GINA PANE E LA BODY ART. Artista francese (1939 – 1990), Gina Pane fu esponente della Body Art. Dopo una esordio astrattista – minimalista e una serie di azioni a contatto con la natura, esplorò la nozione di vulnerabilità attraverso performances di carattere rituale – sacrificale in cui si infliggeva sevizie e mutilazioni (ferendosi le braccia e le labbra con rasoi o mangiando carne avariata: come nell’opera Nutrimento, 1971; Sangue/latte caldo, 1972), facendo del proprio corpo il simbolo del “corpo sociale anestetizzato dalla vita urbana e da una società che l’aliena”, e sfidando la propria resistenza fisica e quella mentale degli spettatori.
GINA PANE: OPERE DELLA BODY ART. Dopo le prime esperienze con la scultura, Gina Pane contribuisce all’ambiente culturale da cui nasce l’Arte Povera: i suoi interventi sul e nel paesaggio vengono documentati da sequenze fotografiche. La pesca a lutto in memoria dei pescatori giapponesi morti durante gli esperimenti americani, e lo straordinario Dessin Verrouillé in cui all’interno di una scatola di ferro si nasconde un disegno sconosciuto, sono momenti di una stagione artistica dura e pura come era Gina Pane. In particolare nel Dessin c’è chiaramente un richiamo a Duchamp e Piero Manzoni. Per Gina l’arte è amore, donazione, apertura totale alla natura — oltre che agli altri uomini — come madre e sentimento originale. Lo “scandalo” lo producono le sue azioni come Death Control (presentata nel 1974), Psychè (1974) o Azione sentimentale (1973) in cui le spine delle rose sono simboli di un tormento sospeso tra la religiosità e la condizione femminile. L’artista era religiosa e la sua è un’arte sacra. Naturalmente la sua visione non era certamente illustrativa ma fondativa di una spiritualità contemporanea in cui l’arte doveva avere un ruolo determinante.
Ha saputo utilizzare in modo simbolico il proprio corpo esattamente come Gesù Cristo, al di là delle verità storiche e delle credenze. Per questo ha operato negli anni Settanta nella Body Art proprio alla ricerca di un equilibrio dialettico con il pubblico, di un suo coinvolgimento fisico ma soprattutto mentale. Ha anche saputo mettere in chiaro i limiti della rappresentazione, tenuto una certa distanza dagli spettatori, magari con lo sguardo nascosto da occhiali scuri se non a specchio. Negli anni Ottanta proseguì la ricerca sulla corporeità attraverso installazioni murali, assemblaggi e sculture in metallo, legno e vetro Partizioni contraddistinte da riferimenti ai martiri cristiani assunti a simboli della sofferenza umana. Queste installazioni spesso a parete, recano anche parzialmente tracce di opere precedenti o delle stesse azioni, dove l’artista abbandona per limiti fisici l’uso del proprio corpo come linguaggio. Ritorna quindi alla scultura, ma con l’esperienza performativa alle spalle. I soggetti delle opere sono spesso i santi, anzi i martiri, cioè coloro che hanno dato la vita per la fede e per l’umanità. Le fonti sono varie, anche provenienti dalla storia dell’arte. In San Giorgio e il drago (1984-1985), opera ispirata a un dipinto di Paolo Uccello, il colore e le geometrie rappresentano una scomposizione del dipinto dell’artista toscano, sintetizzando l’uccisione, il sangue appena accennato, il superamento del bene sul male. E così altri lavori ispirati a particolari di opere di Hans Memling o di Filippino Lippi, senza scadere nella citazione ma cercando sempre di decrittare l’iconografia attraverso una sintesi linguistica, trasformando tutto in qualcosa di diverso di attuale e di unico.
- Dal 700 all’Età Contemporanea
- Storia dell’arte - Dal Settecento all'Età Contemporanea