Giovanni Verga, nato a Catania il 2 settembre 1840, da famiglia benestante, operò a Milano, per ritirarsi poi nella città natale. Iniziò la sua attività letteraria nell'ambito del tardo Romanticismo, con romanzi di ambientazione aristocratica e alto borghese (Eros, Tigre reale), e dalla lingua ricercata ed elegante, che gli diedero notevole successo.
La sua adesione al Verismo inizia con la novella Nedda, seguita da altre novelle (Vita dei campi, Le novelle rusticane) di impronta assai realistica sia per i contenuti che per l'uso di una lingua più popolare, che suscitarono inquietudini e scandalo nel pubblico e nella critica. Si ricordino Cavalleria rusticana, dai cui sono state tratte due celebri opere liriche; Libertà, che narra il massacro di Bronte e la delusione popolare per le promesse garibaldine non mantenute.
Il Ciclo dei Vinti
Mise mano al Ciclo dei vinti, che doveva comprendere cinque romanzi che abbracciassero tutte le condizioni sociali. Gli ultimi tre (La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso) non furono composti. Nel Ciclo il Verga esprime una concezione fatalistica: l'uomo non può liberarsi dalla propria condizione, e ogni suo tentativo è destinato alla sconfitta, sia materiale, come quella dei Malavoglia, che morale, come quella di mastro don Gesualdo. Non resta che ripiegarsi in se stessi ed accettare il destino.
I Malavoglia
La famiglia Toscano, detta Malavoglia, vive modestamente, possedendo una barca da pesca. Tentano la via del commercio, acquistando un carico di luppolo. La barca fa naufragio, e i Malavoglia cadono nelle grinfie degli usurai, costretti a vendere la casa. Il patriarca padron 'Ntoni muore all'ospizio; i nipoti 'Ntoni e Lia si traviano. I superstiti Alessi e Mena, con lunghi sacrifici, ricomprano la casa.
L'opera descrive i fenomeni sociali seguiti all'unificazione nazionale e all'introduzione in Sicilia dell'economia liberale e monetaria. I pregi poetici del romanzo sono nelle figure semplici e nello stesso tempo universali: padron 'Ntoni, il rude patriarca dalla saggezza popolare fatta di proverbi; il figlio Bastianazzo, obbediente e lavoratore; Mena detta Sant'Agata, che a causa della miseria rinuncia dolente all'amore mai espresso per Alfio.
La lingua del Verga si adegua alla sintassi mentale dialettale dei personaggi, procedendo per frasi paratattiche e arricchendosi di proverbi e modi di dire popolari.
Mastro don Gesualdo
Il muratore mastro Gesualdo Motta si arricchisce con sacrifici e abilità. Volendo consacrare la sua ascesa economica entrando trai "don", i nobili del paese, abbandona la serva Diodata e i figli avuti da lei, e sposa la nobile impoverita Bianca Trau, innamorata di un cugino barone. Nasce una figlia, Isabella, che resta dubbio se sia di Gesualdo. Sempre più ricco, Gesualdo si trova anche sempre più solo, distaccandosi dalla sua famiglia di origine e non venendo mai veramente accettato dai nuovi parenti. Muore infine disperato, in un feroce anelito di distruggere la "roba" a cui ha dedicato la sua vita.
Il romanzo analizza le trasformazioni sociali di un ceto artigiano che approfitta dei mutamenti istituzionali postunitari; ma ribadisce la concezione verghiana del destino.
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- Giovanni Verga
- Letteratura Italiana - 800