Il comune rustico
O che tra faggi e abeti erma su i campi
Smeraldini la fredda ombra si stampi
Al sole del mattin puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno
Morente su le sparse ville intorno
A la chiesa che prega o al cimitero
Che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
Sognando l'ombre d'un tempo che fu.
Non paure di morti ed in congreghe
Diavoli goffi con bizzarre streghe,
Ma del comun la rustica virtù
Accampata a l'opaca ampia frescura
Veggo ne la stagion de la pastura
Dopo la messa il giorno de la festa.
Il consol dice, e poste ha pria le mani
Sopra i santi segnacoli cristiani:
"Ecco, io parto fra voi quella foresta
D'abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
E la belante a quelle cime là.
E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
Morrete per la nostra libertà".
Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
Ergea le bionde teste; e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli
Invocavan la madre alma de' cieli.
Con la man tesa il console seguiva:
"Questo, al nome di Cristo e di Maria,
Ordino e voglio che nel popol sia".
A man levata il popol dicea, "Sì".
E le rosse giovenche di su 'l prato
Vedean passare il piccolo senato,
Brillando su gli abeti il mezzodì.
La poesia si trova tra le Rime nuove, ed è stata composta tra il 10 e il 12 agosto del 1885. È una delle poesie di ispirazione epico-storica, in particolare si rifà alla storia medievale.
Carducci aveva trascorso un po’ di tempo nella Carnia, nella provincia di Udine, e con questi versi vuole salutare i luoghi visitati. Il componimento è costituito da due parti.
Nella prima parte il poeta dice addio al paesaggio alpino, perché la breve vacanza è terminata. Saluta i noci, sempre molto belli e incantevoli, nelle fresche ore del mattino, in cui le loro ombre si riflettono sui prati lussureggianti, e anche quando sopraggiunge la sera, oscurando le ville disseminate attorno la chiesa e il cimitero.
La seconda parte invece contiene la rievocazione storica. Nel descrivere questo paesaggio infatti viene stimolata la fantasia del poeta, il quale ricorda il passato, la vita aitante di questi posti durante il periodo comunale, il vivere democratico di un comune rustico dopo l’affrancamento dalla servitù feudale. Un domenica, dopo la celebrazione della messa, il console affida ai boscaioli i boschi e ai pastori i prati, invece ai giovani conferisce il compito di difendere la popolazione dagli assalti degli Unni e degli Slavi. I giovani sono molto fieri di questo incarico bellico, mentre le donne, madri, mogli e sorelle piangono e pregano pensando alla guerra. Dopo aver giurato sui Vangeli e sulla croce, e dopo aver avuto l’approvazione del popolo, viene sciolta l’assemblea, mentre le rosse giovenche pascolano sul prato, e sugli abeti risplendono i raggi del sole di mezzogiorno, come se la natura desse una lieta approvazione a quei coraggiosi spiriti che si sono formati in libera comunità.
Il comune rustico era una libera associazione di pastori e montanari, mentre quello cittadino era costituito da mercanti e piccoli nobili.
Il componimento ha una struttura molto utilizzata da Carducci nelle sue opere: il poeta parte dalla realtà presente, in questo caso il paesaggio alpino della Carnia, per poi ricordare nei versi successivi eventi passati. Viene evocato uno stralcio di vita medievale, che presenta delle novità rispetto alla trattazione avvenuta in opere di altri autori. Mentre infatti il Romanticismo guardava al Medioevo come a un’epoca buia e tenebrosa, fatta di spettri e demoni, Carducci invece offre uno squarcio di vita civile di un piccolo comune montanaro, nel momento in cui la popolazione si riunisce in assemblea, dopo la messa, per prendere delle decisioni importanti per la comunità. Nella rievocazione è presente un forte messaggio politico: il poeta aspira a una democrazia diretta, immaginando una piccola repubblica in cui ciascuno partecipa alle decisioni, si assume le sue responsabilità e adempie ai suoi doveri, e in cui prevalgono l’amor di patria e la virtù guerriera.
Tenendo presente il culto classico del Carducci, possiamo notare che dietro questo affresco di vita medievale si può scorgere Roma repubblicana delle origini, che conduceva una vita semplice e austera, laboriosa e piena di senso civile e valore. Si intravede, in questa rievocazione, una forte polemica: l’immagine positiva di democrazia e caratteristiche virtuose contrasta in modo implicito alla situazione presente in Italia, che molte volte il poeta ha evidenziato, piena di corruzione, viltà, mancanza di spirito patriottico e valore guerriero.
I versi finali hanno un tono leggermente ironico. Il poeta con la sua fervida immaginazione ha elevato la semplice situazione di un paesaggio alpino a dimensioni epiche; ma verso la fine, proponendo l’immagine delle rosse giovenche, riconduce il discorso alla realtà. L’ironia vuole mettere in evidenza come quella piccola assemblea, nonostante la sua modestia, avesse una dignità molto elevata. Interessante è il fatto che tutta la situazione è immersa nell’atmosfera solare (“brillando sugli abeti il mezzodì”). In Carducci la luce simboleggia la vita sana, piena, gaia, vigorosa. Il ricordo di un passato eroico repubblicano e democratico equivale al sogno di “vita solare” del poeta, e implicitamente si oppone alla realtà della sua epoca, squallida e tetra, come notiamo in altri suoi componimenti.
Alcuni critici hanno sottolineato che alcuni elementi della scena medievale, come le teste bionde illuminate dal sole, le mani alzate, riprendono alcuni motivi di un’ arte figurativa degli anni in cui visse il poeta, e ciò si nota in modo evidente in alcune pitture a soggetto storico e negli allestimenti teatrali (il “Medioevo di cartapesta”).
Per quanto riguarda il linguaggio, come è solito in Carducci, sono presenti molti termini aulici, in particolare latinismi (“erma”, “pria”); inoltre molti sostantivi si riferiscono all’area semantica del colore e in particolare della luce (“smeraldini”, “bionde teste”).
Il metro è costituito da strofe di sei endecasillabi, con rime a schema AABCCB.
- 800
- Giosuè Carducci
- Letteratura Italiana - 800