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Giuseppe Mazzini

Pensiero e vita.

Biografia Nessuno dei protagonisti della Storia patria aveva un’idea così alta e così completa di cosa dovesse essere l’ Italia come Giuseppe Mazzini. Non il Cavour che, pur essendo stato definito da Spadolini “l’unico uomo di Stato, per uno Stato che ancora non c’era”, si opponeva tenacemente all’idea unitaria intendendola, dopo i fatti del 1860/61, come il semplice ampliamento del Vecchio Regno di Sardegna e come l’avverarsi di ciò che pochi secoli prima aveva detto Emanuele Filiberto di Savoia (“L’Italia? Un carciofo di cui i Savoia mangeranno una foglia alla volta” ); non il Cattaneo che, chiamando il proprio giornale pubblicato nel 1848 “Il Cisalpino” e non “L’Italiano”, restringeva l’orizzonte del proprio progetto politico federalista al solo Nord sviluppato; non il Gioberti che, ne “Il Primato”, si faceva promotore di un anacronistico legame tra Stato e Chiesa che sembrava potersi avverare soltanto se analizzato alla luce delle riforme concesse da Papa Pio IX nello Stato della Chiesa nel 1848 dopo l’elezione al soglio pontificio. Ma tutte queste speranze si riveleranno, dopo la svolta autoritaria del Pontefice nel 1848, pure illusioni. Tanto meno erano innovative le posizioni di quei liberali di scuola classica guidati in Piemonte dal D’Azeglio ed in Toscano dal Ricasoli che sognavano semplicemente di modificare in senso costituzionale il rapporto Corona-Parlamento senza stravolgere le condizioni sociali ed economiche esistenti. Giuseppe Mazzini affronta il problema italiano… … in un’ottica nuova: parla di una forma di Stato di tipo unitario e, per la forma di governo, dichiara le proprie idee repubblicane. Interessante, per capirne il pensiero politico, ò la biografia politica del pensatore ligure. Nasce a Genova nel 1805 da un’agiata famiglia piccolo-borghese e compie i primi passi nella lotta politica guidando, col Ruffini, i primi moti rivoluzionari nel Nord-Ovest dalle colonne dell’”Indicatore”. Falliti questi tentativi insurrezionali si assiste alla fondazione di una nuova società  segreta “La Giovine Italia”. All’origine di essa vi ò una critica incisiva della Carboneria a cui si imputa di essere troppo elitaria e totalmente disorganizzata al proprio interno degenerando, quindi, in organizzazione di stampo verticistico in cui i singoli adepti non sono a conoscenza dell’intero programma politico per la cui realizzazione lottano. La “Giovine Italia” propone un nuovo modello di lotta politica che, innanzi tutto, vuole coinvolgere le masse per giungere ad un moto insurrezionale popolare e nazionale. Vi ò, inoltre, un forte interesse per i giovani che sono visti come elementi nuovi da invitare alla lotta politica. Si ò di fronte ad un’ organizzazione non più di stampo liberale (quindi oligarchico), ma democratica il cui messaggio politico ò indirizzato a tutte le classi sociali, anche le meno abbienti, affinchè siano esse, e non le oligarchie monarchiche, le vere protagoniste del processo di unificazione tendente a fare dell’Italia uno Stato unito, indipendente e repubblicano che si possa inserire in una più vasta nuova Europa unitaria basata su valori democratici e di reciproco rispetto. àˆ infatti, sempre negli anni ’30, che il Mazzini fonda “La Giovine Europa” che ha lo scopo di promuovere un processo di integrazione europea. Benchè definisse il Mediterraneo Mare Nostrum non si può considerare Mazzini nazionalista. Infatti il pensatore politico ligure sosteneva la pari dignità  tra tutti i popoli europei e riteneva che la massima conquista civile della società  fosse stata l’abolizione della schiavitù. Come si può leggere a pagina 92 del volume 17 del “Westminster Review” (1852) Mazzini si faceva sostenitore di una graduale emancipazione delle colonie britanniche. Tanto W. T. Wilson e George Lloyd George, quanto molti leaders post- coloniali, tra i quali Gandhi, Golda Meir, David Ben Gurion, Nehru e Sun Yat-sen, consideravano Mazzini il proprio Maestro e “I doveri dell’uomo” la propria Bibbia morale, etica e politica. Mazzini, teorizzando l’integrazione fra le nazioni europee in un’ottica