Hans Kelsen nacque a Praga nel 1881, studiò e insegnò Diritto all’università di Vienna e allo stesso tempo fu collaboratore per il progetto per la costituzione della repubblica austriaca e fu giudice presso la Corte Costituzionale austriaca dal 1921 al 1930. Nel 1930 passò all’università di Colonia, ma nel 1933, prima dell’avvento del potere nazista, si spostò a Ginevra e nel 1941 negli USA, dove morì nel 1973, dopo aver insegnato a Harvard e a Berkeley, in California. Fu autore di parecchie opere giuridiche e politiche, tra le quali ò opportuno ricordare la Dottrina generale dello Stato (1925), la Dottrina pura del diritto (1934) e la Teoria generale del diritto e dello Stato (1945). Kelsen vuole elaborare una dottrina pura del diritto, cioò liberata da ogni commistione con nozioni morali, politiche o sociologiche; solo in questo modo si può garantire il carattere obiettivo della scienza del diritto, la quale ha un compito descrittivo, e non quello di produrre valori o norme o di esprimere giudizi di valore. Questa ò invece la pretesa del giusnaturalismo o del marxismo, ai quali Kelsen contrappone l’ideale weberiano del carattere avalutativo della conoscenza scientifica. Il giusnaturalismo presuppone che nella natura vi sia un valore immanente assoluto e ritiene dunque di poter dedurre il diritto, cioò quel che ò giusto in assoluto, dalla natura stessa; ma questo vuol dire, spiega Kelsen, compiere un salto scientificamente illegittimo dal piano dell’essere (natura) a quello del dover essere (diritto). Allo stesso modo il marxismo mescola la teoria giuridica, riguardante il campo delle norme (cioò il dover essere) con una sociologia economica, concernente invece i dati di fatto. Da questo scaturisce la credenza che lo Stato nasca solo allo scopo di tutelare la proprietà privata, come pensano anche i teorici liberali, e che con la scomparsa della proprietà anch’esso sia destinato a scomparire e tutti gli individui possano così aspirare ad un unico fine. In opposizione a questo, Kelsen rileva che lo Stato può anche servire contro lo sfruttamento economico e che non esistono garanzie di una scomparsa definitiva dei motivi di divisione e di lotta. Kelsen ò del parere che non sia possibile alcun ordinamento sociale senza una qualche coercizione dell’uomo sull’uomo. Nella realtà , ad avviso di Kelsen, ò data solo l’esistenza di individui isolati; lo Stato, rispetto ad essi, rappresenta solo un mezzo o una tecnica indispensabile a qualsiasi tipo di società . Sotto questo profilo, lo Stato costituisce un sistema organizzato di norme (prescrizioni o divieto), i cui unici destinatari sono gli individui. Il diritto ò questo sistema di organizzazione di norme e, quindi, ò diritto positivo: questo ò l’oggetto vero e proprio della teoria giuridica, cosicchò la posizione di Kelsen può essere bollata di positivismo giuridico. Si tratta di una teoria formale, in quanto vale per ogni forma possibile di organizzazione giuridica materiale, cioò di Stato, e fonda la possibilità del diritto come scienza di norme, non di fatti nò di valutazioni emozionali. La norma ò giudizio ipotetico, in base a cui, se si ò adottato un certo comportamento, allora deve scattare una sanzione: in questo consiste la nozione di imputabilità . Il diritto ò una tecnica sociale che, servendosi della sanzione, regola la convivenza di individui. Esso ò però un sistema normativo dinamico, in cui le norme sono prodotte le une per mezzo delle altre e rimandano alla creazione di altre norme indispensabili per la loro attuazione. Caratteristica principale di un ordinamento giuridico ò appunto il fatto che esso regola la propria produzione: questo vuol dire che ogni norma, per essere giuridica, deve essere prodotta in conformità ad un’altra norma giuridica. Un norma ò quindi valida in quanto appartiene ad un sistema normativo e, a sua volta, appartiene a quel sistema solo perchò ò riducibile a norme precedenti grazie alla validità del procedimento con cui ò creata, cioò grazie alla sua emanazione da parte di un organo appartenente all’ordinamento e tramite la procedura decretata dall’ordinamento stesso. Se non si vuole correre il rischio di andare all’infinito nel ricondurre ogni norma ad un’altra norma antecedente, bisogna che ci sia