Giovenale - Studentville

Giovenale

[T2]La

vita[/T]

Le notizie sulla vita di Decimo Giunio Giovenale sono estremamente povere ed incerte. Egli nacque,

probabilmente ad Aquino, intorno al 60 d.C. Nulla di preciso è conosciuto della famiglia d’origine: un’anonima biografia parla

di un ricco liberto come padre o come tutore. La posizione sociale e la situazione economica di Giovenale, che affiorano dalle

Satire e da tre epigrammi di Marziale, sono quelle di un tipico esponente del “ceto medio” urbano, con un reddito che gli

avrebbe permesso di vivere agiatamente in qualunque città di provincia, ma decisamente insufficiente per mantenere il tenore di

vita dei ceti più elevati nella capitale. Di qui la necessità di accettare il ruolo di “cliente”, di porsi in altre parole al

servizio di un ricco patronus, sottostando alle umiliazioni e ai disagi più volte descritti nelle Satire. Incerte sono anche le

notizie sulla sua formazione, che pare comunque legata alle scuole di retorica e di eloquenza. A quanto pare, incominciò a

pubblicare i cinque libri delle sue Satire solo in età matura: i primi due sotto Traiano e gli ultimi tre sotto Adriano. Morì

dopo il 127.

[T2]Le Satire[/T]

Di Giovenale ci sono pervenute 16 Satire in esametri, divise in cinque libri. Fra

i primi tre libri e i due successivi si nota un netto distacco: le prime nove satire nascono, infatti, dalla indignatio e sono

caratterizzate da un tono aggressivo nella rappresentazione realistica dei vizi, le ultime sette rivelano invece una chiara

matrice diatribica (genere letterario tipico della divulgazione morale e filosofica, caratterizzato quindi da una forma

piuttosto semplice e dalla presenza di dialoghi, aneddoti e favolette in funzione di esempio).
Nella satira proemiale

Giovenale afferma di vedere davanti a sé una società che ha raggiunto il limite estremo della corruzione, ma non ritiene di

avere la libertà di parlare apertamente della degradazione dei tempi presenti. Per evitare persecuzioni e condanne, il poeta

sarà costretto a descrivere nelle sue satire l’epoca degli imperatori ormai defunti, ma la società malata di cui parla è quella

attuale. In questa prima satira Giovenale afferma di volersi inserire nel genere letterario fondato da Lucilio e portato a

perfezione da Orazio, ma la sua osservazione della realtà è lontanissima da quella indulgente di Orazio, poiché è compiuta

sempre attraverso l’indignatio e cogliendo non tutti gli aspetti dell’esistenza umana, ma soltanto quelli negativi,

soffermandosi sui casi-limite. La società descritta da Giovenale si manifesta soprattutto nella ricerca esasperata del lusso,

in uno sfrenato consumismo, nel soddisfacimento di ogni piacere senza alcun rispetto per la “giusta misura”, per il modus, che,

secondo l’etica tradizionale, rappresenta il primo segno d’equilibrio. Straordinari esempi di perversione ed eccesso si hanno

nella descrizione dei banchetti dei ricchi, nella gara di sfarzo nelle abitazioni e nell’abbigliamento, nel fanatismo

religioso, ma soprattutto nel comportamento delle donne. Tali quadri di comportamento non sono finalizzati, come in Orazio e in

Persio, a funzione di esempio all’interno di un’argomentazione morale, ma sono orientati a suscitare la repulsione morale.

Oltre che dai vizi, Giovenale è urtato da molti aspetti innovativi della società imperiale. Il crescente cosmopolitismo ha

riempito l’Italia di Greci ed orientali, nei quali il poeta vede gli importatori del vizio e di culti perversi. La nuova

mobilità sociale introdotta dal regime imperiale compromette l’assetto tradizionale dei ceti: l’arrivismo di schiavi, liberti,

stranieri è spesso presentato da Giovenale come delittuoso. Per lui, a Roma nessuno occupa il posto che natura e ceto gli ha

assegnato. Il modello etico sulla base del quale Giovenale condanna la società contemporanea è quello tradizionale della Roma

repubblicana, che ad ogni modo non ha alcun carattere socialmente “progressivo”: è anzi il ritorno utopico a un mondo rurale

privo di apporti stranieri, in cui ogni ceto deve far bene la sua parte standosene nel posto assegnatogli dalla gerarchia

sociale. Questo atteggiamento di rifiuto del proprio tempo non è probabilmente solo il frutto di un’esasperazione individuale,

ma riflette il modo di pensare di una parte della popolazione romana ed italica di condizione libera, ma economicamente debole,

che non si sente partecipe dei benefici della nuova realtà politica e sociale.
La poetica di Giovenale presenta una

trasformazione abbastanza netta dalla satira X, in cui il poeta dichiara che del comportamento umano è tutto sommato più saggio

ridere che piangere. L’enfasi della denuncia appare smorzata, è dato più spazio all’ironia, e il contenuto della satira si

esprime in forme più indirette. Forse Giovenale si rese conto dell’inutilità di una denuncia che si limitasse a descrivere le

manifestazioni del vizio e cercò quindi di giungere alle radici del male, ai modelli etici che stavano alla base dei

comportamenti individuali e collettivi. Nelle ultime sette satire, in effetti, sono passati in rassegna i grandi temi morali

(la fides, l’amicizia, l’educazione dei giovani) ed è proposto un modello positivo di saggezza, senza tuttavia uscire mai dai

luoghi comuni dell’etica diatribica.

