all’estetica, dalla filosofia politica alla morale). Tuttavia il suo pensiero ò una continua elaborazione di quattro temi fondamentali: etica, estetica, logica, marxismo. In realtà  l’itinerario intellettuale dell’autore de “La libertà  comunista” non fu affatto lineare. Etica e politica Negli anni ’50 importante ò la riflessione etico-politica: nel saggio del 1957 “Rousseau e Marx” assistiamo ad una diversa valutazione del ruolo della filosofia politica di Rousseau nell’elaborazione di una teoria della democrazia socialista. Della Volpe non fa cadere le precedenti critiche rivolte a Rousseau, per cui il filosofo francese rimane sempre il teorico dell'”amore di sè” e dell’ “uguaglianza solo formale”. Ora ciò che lo studioso marxista pone in primo piano ò il tema della libertà  egualitaria, che, intesa come diritto di ciascuno al riconoscimento delle proprie capacità , ingloba in sè l’istanza individualistica della libertà  civile. Della Volpe mette a confronto le teorie dell’emancipazione umana di Rousseau e di Marx: • quella di Rousseau viene ricondotta alle sue origini platonico-cristiane. Col suo stile tipico, spezzato, contorto e con frequenti sottolineature, Della Volpe mette in luce la contraddizione che emerge in Rousseau tra libertà  della persona e uguaglianza sociale, tra istanza individualistica e istanza sociale. Rousseau, rispetto alla tradizione platonico-cristiana e giusnaturalistica, ha il merito, per Della Volpe, di averla laicizzata radicalmente. Il suo limite consiste nel privilegiare la persona, che ha il suo obiettivo in una sorta di narcisismo spirituale o di autocontemplazione interiore. • Questi limiti ideologici che rendono classista e borghese la concezione di Rousseau, vengono superati dalla teoria dell’emancipazione di Marx. Tale teoria viene riscontrata nei testi giovanili di Marx degli anni 1843-47 privilegiando quelli fortemente critici nei confronti di Hegel e ancora molto vicini al “naturalismo” e all’anticristianesimo di Feuerbach, sui quali Della Volpe ritornerà  frequentemente negli anni successivi. Sono i testi in cui Marx, sotto l’influenza di Feuerbach, accentua il tema della alienazione umana e quello della soppressione di tale alienazione mediante il comunismo. Nell’elaborare queste sue tesi, osserva Della Volpe che Hegel concepisce l’uomo come coscienza di sè, autocoscienza. L’uomo diventa “astrazione dell’uomo” mentre Marx cerca “l’uomo reale”, l’uomo che ò, anzitutto, natura, ente naturale, obiettivo. Della volpe insiste su queste accentuazioni e rileva che in Marx la soppressione positiva dell’alienazione, mediante il materialismo pratico o comunista, implica conseguentemente l’ateismo ma non un ateismo astratto o dogmatico. E’ da osservare che il frequente riferimento all’ateismo quale carattere essenziale del comunismo materialistico non poteva far piacere a Togliatti, impegnato a presentare invece un comunismo aperto anche a chi crede in Dio. Forse ò eccessivo mettere in luce il carattere tendenzialmente gradualista e riformista degli approdi cui giunge la ricerca teorico-politica di Della Volpe, ma non v’ò dubbio che il filosofo si ò impegnato, su questo terreno, in un costante lavoro di revisione, che nel tempo lo ha portato molto al di là  delle posizioni che aveva sostenuto nel libro sulla Libertà  comunista degli anni Quaranta. I fili di pensiero che vanno in questa direzione sono molteplici: basti ricordare l’ importanza che Della Volpe accorda al tema bobbiano e liberale dei limiti del potere statale; l’insistenza, per quanto riguarda lo Stato sovietico, sul punto della “legalità  socialista”; il recupero non solo di Rousseau, ma anche di Kant, col suo principio che impone di considerare “l’uomo come fine e mai come semplice mezzo”. Ma soprattutto quello che resta, nel Della Volpe politico, il punto teorico di maggiore impegno, la ricerca di una libertà  egualitaria che superi, ma conservandole, le “libertà  negative” del liberalismo. L’estetica Un’altra componente fondamentale del pensiero di Della Volpe ò costituita dalla problematica estetica. Dopo la critica dell’estetica romantica ne “Il verosimile filmico ed altri scritti di estetica” (1954), Della Volpe approda a due importanti risultati: la destituzione di legittimità  delle gerarchie di valori fra le arti e l’attribuzione del pieno valore conoscitivo alle opere d’arte, distinguibile dal valore conoscitivo della scienza solo tecnicamente. Con