democratica e riformista giunge con quasi un secolo d’anticipo ad affermare ciò che grandi europeisti, quali Altiero Spinelli, Ugo La Malfa, Umberto Terracini e Giorgio Amendola, sosterranno nel “Manifesto di Ventotene” alla fine del II conflitto mondiale che aveva sconvolto le coscienze di milioni di europei che negli anni ’50 si interrogheranno se la nuova Europa dovesse divenire finalmente quel luogo politico e culturale in cui svelenire gli odi nazionalisti nell’ottica dell’ interesse comune di pace e di prosperità  oppure se dovesse essere il baluardo avanzato della guerra fredda. Mazzini subordinava il concetto di Patria a quello più ampio di Umanità , auspicando che il concetto di nazione sarebbe stato superato a favore di una federazione fra i popoli europei che, da un lato, avrebbe permesso la rimozione delle tensioni internazionali sanando le ferite nazionaliste e, dall’altro, avrebbe permesso lo sviluppo anche dei popoli più poveri. La nazioni sarebbero dovute giungere a questo nuovo assetto geopolitico spinte dalla comprensione della “legge morale” a cui tutte sono soggette. Il pensatore democratico intravedeva già  negli anni ’30 come la vecchia idea d’Europa, nata a Vienna nel 1914, non potesse reggere al progredire impetuoso della Storia. In tale considerazione vi ò una consonanza con il filosofo tedesco Hegel che, nel 1831, affermava che in breve tempo l’Europa avrebbe ceduto il primato agli Stati Uniti. Contrariamente ad Hegel, che intendeva le nazioni in una naturale e reciproca competizione, Mazzini le considerava necessariamente cooperanti in nome dell’Umanità  di cui ogni singola nazione ò parzialmente manifestazione. Contrariamente a Machiavelli, Mazzini si interessa alle nazioni in quanto popoli e non stima i “principi” che le guidano poichè, come ha detto Fanà§ois Mitterand, “Sono le nazioni, qualora ne siano in grado a fare grandi i propri governanti”. Alla luce di quanto detto ò assolutamente errato il tentativo di Giovanni Gentile di parlare di un “Mazzini fascista”. Quindi l’idea dell’Italia fascista figlia di Mussolini non trova legittimazione nell’ideologia politica democratica mazziniana. Inoltre non si può giustificare, ricorrendo al pensiero politico mazziniano, nè l’esperienza coloniale patrocinata dal Crispi, nè l’occupazione della Libia attuata nel 1912 dal IV gabinetto Giolitti. Questi atti coloniali trovano un riferimento culturale in Alfredo Oriani che teorizzava che le disfatte di Custoza, di Lissa e di Adua avevano creato al Regno d’Italia un complesso di inferiorità  che poteva essere sanato soltanto se l’Italia fosse vissuta al di sopra delle proprie possibilità  giungendo ad una “grandezza della Patria” in grado di risolvere le contraddizioni fra le quali il nuovo stato era nato e cresciuto. Ma questo ò il pensiero del romagnolo Alfredo Oriani, l’autore de “La lotta politica in Italia”, definito da Antonio Gramsci “il rappresentante più onesto e più appassionato per la grandezza nazional-popolare fra gli intellettuali italiani della vecchia generazione”, non il ligure Giuseppe Mazzini, ritenuto da Francesco de Sanctis “il Mosò dell’Unità  “. I moti ispirati da “La Giovine Italia” danno tutti risultati negativi e ciò causa una forte crisi morale al Mazzini che, durante gli anni ’30, vive la “tempesta del dubbio”. In questi anni cerca una pace interiore dedicandosi a studi filosofici soprattutto in campo musicale. àˆ infatti pubblicata nel 1836 l’opera… “Filosofia della Musica” … dedicata ad un “Ignoto Numin i” che, per stessa confessione dell’autore, ha il compito di “trarre la musica dal fango o dall’isolamento in che giace per ricollocarla dove glia antichi grandi, non di sapienza, ma di sublimi presentimenti l’avevano posta accanto al legislatore ed alla religione “. Secondo Mazzini gli antichi avevano, dell’arte musicale, soltanto il germe (la melodia), non riuscivano a oltrepassare l’accompagnamento. Ma in quei popoli vi era una fede alla base alla base dell’”Istinto all’Unità  “, fondamento di tutte le grandi cose. In Italia, continua Mazzini, la musica nasce nel XVI secolo con Palestrina che “tradusse il Cristianesimo in note”. Secondo