La guerra del Vietnam è uno dei conflitti che ha maggiormente sconvolto il mondo moderno, anche per la pensante sconfitta subita dagli Stati Uniti, sia sul piano militare che dell’immagine. Approfondiamo gli eventi, le cause e le conseguenze di questa tragica guerra.
Tra il 1955 e il 1975, il Vietnam fu teatro di una sanguinosa guerra che coinvolse direttamente gli Stati Uniti. Il conflitto affondava le sue radici nella decolonizzazione: dopo la Seconda guerra mondiale, la Francia tentò di riprendere il controllo delle sue ex colonie in Indocina, ma venne sconfitta dal movimento indipendentista comunista.
Negli anni ’50, dalla fine del dominio francese nacquero due stati distinti: il Vietnam del Nord, con un governo comunista, e il Vietnam del Sud, retto da una dittatura sostenuta dall’Occidente. Nel Sud prese presto piede un’insurrezione armata che puntava alla riunificazione del Paese; timorosi dell’avanzata comunista in Asia, gli Stati Uniti decisero di intervenire militarmente, scatenando un conflitto devastante.
Nonostante la superiorità tecnologica e bellica americana, la resistenza vietnamita si rivelò inaspettatamente efficace. Nel 1973, le pesanti perdite umane e i costi esorbitanti spinsero il presidente Nixon a ordinare il ritiro delle truppe e, due anni dopo, il Vietnam venne definitivamente riunificato sotto il governo comunista.
Le origini della guerra del Vietnam: dalla guerra d’Indocina alla divisione del Vietnam
La guerra del Vietnam affonda le sue radici nella lotta per l’indipendenza dall’occupazione coloniale francese.
Nel 1945, con la sconfitta del Giappone, i Vietminh costrinsero l’imperatore Bao Dai a lasciare il trono e il 2 settembre proclamarono la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam, con Ho Chi Minh alla presidenza. Tuttavia, le tensioni con la Francia, che tentava di riprendere il controllo dell’Indocina, nel dicembre 1946 sfociarono in un conflitto armato.
Nel 1949 i francesi appoggiarono la creazione del Vietnam del Sud, con capitale Saigon e Bao Dai a capo dello Stato, e, l’anno successivo, gli Stati Uniti riconobbero il nuovo governo e iniziarono a fornire aiuti militari. Il punto di svolta arrivò nel 1954, quando i francesi vennero sconfitti dai Vietminh a Dien Bien Phu.
L’8 maggio dello stesso anno, alla Conferenza di Ginevra, venne stabilita una tregua e il Vietnam fu temporaneamente diviso lungo il 17° parallelo: il Nord sotto il controllo comunista, il Sud affidato al governo di Saigon. Gli Stati Uniti, però, non riconobbero l’accordo e intensificarono il loro sostegno al Vietnam del Sud, segnando l’inizio di un nuovo capitolo del conflitto.
Il Vietnam si infiamma: la guerriglia riprende
Dal 1957 le tensioni tra il Nord e il Sud del Vietnam si fecero sempre più evidenti, con continue violazioni dell’armistizio da entrambe le parti. Inizialmente si trattò solo di brevi sconfinamenti, ma nel giro di due anni la situazione precipitò: i Vietcong, che dopo la divisione del Paese si erano spostati al Nord, iniziano a tornare nel Sud, supportati dal governo comunista di Hanoi per liberare il Sud dall’influenza degli Stati Uniti. Nel 1960 il conflitto divenne una realtà.
Kennedy e l’impegno americano in Vietnam
Quando John F. Kennedy fu eletto presidente, la situazione era già instabile. A dicembre del 1961 il presidente decise di intervenire a sostegno del Vietnam del Sud, inviando a Saigon i primi 400 militari statunitensi che, in un solo anno, crebbero fino a 11.200 uomini. Nel frattempo, il governo sudvietnamita guidato da Ngo Dinh Diem affrontava una crescente opposizione interna, soprattutto da parte dei movimenti buddisti, con frequenti tensioni che il 1° novembre 1963 sfociarono in un colpo di Stato: Diem venne deposto e giustiziato.
Nei mesi successivi, il Vietnam del Sud attraversò una fase di grande instabilità, con ben dieci governi che si susseguirono in appena un anno e mezzo; nel 1965 un consiglio militare guidato dai generali Nguyen Van Thieu e Nguyen Cao Ky riuscì a ristabilire un fragile equilibrio e nel 1967 Thieu divenne ufficialmente presidente con il voto popolare.
La svolta nella guerra del Vietnam: gli Stati Uniti entrano in guerra
La guerra del Vietnam non è un conflitto tradizionale: non ci sono fronti chiari, solo una guerriglia diffusa che si combatte ovunque. Dagli anni Sessanta, le truppe nordvietnamite iniziarono a infiltrarsi nel Sud per sostenere i Vietcong, mentre URSS e Cina inviavano rifornimenti ad Hanoi attraverso il sentiero di Ho Chi Minh che attraversa Laos e Cambogia.
L’agosto del 1964 segnò una svolta. Dopo un attacco delle forze nordvietnamite contro unità navali americane nel Golfo del Tonchino, gli Stati Uniti risposero bombardando obiettivi militari nel Nord. Nel febbraio 1965, i bombardamenti divennero sistematici e il numero di soldati americani schierati in Vietnam crebbe rapidamente, superando i 200.000 uomini alla fine dell’anno.