la “Critica del gusto” (1960) la nozione dell’arte come conoscenza ò alla base di uno dei più significativi e fecondi tentativi di fondare un’estetica materialistico-storica. Rifiutata l’estetica romantica, per Della Volpe non si tratta, tuttavia, di cercare un inesistente rapporto speculare tra arte e storia o società , quanto di cogliere il carattere specifico di tale interdipendenza come pure la specificità  per cui “l’opera d’arte può valere come tale anche quando i suoi diretti condizionamenti storici sono scomparsi”. I termini della scienza sono univoci mentre i termini del discorso poetico sono polisensi; fra i due ò situata l’equivocità  dei termini del linguaggio comune. La logica Nella sua opera maggiore, “Logica come scienza positiva” (1950), Della Volpe si fa sostenitore di un “marxismo galileiano”, in grado di far valere, in rapporto alle scienze storico-sociali, quel nesso critico di ragione ed esperienza teorizzato dalla grande tradizione storica antiplatonica (Aristotele, Galilei, Hume). Basandosi su una lettura originale degli scritti giovanili di Marx, Della Volpe mostra come la rottura del giovane Marx rispetto alla concezione della dialettica teorizzata da Hegel sia ben anteriore al completamento della sua opera scientifica nella maturità . Al centro della riflessione filosofica di Della Volpe sta il concetto di “astrazione determinata”, che consente di isolare, dal continuum delle formazioni storiche empiricamente presenti, certi elementi ideali capaci di svolgere, in relazione con un esperimento sociale determinato, una funzione di critica all’esistente e di anticipazione delle tendenze storiche in corso. L’astrazione determinata nella terminologia di Della Volpe, ò l’astrazione scientifica rigorosa, scoperta ed usata da Marx nel campo dell’economia politica e già  da lui contrapposta all’astrazione speculativa o generica. Il metodo scientifico corretto si configura come un movimento circolare dal concreto all’astratto e da questo di nuovo al concreto ossia come una continua messa a punto storica delle astrazioni o categorie economiche, il cui ordine logico quasi mai corrisponde a quello cronologico o empirico. Il marxismo La riflessione speculativa di Galvano della Volpe si fa ancora più precisa nel saggio “La libertà  comunista” del 1946, nel quale intende sottolineare e argomentare la radicale diversità  tra comunismo e liberalismo, contro le varie tendenze a mescolare liberalismo e socialismo (evidente stoccata a Bobbio, più che a Gobetti). Anche in questo caso, le idee di Della Volpe si scontreranno con la politica togliattiana della comunità  tra liberalismo e comunismo e costituiranno il punto di riferimento fondamentale per il dibattito teorico interno al partito comunista tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Oggi Galvano Della Volpe ò un filosofo quasi dimenticato, ò l’eretico dimenticato. Vivente, fu emarginato. Per Croce fu uno dei soliti fabbricanti di titoli filosofici per concorso. Per i comunisti era un eretico da tenere a distanza. Il suo delitto era stato quello di dissacratore del Diamat, che era la filosofia ortodossa dei sovietici. Sul Diamat i comunisti del suo partito, pur bruciando incensi a Gramsci che in Russia non era ben visto, amavano sorvolare per non incorrere nei fulmini della chiesa madre. Nel 1946 Della Volpe era uscito con “La libertà  comunista” che aveva fatto un certo rumore. La prosa di questo saggio ò davvero impervia. Lucio Colletti, che fu il miglior discepolo di Della Volpe, dalle cui posizioni successivamente si ò molto allontanato e che diede respiro europeo alle sue posizioni, nel 1997 ha dichiarato che “La libertà  comunista” come scrittura non era un gran che e che era riuscito ad affrontare quel saggio solo nel 1981 assimilandolo, centellinandolo e postillandolo un poco alla volta. Vi erano alcune pagine, tre in tutto, delle quali non era mai riuscito a venire a capo. Sempre a giudizio di Lucio Colletti “La libertà  comunista” ò un libro sbagliato. La sua lettura può avere oggi solo un valore informativo o essere osata per citazioni su qualche tesi di laurea. “La Libertà  comunista”, che delinea una società  così astrattamente armonica, così fatta di vacue profondità , oggi appare come un sughero galleggiante su di un mondo fatto di lacerazioni e contrasti che non avranno mai fine. Il punto di partenza ò sempre Rousseau, il cui individualismo fondato sul