Mazzini elementi generatori della musica sono la melodia, simbolo dell’individualità  il cui massimo esperto fu il bolognese G. M. Martini (vissuto nel periodo classico e maestro anche di Mozart ), e l’armonia, simbolo del pensiero sociale, magistralmente rappresentata da Rossini, “Titano di potenza e di audacia. Il napoleone d’un epoca musicale”. Mazzini vedeva in Rossini quell’”Ignoto Numini” che doveva “spiritualizzare ” la musica “riconsacrandola con una missione “. Probabilmente quell’”Ignoto Numini” era già  nato e, come ha scritto Massimo Mila: “Mazzini steso gli aveva aperto il cammino, additando agli artisti italiani un altro dei valori attraverso i quali era possibile placare la struggente ansia individualistica del Romanticismo: ‘Dio e Popolo’. ” Infatti l’individuo ò naturalmente portato a tendere verso l’infinito, definito da Mazzini stesso “l’anelito delle anime nostre”, inserendo l’elemento divino e se stesso in quell’ entità  collettiva rappresentata dal popolo. Queste novità  filosofiche sono la piattaforma da cui parte il melodramma di Giuseppe Verdi che, dopo i successi del “Nabucco” (1842) e dei “Lombardi” (1843), abbandona il modello rossiniano per giungere ad opere con personaggi aventi caratteri individuali quali l’”Ernani” (1844) che ò di tipo donizattiano. Nella già  citata “Filosofia delle Musica” ò presente un aspetto profondamente religioso (anche se l’autore non riconosceva valore alla gerarchia ecclesiastica) e di tensione verso il divino che ha portato Gaetano Salvemini ad affermare che “Mazzini non fu nè un uomo di Stato, nè un filosofo. Fu un mistico. Chiunque vive non per se stesso, ma per gli altri, ò un mistico anche se ò ateo”. L’ azione politica riprende vigore nel 1848, l’anno della I Guerra d’Indipendenza, e delle forti tensioni internazionali che porteranno a Vienna alla caduta del Metternich ed, a Parigi, alla fuga degli Orlòans ed alla proclamazione della II Repubblica che ben presto cadrà  nelle mani dell’ambizioso Napoleone Bonaparte. Mazzini, nel 1848, guida con Armellini e Saffi, la Repubblica romana che ò il momento maggiormente rappresentativo delle sue capacità  amministrative e la cui Costituzione assume, nell’interpretazione di Giovanni Spadolini, il ruolo di anticipatrice delle moderne Costituzioni democratiche europee. Fu ispirata dalle tradizioni giacobine e dalle idee socialistiche esprimendo, così, non solo aspirazioni locali, ma gli ideali maturati da grandi uomini in molti anni di forzato esilio. Molti sono i punti in comune tra la Costituzione della Repubblica romana e la Costituzione italiana del 1948. Per entrambe la “sovranità  appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione” (art. 1), evitando così di contrapporre il popolo sovrano alle legittime assemblee da esso elette. Il parallelo continua per quanto riguarda gli artt. 3, 6, 7, 8 della Costituzione mazziniana e gli artt. 13, 14, 8, 21 della Costituzione italiana. Infatti in tutti questi articoli si affermano, negli stessi termini, i diritti inviolabili della libertà  d’insegnamento, dell’inviolabilità  del domicilio e dell’abolizione della pena di morte. Importante ò l’art. 28 della Costituzione della Repubblica romana in cui si prevede un indennizzo per tutti i rappresentanti del popolo eletti, conquista raggiunta, nel Regno d’Italia, soltanto in epoca giolittiana dal movimento socialista. Fu d’ispirazione mazziniana, nell’interpretazione data da Piero Calamandrei nel suo “Discorso sulla Costituzione”, pronunciato a Milano nel 1955, l’art. 2 della Costituzione del 1948 in cui si afferma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà  di offesa degli altri popoli”. Sempre di Calamandrei ò un nobile e virtuoso parallelismo tra l’Assemblea Costituente romana del 1847 e quella italiana del 1948. Ciò non fu affatto un azzardo, ma la consapevolezza che l’Assemblea mazziniana doveva essere il compimento del Primo Risorgimento, ma così non fu e che l’Assemblea Costituente era il simbolo della Resistenza che, come disse a Milano il 25 aprile 1968 l’allora Presidente della Camera dei Deputasti Sandro Pertini, era stata “Un secondo Risorgimento i cui protagonisti