Trattative di pace e malcontento negli USA
Nel dicembre 1965, il presidente Lyndon Johnson decise di sospendere i bombardamenti sul Vietnam del Nord nella speranza di avviare un dialogo di pace, ma i tentativi di negoziazione fallirono e gli attacchi ripresero, colpendo persino Hanoi e il porto di Haipong. Un altro tentativo di mediazione arrivò nel giugno 1967 con il premier sovietico Kosygin, ma anche questa iniziativa non portò a nessuna tregua.
Intanto, la guerra si faceva sempre più pesante per gli Stati Uniti e nel 1968 il numero dei soldati americani in Vietnam superava i 525.000. Ma fu un altro dato a scuotere l’opinione pubblica: nel novembre 1967 il Pentagono comunicò che, dall’inizio del conflitto, erano già morti 15.000 militari statunitensi. Il Paese iniziò quindi a ribellarsi con richieste sempre più frequenti per mettere fine alla guerra.
L’offensiva del Tet: una vittoria che sembra una sconfitta
Nel gennaio 1968, il generale nordvietnamita Võ Nguyên Giáp lanciò l’Offensiva del Tet, un attacco coordinato contro oltre cento obiettivi nel Vietnam del Sud: militarmente fu un fallimento, ma l’impatto psicologico fu devastante. Le immagini della guerriglia nelle città e delle vittime civili convinsero l’opinione pubblica americana che la guerra era impossibile da vincere.
Il 31 marzo 1968, Johnson annunciò la sospensione dei bombardamenti e a maggio si aprirono i negoziati di pace a Parigi tra USA e Vietnam del Nord, ma i colloqui si arenarono già a novembre, senza risultati concreti.
Il piano di Nixon: meno soldati, più tensione
Nel 1969, il nuovo presidente americano Richard Nixon introdusse la “vietnamizzazione” del conflitto, ovvero un graduale ritiro delle truppe statunitensi per lasciare il peso della guerra all’esercito sudvietnamita. Ma la situazione non cambiò: né la riduzione delle forze americane né la morte di Ho Chi Minh, avvenuta il 3 settembre 1969, riuscirono a sbloccare i negoziati di Parigi. Il Vietnam del Nord chiese il ritiro totale degli USA prima di trattare seriamente la pace.
Nel frattempo, negli Stati Uniti le proteste contro la guerra aumentarono. Il malcontento crebbe ulteriormente dopo la diffusione delle atrocità commesse dai soldati americani in Vietnam e la pubblicazione dei Pentagon Papers, documenti segreti che svelavano la gestione della guerra da parte del governo.
1972: un’ultima speranza di pace
Il 25 gennaio 1972, Nixon propose un nuovo piano di pace che includeva elezioni presidenziali in Vietnam del Sud. Hanoi rispose con una richiesta drastica: dimissioni immediate del presidente sudvietnamita Nguyễn Văn Thiệu in cambio del rilascio dei prigionieri americani. I negoziati si interruppero di nuovo a marzo e il Vietnam del Nord lanciò una massiccia offensiva alla quale gli Stati Uniti reagirono con nuovi bombardamenti e minando i porti del Vietnam del Nord.
Trattative di pace tra speranze e tensioni
Nel 1972, a Parigi, gli Stati Uniti e il Vietnam del Nord tornarono a sedersi al tavolo delle trattative. Il segretario di Stato americano Henry Kissinger e il delegato nordvietnamita Le Duc Tho erano finalmente vicini a un accordo: i comunisti accettarono di separare le questioni militari da quelle politiche e rinunciarono alla richiesta di un governo di coalizione nel Vietnam del Sud; il presidente sudvietnamita Van Thieu, però, si oppose all’intesa, bloccando tutto all’ultimo momento.
La risposta di Nixon fu drastica: il 17 dicembre ordinò il bombardamento massiccio di Hanoi e Haiphong, causando devastazione e indignazione nel mondo intero. Nonostante l’escalation, sia Washington che Hanoi volevano salvare i progressi fatti nei negoziati, così, nel gennaio del 1973, i colloqui ripresero e finalmente venne raggiunto un accordo: fine di qualsiasi ostilità, ritiro delle truppe americane entro sessanta giorni e riconoscimento del 17° parallelo come confine provvisorio.
Una pace fragile e il crollo di Saigon
Nel mese di marzo gli Stati Uniti ritirarono quasi tutte le loro forze dal Vietnam, mantenendo solo una presenza minima a Saigon; Nixon promise aiuto militare al governo sudvietnamita in caso di nuove aggressioni, ma lo scandalo Watergate sconvolse l’America a tal punto da portare il conflitto in secondo piano.
Nel 1974, gli scontri tra il Nord e il Sud ripresero con maggiore intensità e a dicembre le truppe nordvietnamite lanciarono l’attacco finale su Saigon, che cadde il 30 aprile 1975. Il Vietnam del Sud si arrese senza condizioni e il Paese venne riunificato sotto il governo comunista.
La guerra del Vietnam: un’eredità di morte e distruzione
La guerra del Vietnam cambiò per sempre il modo di combattere. Il coinvolgimento della popolazione civile era stato totale: i guerriglieri si confondevano con la gente comune, rendendo impossibile distinguere amici e nemici, mentre gli Stati Uniti usarono armi chimiche, provocando distruzione ambientale e migliaia di vittime innocenti anche tra chi non combatteva.
Le cifre del conflitto furono spaventose: oltre due milioni di vietnamiti morti, tre milioni di feriti e dodici milioni di profughi. Gli Stati Uniti contarono quasi 58.000 soldati uccisi e più di 150.000 feriti, ma la perdita più grande fu l’impatto sull’opinione pubblica e sulla politica: la guerra lasciò un’America divisa, sfiduciata e con un’ombra talmente pesante sulla reputazione internazionale da influenzare il resto della Guerra Fredda.
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