concetto di persona, lo sappiamo, entra in contraddizione con il concetto di uguaglianza sociale. Tali sono i limiti ideologici di Rousseau. Ma il marxismo costituisce un’alternativa radicale, non una prosecuzione o uno sviluppo, rispetto a quella tradizione. Secondo Della Volpe infatti, contro quella tradizione, e contro Hegel, i presupposti metodologici e le relative premesse critico-polemiche della teoria del comunismo implicano un orientamento generale che ò il materialismo pratico o storico o materialismo comunista e un ateismo non astratto. Della Volpe si sofferma quindi sui caratteri attuali della battaglia teorica, con riferimento ai problemi della tecnica e del lavoro. E’ presente un’esaltazione acritica sullo strakhanovismo sovietico, sul carattere virile della libertà  comunista, sul rapporto tra americanismo (Dewey) e comunismo. Vengono indicati i limiti metafisici e borghesi del pensiero di Dewey, rispetto al quale quello marxista rivela la sua superiorità . Nella intricata vicenda del marxismo italiano del dopoguerra, che rappresenta ormai dietro le nostre spalle un capitolo storico conchiuso, al quale si dovrà  prima o poi dedicare una riflessione adeguata, la figura di Galvano della Volpe occupa indubbiamente una posizione di primo piano. Anche tra coloro che si sono formati alla scuola di Della Volpe, le posizioni sono ormai assolutamente differenziate: mentre Nicolao Merker invita a contestualizzare nel suo tempo il pensiero dell’autore di “Rousseau e Marx”, e ne rivendica, entro quell’orizzonte, tutto il valore, Lucio Colletti non ne disconosce i meriti, ma sottolinea come Della Volpe non abbia spinto fino in fondo quella critica della componente dialettica del marxismo che poi Colletti stesso radicalizzò, in senso anti-marxista, a partire dalla metà  degli anni Settanta. In realtà , se si prova a guardare con occhio storico a vicende cronologicamente ancora vicine, ma che sembrano oggi appartenere a un passato remoto, il bilancio che si può trarre ò abbastanza chiaro: quello di Della Volpe ò stato, nelle sue grandi linee, un tentativo piuttosto audace, ma anche non privo di contraddizioni, di modernizzare ed emendare la tradizione canonica del marxismo, su tutti i terreni più rilevanti del dibattito postbellico, da quello epistemologico, a quello estetico, a quello della teoria politica. Sul piano delle categorie filosofìche portanti, la torsione che Della Volpe impone alla tradizione consolidata del marxismo ò effettivamente radicale. Muovendo dall’esigenza di suscitare nei marxisti una maggiore attenzione e apertura verso la scienza moderna, la logica simbolica, lo stesso neopositivismo, Della Volpe propone una sostanziale ricollocazione del pensiero di Marx rispetto alle classiche polarità  della tradizione filosofica. Si tratta, in sostanza, di marcare nettamente la frattura rispetto alla tradizione idealistica della dialettica di Platone e di Hegel, e di ridare al marxismo una genealogia concettuale alternativa, centrata sulla positività  del molteplice sensibile, e in questo senso materialistica: i punti di riferimento diventano perciò la critica antiplatonica di Aristotele, l’antiscolastica di Galilei, e nella modernità , alcuni aspetti del pensiero di Hume e Kant. La genealogia tradizionale del marxismo ne esce sconvolta, e con ciò viene respinto anche il materialismo dialettico sovietico di ispirazione engelsiana. E’ operazione modernizzatrice, dunque, quella di Della Volpe, ben comprensibile nei suoi fini. Deboli però restano le fondamenta che dovrebbero reggere l’intero edificio, e cioò innanzitutto la critica che Della Volpe rivolge alla dialettica hegeliana. Non meno interessante, e altrettanto problematico, ò il tentativo di rinnovamento della tradizione marxista che Della Volpe intraprende sul terreno della teoria poetica. Nei testi che segnano le tappe principali di questo percorso, dalla “Libertà  comunista” del 1946 fino alla polemica con Bobbio degli anni Cinquanta, dalle diverse edizioni di “Rousseau e Marx” fino agli ultimi interventi degli anni Sessanta, quello di Della Volpe ci appare come un pensiero in movimento, impegnato a spostare in avanti quelli che erano limiti evidenti della tradizione marxista per quanto riguarda la riflessione sul valore dei diritti e sulle libertà .

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  • Filosofia - 1900

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