furono le masse popolari”. Caduta la Repubblica romana e giunto, nel 1852, al potere il Cavour si assiste alla fase calante della politica mazziniana. àˆ la monarchia sabauda a guidare, nonostante che ciò non fosse nei progetti del Cavour, il processo di unificazione nazionale e numerosi mazziniani (Garibaldi, Crispi, Visconti-Venosta, Giuseppe Verdi ) passano alle file monarchiche aderendo alla “Società  Nazionale” istituita da Cavour e dal Vittorio Emanuele II. Mazzini si reca esule, per l’ennesima volta, in Inghilterra dove intrattiene buoni rapporti con i liberali inglesi amici di Gladstone e godendo, come testimoniato dagli scritti di Denis Mack Smith, di vasta popolarità . Nel 1848 Marx e Engels pubblicano il “Manifesto del Partito Comunista” e nel 1864 si assiste alla nascita della Prima Internazionale alla quale partecipano fra gli altri Marx, Mazzini e Bakunin. Nel corso di questi anni la polemica tra Marx e Mazzini raggiunge livelli molto alti tanto che il filosofo tedesco accusa Mazzini di “leccare il culo ai borghesi liberali” e Mazzini replica affermando che, pur accettando le istanze di giustizia sociale che sono alla base del socialismo marxiano, rifiuta la lotta di classe e la violenza come mezzo di lotta politica. Critica fortemente i socialisti francesi che, con il loro radicalismo, hanno facilitato il colpo di Stato di Luigi Bonaparte. Condanna, con buona pace del capo del sindacalismo rivoluzionario George Sorel (che sosteneva che “La violenza ò la levatrice della Storia”) la violenza ponendosi in posizione critica nei confronti della Comune parigina del 1870. Ma nonostante tali polemiche non ò improprio parlare di “socialismo mazziniano” intendendo il termine Socialismo nel senso più profondo ed originario della parola. Si rivolge alle classi medie e, tramite le “Società  operaie”, al proletariato del cui appoggio ritiene di avere bisogno. Il Partito d’Azione da lui fondato ò il primo movimento veramente democratico poichè, oltre che a sostenere il suffragio elettorale universale maschile, prevede che il governo debba essere responsabile del proprio operato di fronte al popolo affinchè il potere non sia detenuto da una ristretta elitès. Mazzini col tempo diviene il punto di riferimento, con Piero Gobetti, Giovanni Amendola, i fratelli Carlo e Nello Rosselli, di quell’Italia di minoranza che Norberto Bobbio ha chiamato “Italia civile della ragione”. Buona parte del pensiero della sinistra democratica affonda le proprie origini nel pensiero mazziniano. Come amava ricordare Giovanni Spadolini si tratta di un pensiero “carsico” che, a partire dal Partito d’Azione risorgimentale giunge alle più recenti formazioni politiche laiche e democratiche passando attraverso l’Unione Democratica Nazionale di Giovanni Amendola, la Pentarchia del 1925, il Partito d’Azione di Ferruccio Parri, Emilio Lussu e Leo Valiani e per il Partito Repubblicano Italiano di Ugo La Malfa, ò riconducibile al pensiero filosofico e politico di Mazzini. Il pensatore ligure condannava la censura e la negazione della libertà  sapendo che le grandi idee della Storia erano, in molti casi, state promosse da uomini perseguitati. Valgono sempre le parole di Socrate: “Mi avete ucciso perchè volete sottrarvi all’accusatore e non rendere conto delle vostre viltà ! Se credete che, uccidendo uomini, possiate impedire a qualcuno di consumare le vostre vite malvagie, siete in errore”. I modi e le forme con cui l’Italia viene unificata nel biennio 1860-61 non sono certamente quelli auspicati da Mazzini, ma come ha osservato Gaetano Salvemini in una delle sue ultime lezioni: “L’intera penisola ò stata unificata sotto una sola dinastia, la casa Savoia. Tutte le altre dinastie sono state spezzate “. In tale Italia Mazzini non si può riconoscere e muore, sotto falso nome, a Pisa nel marzo 1872. Ci piace pensare che in quell’ora suprema, Giuseppe Mazzini avesse ancora in cuore le parole, scritte nel lontano 1831 al sovrano Carlo Alberto, piene di appassionata fede e simbolo di indomito animo: “Non v’ò carriera più santa al mondo di quella del cospiratore che si costituisce giudice dell’umanità , interprete delle leggi eterne