[T2]Contenuti delle Satire[/T]

Satira I: come introduzione il poeta afferma

che il genere satirico soddisfa pienamente le sue ambizioni e che vi è stato indotto per sdegno contro il malcostume e la

corruzione dilaganti in Roma. Dichiara infine di rivolgere le sue satire contro personaggi “che sono sepolti lungo le strade

Flaminia e Latina”, per non subire ritorsioni da parte dei contemporanei.
Satira II: invettiva acerba e realistica contro

l’ipocrisia degli uomini effemminati che condannano in pubblico le turpitudini di cui essi stessi sono colpevoli in privato.

Satira III: Umbricio, un vecchio amico del poeta, disgustato dalla corruzione di Roma, spiega perché si ritira in

campagna, presso Cuma: gli onesti e i poveri non possono più vivere in una città, in cui trionfa l’affarismo della gente

nuova, in cui la fanno da padroni schiavi e istrioni arricchiti e gli immigrati greci sovvertono gli antichi virtuosi costumi.

Segue una colorita rappresentazione delle strade di Roma affollate, rumorose, piene di malviventi e pericolose per i continui

incendi e crolli.

Satira IV: descrizione eroicomica della riunione del consiglio imperiale, voluta da Domiziano, per

decidere sul modo migliore di cucinare un gigantesco rombo; viene proposta la costruzione di una grande padella.

Satira

V: tratta la condizione umiliante dei clienti mortificati da patroni ricchi, rozzi e arroganti, soprattutto durante i

banchetti.

Satira VI: è la più lunga (661 esametri) e la più nota tra quelle scritte da Giovenale, che passa in

rassegna i vizi delle donne di ogni ceto, soprattutto delle mogli, la loro infinita immoralità, spinta talora fino al delitto.

Satira VII: descrive la misera condizione morale e materiale di intellettuali, poeti, avvocati, retori, insegnanti,

costretti a subire mortificazioni di vario genere per sopravvivere e meno considerati dei campioni sportivi o degli attori di

grido.

Satira VIII: sulla nobiltà di nascita, che non ha valore se non è accompagnata dalla virtù. Per esempio, i

nobili Catilina e Nerone si resero colpevoli di azioni disonorevoli, mentre Cicerone e Mario, uomini nuovi, divennero famosi

per i loro meriti.

Satira IX: il parassita Nerolo si lamenta, con un linguaggio molto realistico e crudo dello scarso

compenso ottenuto per i turpi servizi resi a un ricco effeminato vizioso.

Satira X: sulla vanità dei falsi beni

(ricchezza, gloria oratoria e militare, potenza, longevità e bellezza), che portano rovina più che felicità: agli dei si deve

domandare soltanto mens sana in corpore sano.

Satira XI: condanna dei banchetti lussuosi, che rovinano economicamente,

ed elogio della sobrietà; il poeta espone poi la lista dei cibi che l’amico Persico troverà sulla sua mensa.

Satira

XII: Giovenale, sotto forma di epistola, narra a Corvino il naufragio a cui è scampato l’amico Catullo, padre di tre figli,

e i sacrifici da lui predisposti come ringraziamento, senza sospetto di interesse personale.

Satira XIII: il poeta

consola un amico truffato di una grossa somma di denaro, come caso non raro, visto che i malviventi sono numerosissimi, e

sostiene che, pur rimanendo impunito, il colpevole sarà tormentato dal rimorso.

Satira XIV: sull’educazione dei

giovani, mette in evidenza i cattivi esempi dati dalla condotta immorale dei padri; si scaglia soprattutto contro l’avarizia

e l’avidità; esalta gli antenati che davano ai figli esempi di virtù.

Satira XV: il poeta si scaglia contro la

crudeltà umana, prendendo spunto da un episodio di cannibalismo, accaduto in Egitto.

Satira XVI: incompleta, sui

privilegi e sui vantaggi della vita militare.

[T2]La lingua e lo stile[/T]

Giovenale segue lo schema oraziano,

articolando spesso il discorso morale in una successione di scenette, ma descrive la realtà seguendo schemi retorici che

accentuano l’enfasi ed esasperano i toni, con un’evidente ricerca di effetto. Giovenale conferisce al proprio discorso non il

tono colloquiale del sermo, ma l’enfasi del dramma, che richiama il teatro tragico. La rappresentazione dei caratteri si muove

per contrasti, il periodare è piuttosto duro e l’espressione è racchiusa nella sententia. Proprio questa caratteristica dello

stile di Giovenale ha fatto sì che molti dei suoi versi siano diventati veri e propri proverbi. Gli elementi di stile elevato

che nella tradizione satirica erano entrati finora esclusivamente a fini di gioco parodistico, hanno in Giovenale una presenza

più larga. Il lessico della tradizione poetica illustre serve, oltre alla vera e propria parodia, a dare solennità e

autorevolezza agli esempi, e ad elevare il pathos satirico.

[T2]La fortuna[/T]

Le Satire di Giovenale non

godettero di grande popolarità presso i contemporanei: non vengono ricordate da Marziale negli epigrammi dedicati all’amico

Giovenale e neppure da Plinio il Giovane, che nelle sue lettere si dimostra un curioso ed attento osservatore della vita

intellettuale romana. Vennero “riscoperte” nel IV secolo e proprio per il suo rigore morale, Giovenale fu tra i poeti più letti

nel Medioevo. Grande popolarità godette specialmente nel Seicento e nel Settecento europei.

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