La decisione di Dario di invadere la penisola greca affonda le radici nella rivolta ionica del 499, ma è anche il risultato degli attriti tra le poleis greche, che intendevano mantenere la propria autonomia, e l'Impero Persiano, che voleva estendere il suo dominio verso occidente.
Nel 494 a. C. i Persiani rasero al suolo la polis simbolo della rivolta, Mileto, mentre nel 493 sottomisero Chio, l'ultima roccaforte dei rivoltosi, soffocando così la rivolta ionica e organizzando una spedizione militare contro Atene ed Eretria.
Prima guerra persiana
Nel 490 una flotta persiana si presentò in Eubea, di fronte le mura di Eretria; la resistenza delle città all’assedio persiano fu breve, appena una settimana, dopo la quale un traditore aprì le porte della città, facendole patire la stessa sorte toccata pochi anni prima a Mileto.
Quindi i Persiani sbarcarono presso il villaggio di Maratona, a poco più di 40 chilometri da Atene, guidati da Ippia, che coltivava la speranza di poter prendere potere in città. Gli Ateniese dovevano prendere una difficile decisione: aspettare l’arrivo dei Persiani e subire un assedio o andare loro incontro per sfidarli in battaglia. Fu questa seconda possibilità ad essere scelta, per cui opliti ateniesi raggiunsero i loro nemici nella piana di Maratona. I persiani potevano schierare un esercito più numeroso, quasi il doppio rispetto a quello ateniese, motivo per cui gli ateniesi avevano cercato aiuto presso altre poleis, in particolare a Sparta. Motivi religiosi ritardarono però la loro partenza e in effetti gli spartani giunsero solo a cose fatte: solo la città di Platea, in Beozia, inviò mille uomini che andarono a rafforzare l’ala sinistra dell’esercito ateniese. Lo scontro fu rinviato per qualche giorno, nessuno dei due eserciti prendeva l’iniziativa e in particolare gli ateniesi, i cui dieci strateghi avevano il comando dell’esercito a rotazione, erano indecisi sul da farsi, forse ancora in attesa degli spartani.
Alla fine decisero di affidarsi a MIlziade, esponente della nobilissima famiglia dei Filaidi, il quale decise per l’immediato attacco: in poche ore gli opliti ateniesi sbaragliarono i Persiani, riportando una schiacciante vittoria. Solo 192 ateniesi morirono e ai persiani non restò altro che imbarcarsi sulle navi e far ritorno in patria.
Gli anni di intervallo tra le due guerre furono utili alla Grecia per rafforzarsi. Ad Atene Temistocle riuscì a convincere gli Ateniesi a destinare i fondi ricavati dalla scoperta di nuovi filoni argentiferi nelle miniere del Laurio alla costruzione di una grandissima flotta.
Seconda guerra persiana
L’esercito che nella primavera del 481 si mise in marcia verso la Grecia era ben più grande di quello che era stato sconfitto a Maratona e anche gli scopi della spedizione erano cambiati: Serse in persona e Mardonio, suo genero e comandante in capo, giungevano in Grecia per chiedere “terra e acqua” alle varie poleis, vale a dire completa sottomissione al volere del Gran Re. Molte città, specie quelle situate al nord, che quindi sarebbero state attaccate prima dai persiani, scelsero di riconoscere la superiorità persiana senza combattere e tra queste la più importante fu Tebe.
Nondimeno le città che dettero vita all’alleanza antipersiana non furono poche e soprattutto ne fecero parte sia Sparta che Atene e alla prima fu affidata la guida dell’esercito confederato. All’arrivo in Grecia nel 480, i Persiani non incontrarono alcuna resistenza e giunsero presto alla linea difensiva tracciata dai Greci: qui avvennero le prime due battaglie, per mare e per terra.
La battaglia navale dell’Artemisio si risolse con un nulla di fatto, ma ben più drammatica fu quella terrestre: il contingente greco che si schierò sul passo delle Termopili per fermare l’esercito persiano si rivelò insufficiente e quando un disertore segnalò ai Persiani la via migliore per aggirare lo schieramento greco, i vari contingenti si dettero alla fuga. Fecero eccezione solo gli spartani guidati da Leonida, che “in obbedienza alle leggi della propria città”, come fu scritto in un’epigrafe commemorativa, sacrificarono le loro vite fino all’ultimo uomo, ritardando così l’avanzamento dei persiani.
A subire le immediate conseguenze dello sfondamento dei persiani furono gli ateniesi: essi presero la decisione di abbandonare le città e trasferirsi nell’isola di Salamina e nella città di Trezene, sulla costa del Peloponneso. La difesa delle città fu lasciata ad un piccolo drappello di uomini che non ne poterono impedire la distruzione né l’incendio dei templi dell’acropoli. Intanto la flotta persiana si assestava sulle coste dell’Attica, presso Salamina: Temistocle, impiegando tutte le sue abilità, riuscì a provocare lo scontro con le navi persiane, calcolando giustamente che lo strettissimo spazio di mare a disposizione non avrebbe consentito ai Persiani di far valere la propria superiorità numerica. In effetti la battaglia, svoltasi al cospetto dello stesso Serse, si risolse in un trionfo per la flotta greca.
Intanto l’esercito di terra, guidato da Mardonio, era rimasto in Grecia e l’inverno vide di nuovo i Persiani invadere la terra attica e devastarla, con gli ateniesi impossibilitati a tornare nelle proprie case.
Nel 479 un contingente spartano superò finalmente l’istmo di Corinto, guidato da Pausania, e si mosse verso nord per ricongiungersi al contingente ateniese guidato da Aristide.
Nel settembre del 479, a Platea, si svolse lo scontro finale, che mostrò la grande superiorità della fanteria pesante spartana, e greca in generale, sui Persiani. Nella stessa estate la vittoria greca fu resa definitiva dal re spartano Leotichida che, inseguendo la flotta persiana nel mar Egeo, riuscì a sorprenderla presso capo Micale. Quasi tutte le navi vennero incendiate e distrutte e le isole di Samo, Lesbo e Chio vennero immediatamente accolte nella lega degli alleati.
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