della natura. ” Sintesi del pensiero Come molto acutamente ò stato osservato, «le concezioni di Rosmini e Gioberti sono dominate dall’idea di tradizione; il pensiero di Mazzini ò dominato dall’idea di progresso. Ma l’apparente antitesi delle due concezioni, e l’aspra polemica che su di essa s’impernia, non riescono a celare la loro identità  d’ispirazione: il progresso stesso ò la tradizione ininterrotta del genere umano, come la tradizione non ò che il suo progresso incessante. Tuttavia accentuare, come fa Mazzini, il concetto di progresso implica una differenza importante dal punto di vista pratico-politico; giacchè significa far servire l’idea della tradizione al fine della trasformazione della società  e delle istituzioni anzicchè al fine della loro conservazione» (N. Abbagnano). Giuseppe Mazzini (1805-1872) ò stato definito appunto «apostolo di una nuova era», nuova sia dal punto di vista storico-politico che da quello religioso. Su quali presupposti filosofici egli fonda il suo ideale? «Dio ò Dio e l’umanità  ò il suo profeta». Tra Dio e l’umanità  non c’ò abisso: l’umanità  ò l’«incarnazione» di Dio, incarnazione continua, incessante. Essa, nel suo sviluppo, manifesta e compie la legge di Dio, la legge divina del progresso storico, al di là  degli obiettivi immediati delle volontà  individuali. Essa, insomma, ò la vera «testimone» di Dio e «la sola interprete della legge di Dio sulla terra». La Storia, pertanto, non ò solo storia umana, ma anche, e soprattutto, storia divina: ò il progressivo compimento del regno di Dio sulla terra attraverso l’opera dell’uomo. Il compito dell’uomo, pertanto, ò di secondare consapevolmente l’azione che attraverso di lui la Divina Provvidenza attua nel corso degli eventi. Come può l’uomo attingere la verità , cioò conoscere la direzione, individuare gli obiettivi della sua azione? Ricorrendo alla «coscienza» e alla «tradizione». Infatti nella coscienza si può cogliere la volontà  divina e nella tradizione si può riscontrare già  il suo parziale compimento. Esse sono quindi i soli criteri per la verità , purchè usati in modo coordinato: infatti la coscienza individuale, isolata in se stessa, porta all’anarchia, mentre la tradizione, da sola, induce all’immobilismo e al dispotismo. E che cosa indicano coscienza e tradizione? La Rivoluzione Francese ha concluso quel moto storico verso l’affermazione dei «diritti dell’uomo» in quanto individuo. L’epoca post- rivoluzionaria apre ora il discorso, secondo il Mazzini; dei «doveri dell’uomo» cioò quelli connessi al fatto che l’individuo, reso ormai sovrano, per progredire ulteriormente deve «aprire» la sua esistenza, allargare il suo essere fino ad identificarsi con la realtà  mistica dell’umanità . Se dunque finora egli ha conquistato la sua libertà , ora deve lottare per la «libertà Â» e per il «progresso» dell’Umanità . Ciò egli può fare agendo all’interno delle «sfere» della «famiglia» e della «nazione», entro cui solo l’individuo può perseguire «il perfezionamento morale di se stesso e d’altrui», o, per dirla in modo diverso, «il perfezionamento di se stesso attraverso gli altri e per gli altri» Chi concepisca la vita in tal modo, sentirà  evidentemente d’avere una missione da svolgere. «La vita ò una missione»; essa dev’essere guidata da una sola legge, quella del «dovere», che indica, quale scopo degli individui come dei popoli, l’impegno costante al loro riscatto da ogni schiavitàº, alla realizzazione cioò della libertà , con la quale si compie il progresso dell’umanità  verso una nuova società  umana che realizzi in sè il Regno di Dio. La costituzione dell’unità  politica dell’Italia ò per Mazzini, dunque, un dovere «religioso», un obiettivo prossimo perchè gli italiani vivano come nazione, superando ogni oppressione e divisione e realizzando la loro libertà ; ossia ò una tappa imprescindibile nel cammino verso la realizzazione dell’Umanità . Bisogna che gli individui rinuncino alla loro sovranità  per riconoscersi in quella della Nazione, realtà  super-individuale che sola può dare senso e direzione «superiore» all’azione individuale. Il vero sovrano dunque deve essere il Popolo, che, in quanto realtà  