GIOVANNI PISANO. Giovanni Pisano (1245 – 1314) fece le sue prime esperienze accanto al padre Nicola, lavorando forse, ancora giovanissimo, ai rilievi del pulpito di Siena.
Con il passare degli anni la sua personalità si viene sempre più rivelando: nella Fonte di Perugia gli si può attribuire la maggioranza delle sculture. La sua cultura si forma dunque sull’esempio paterno. Ma i contatti con il gotico europeo, si accentuano in lui, al punto che si è supposto un suo viaggio in Francia.
- Fra il 1289 e il 1296 Giovanni, ormai artista indipendente, è a Siena capomastro del Duomo, per il quale progetta la facciata come un insieme inscindibile di architettura e scultura. Questa unità di scultura e architettura si era già affermata nell’arte romanica; ma nella facciata del Duomo di Siena, per la prima volta dall’epoca dei frontoni geci, ciò accade in scala così grandiosa.
- Dal 1298 al 1301 Giovanni crea il suo capolavoro: il pulpito della Chiesa di Sant’Andrea a Pistoia. Apparentemente simile a quella di Nicola nella struttura e nei temi, ne differisce invece profondamente. Mentre Nicola affollava le scene, Giovanni le dirada, diminuendo il numero e le proporzioni delle figure; fra esse perciò compaiono le superfici lisce del fondo, che fanno loro da contrapposto esaltandone le forze aggettante. Giovanni non si limita ad ottenere l’evidenza del rilevo per contrasto con la rientranza. Usa frequentemente il “sottosquadro”, ossia fa girare l’immagine in modo da formare, dietro di essa, angoli acuti sul piano di fondo, o, addirittura, ne distacca completamente alcune parti, foggiandole a tutto tondo.
Giovanni è anticlassico. Con ciò non si vuol dire che manchi in lui ogni contatto con il mondo antico. È anticlassico perché evita l’idealizzazione, il superamento delle passioni, la contenutezza dei sentimenti; perché c’è in lui una specie di espressionismo, l’urgenza di proiettare al di fuori il proprio mondo interiore, di comunicarlo allo spettatore.
- Appena terminato il pulpito di Pistoia un altro lo attende: quello del Duomo di Pisa. Qui la visione drammatica di Giovanni, è più esasperata. L’impianto è ottagonale, quasi circolare, gli archi sono costituito da mensole riccamente ornate;al posto di alcune colonne sono statue o gruppi statuari; mentre come a Pistoia, i leoni stilofori, tenendo fra le zampe animali predati, volgono fieramente le teste dalle folte criniere. Ne nasce un moto continuo, un frenetico agitarsi. In questo senso deve essere inteso il sovrapporsi della decorazione sull’architettura, non come anticipo di quella corrente che sarà detta del “gotico fiorito” o addirittura come un prebarocchismo. Se non tutti i rilievi sono alla stessa altezza artistica, ciò si deve probabilmente all’intervento di collaboratori meno dotati.
- Accanto a queste opere monumentali Giovanni crea singole statue. Come in analoghi soggetti francesi, in quelle di Madonna con Bambino, l’artista, invece che presentare madre e figlio frontali per l’adorazione dei fedeli, li fa volgere una verso l’altro per guardarsi affettuosamente, secondo quella poetica dei sentimenti, caratteristica del gotico francese e tedesco, che Giovanni, qui come nei pulpiti, fa sua.
- Del Monumento funebre di Margherita di Lussemburgo una delle sue ultime opere (1313), restano oggi, invece soltanto alcuni frammenti. Giovanni rivoluziona l’iconografia funeraria rappresentando l’Elevatio Animae, cioè l’imperatrice colta nell’immediatezza dell’estasi mistica, con il volto trasfigurato dalla speranza di ricongiungersi all’Eterno. Nel monumento Giovanni non costruisce un veritiero ritratto funebre come invece farà Arnolfo di Cambio, ma esprime l’anelito interiore della sopravvivenza oltre la morte.
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