collettiva, ò il luogo d’azione della forza della Provvidenza con cui Dio guida e regola il corso del mondo. Solo identificandosi col Popolo l’individuo acquista coscienza del Fine religioso della storia, e del compito che egli, insieme agli altri, ha da realizzare concretamente, in un dato momento storico, per l’attuazione di quel Fine. In quanto caratterizzato da un compito «religioso» il Popolo ò realtà  religiosa. E lo Stato, ossia la sua organizzazione politica, non può non avere una funzione religiosa. Una politica senza una religione ò un assurdo. Sicchè assurdo ò il concetto di Stato laico, o addirittura di Stato ateo. Lo Stato deve infatti assumersi l’onere di unificare il Popolo intorno alla sua missione e di promuovere cosà­ l’educazione progressiva verso la perfezione individuale e collettiva. In tal senso esso deve essere una Chiesa. Dati questi presupposti, era inevitabile che Mazzini si opponesse alla visione materialistica della storia quale delineata da Marx e da Engels, e contestasse l’azione della Prima Internazionale. Quella visione, a suo giudizio, negava proprio i tre elementi fondamentali della sua concezione: Dio, patria e proprietà . Senza Dio, l’umanità , a suo giudizio, procederebbe senza una legge, e pertanto non potrebbe attuare alcun progresso; i popoli non avrebbero un disegno complessivo in cui inscrivere la loro opera, e gli individui sarebbero abbandonati ai loro impulsi sensibili, che sono variabili e incoerenti, preda del loro arbitrio, fiduciosi solo nella loro forza, e senza timore per alcuna sanzione. Negare la patria, poi, significherebbe privarsi di un imprescindibile «punto d’appoggio» per il compimento del progresso, per il perfezionamento dell’uomo. Senza patria non v’ò modo di rendere concreto il progresso, di assumerlo come fine individuale e collettivo. Sopprimere infine la proprietà  individuale implicherebbe estinguere ogni incentivo alla produzione. L’uomo tenderebbe solo alla sua sopravvivenza, e non mirerebbe al suo benessere, nè a quello della collettività  in cui vive. La proprietà , sostiene Mazzini, ò legittimata dal lavoro che la produce; essa ò «il segno visibile della nostra parte nella trasformazione del mondo materiale, come le nostre idee, i nostri diritti di libertà  e di inviolabilità  della coscienza, sono il segno della nostra parte nella trasformazione del mondo morale». Se la società  capitalistica, fondata sulla proprietà , ha prodotto e produce danni all’umanità , non per questo la proprietà  perde il carattere di elemento stimolatore del progresso. La stortura delle società  capitalistiche sta nel fatto che la proprietà  ò privilegio di pochi; camminare sulla via del progresso, allora, significa renderla sempre piຠaccessibile a un numero sempre maggiore di uomini attraverso il lavoro che essi compiono. Anche con Mazzini dunque si compie il recupero della tradizione spiritualistica italiana; anche per lui esso diventa il fondamento ideale per una visione complessiva della storia in cui si inscriva l’impegno politico dell’uomo dei suoi tempi per la soluzione, in senso «rivoluzionario», dei problemi da cui erano afflitte l’Italia e l’intera Europa. Per lui, quindi, la tradizione religiosa offre la base salda per l’unificazione e il progresso della società , delle nazioni e dell’umanità  intera. L’uomo nuovo sarà , allora, l’uomo cosciente del suo destino e del suo compito; cioò sarà  un uomo che si fa strumento consapevole – ma nel segno del progresso, non della conservazione – del disegno provvidenziale di Dio, trascendente-immanente. I doveri dell’uomo E’ inutile avvertire che in molte parti, i “DOVERI DELL’UOMO” sono stati superati dai tempi; tuttavia molte cose che al tempo in cui Mazzini scriveva sembravano arditi sogni, coloriti di generosa utopia, si sono poi verificati e sono state le maggiori conquiste non solo per l’Italia ma per tutto il genere umano. Ma il problema dell’educazione del popolo resta ancora intatto. La scuola materialista contro la quale insorse Mazzini, seguita a tentare la conquista delle masse premendo sull’instaurazione d’una società  con una gioia fittizia, una bellezza superficiale, un’ amore epidermico, un individualismo senza freni; ò per questo che i DOVERI DELL’UOMO sono ancora opera viva. E politicamente, direi ancora attuale, se siamo rimasti attenti alle ultime vicende geopolitiche. Opera a molti sconosciuta, rintracciandone una rarissima copia, credo di fare cosa gradita pubblicandola integralmente. E’ un’opera sconosciuta a molti, ma non ignorata da grandi statisti. Tanto W. T. Wilson e George Lloyd George, quanto molti leaders post-coloniali, tra i quali Gandhi, Golda Meir, David Ben Gurion, Nehru e Sun Yat-sen, hanno considerato Giuseppe Mazzini il proprio Maestro e “I DOVERI DELL’UOMO” la propria Bibbia morale, etica e politica. Mazzini, teorizzando l’integrazione fra le nazioni europee in un’ottica democratica e riformista giunge con quasi un secolo d’anticipo ad affermare ciò che grandi europeisti, quali Altiero Spinelli, Ugo La Malfa, Umberto Terracini e Giorgio Amendola, alla fine del II conflitto mondiale che aveva sconvolto le coscienze di milioni di europei che negli anni ’50 si interrogheranno se la nuova Europa dovesse divenire finalmente quel luogo politico e culturale in cui svelenire gli odi nazionalisti nell’ottica dell’interesse comune di pace e di prosperità , oppure se dovesse essere il baluardo avanzato della guerra fredda. (“contro chi? ” – “ancora contro se stessa? “- La risposta la lasciamo all’attento lettore). Mazzini subordinava il concetto di Patria a quello più ampio di Umanità , auspicando che il concetto di “NAZIONE” sarebbe stato superato a favore di una “FEDERAZIONE” fra i popoli europei che, da un lato, avrebbe permesso la rimozione delle tensioni internazionali sanando le ferite nazionaliste e, dall’altro, avrebbe permesso lo sviluppo anche dei popoli più poveri. La nazioni sarebbero dovute giungere a questo nuovo assetto geopolitico spinte dalla comprensione della “LEGGE MORALE” a cui tutte sono soggette. Il pensatore democratico intravedeva già  negli anni 1830 come la vecchia idea d’Europa, nata a Vienna nel 1914, non potesse reggere al progredire impetuoso della Storia. In tale considerazione vi ò una consonanza con il filosofo tedesco Hegel che, nel 1831, affermava che in breve tempo l’Europa avrebbe ceduto il primato agli Stati Uniti. (e non era presente nella I e nella II guerra mondiale). Ma contrariamente ad Hegel, che intendeva le nazioni in una naturale e reciproca competizione, Mazzini le considerava necessariamente cooperanti in nome dell’Umanità  di cui ogni singola nazione ò parzialmente manifestazione. Le tensioni internazionali non hanno per nulla sanato le ferite; e la federazione sta fallendo proprio davanti a quel primato paventato da Hegel. Fu d’ispirazione mazziniana, nell’interpretazione data da Piero Calamandrei nel suo “Discorso sulla Costituzione Italiana”, pronunciato a Milano nel 1955, l’ARTICOLO 2 della medesima Costituzione del 1948 in cui si afferma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà  di offesa degli altri popoli”. E sempre di Calamandrei ò un nobile e virtuoso parallelismo tra l’Assemblea Costituente romana del 1848 e quella italiana del 1948. Mazzini, esattamente cento anni prima, nel 1848, guidò la Repubblica Romana che ò il momento maggiormente rappresentativo delle sue capacità  amministrative e la cui Costituzione assume, anche nell’interpretazione di Giovanni Spadolini, il ruolo di anticipatrice delle moderne Costituzioni democratiche europee oltre che di quella Italiana. Infatti, molti sono i punti in comune tra la Costituzione della Repubblica romana del 1848 e la Costituzione italiana del 1948. Per entrambe la “sovranità  appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione” (art. 1), evitando così di contrapporre il popolo sovrano alle legittime assemblee da esso elette. Il parallelo continua per quanto riguarda gli artt. 3, 6, 7, 8 della Costituzione mazziniana e gli artt. 13, 14, 8, 21 della Costituzione italiana. Infatti, in tutti questi articoli si affermano, negli stessi termini, i diritti inviolabili della libertà  d’insegnamento, dell’inviolabilità  del domicilio e dell’abolizione della pena di morte.

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