una norma fondamentale, non bisognosa di ulteriore fondazione e garante dell’unità dell’intero sistema normativo. Essa non ha contenuti materiali specifici, ma un carattere meramente formale, consistente nel determinare le modalità legittime di produzione delle norme. Questo vuol dire che l’obbedienza alle norme va prestata non perchò esse siano giuste o buone, ma perchò sono prodotte in conformità della norma fondamentale, che sancisce quale sia l’autorità preposta alla creazione delle norme stesse. Il potere statale ò quel che assicura la validità di un ordinamento giuridico: una norma ò efficace se ò valida e se viene rispettata. Sulla base di questi presupposti, Kelsen affronta il problema della democrazia, soprattutto nello scritto Essenza e valore della democrazia (1929). Una democrazia, in senso moderno, ò definibile come la forma di costituzione in cui alla produzione delle norme presiedono i cittadini che sono ad esse soggetti, tramite l’elezione di propri rappresentanti. Kelsen intende la democrazia come sintesi di uguaglianza e libertà : dalla nozione che tutti, grosso modo, sono uguali deriva la nozione secondo la quale nessuno deve comandare su un altro; l’esperienza però mostra che per essere tutti definitivamente uguali bisogna che ci sia un potere che regolamenti in modo obbligatorio le relazioni degli uomini tra loro. Ma ò possibile che una dittatura realizzi l’uguaglianza materiale tra gli individui meglio di una democrazia. Questo vuole allora dire che prioritaria nella democrazia ò l’idea di libertà , mentre quella di uguaglianza ò da essa derivata: ‘ dal momento che tutti devono essere liberi nella maggior misura possibile, tutti devono partecipare alla formazione della volontà dello Stato ‘ e quindi in misura uguale. Carattere tipico della democrazia ò allora che quelli che sono soggetti al comando, siano gli stessi che comandano: la democrazia ò quella forma di Stato o società in cui la volontà generale e l’ordine sociale sono garantiti da chi ò sottoposto a tale ordine, cioò dal popolo; qui si realizza l’identità tra governanti e governati. La libertà nella democrazia non consiste solo nella salvaguardia di una sfera di autonomia dell’individuo dall’ingerenza dello Stato, come volevano invece i teorici liberali, ma nella partecipazione dell’individuo al potere dello Stato. Sotto questo profilo, l’individuo interviene nella creazione delle regole del diritto, soprattutto tramite la mediazione dei partiti; lo Stato però presuppone che possa esserci discordanza fra l’ordine sociale e la volontà dei sottoposti ad esso e così rinuncia ad una unanimità di fatto inattuabile a favore di decisioni prese dalla maggioranza, proteggendo però le minoranze grazie alla garanzia costituzionale dei diritti o libertà fondamentali degli individui. Questo implica che la cerchia dei titolari dei diritti politici ò più ristretta rispetto a quella che raccoglie quelli che vi sono soggetti. Nei grandi Stati moderni si pone allora la necessità della rappresentanza: sotto questo profilo, il parlamentarismo ò la più importante limitazione all’idea di libertà e, dunque, di democrazia; esso infatti rappresenta un compromesso tra l’esigenza democratica di libertà e il principio della divisione del lavoro, condizione essenziale di ogni progresso tecnico e sociale. Il popolo deve quindi limitarsi a creare e controllare l’organo della formazione della volontà statale, cioò la classe governante. La democrazia ò propriamente una forma, un metodo di creazione dell’ordine sociale. Il presupposto teorico di essa ò infatti una concezione relativistica della verità : mentre le concezioni metafisiche e religiose del mondo poggiano sulla credenza in una verità assoluta e da questo assunto arrivano a conclusioni di carattere autocratico, la concezione opposta, secondo cui non si dà una conoscenza di verità e valori assoluti e l’esperienza stessa cambia e può cambiare di continuo, porta a riconoscere la possibilità dell’esistenza di opinioni discordi. E’ caratteristica tipica della democrazia dunque il rispettare e rendere possibile la manifestazione delle opinioni altrui, cosicchò il governo diventa la risultante di una libera competizione tra idee per ottenere il consenso. La teoria di Kelsen dà così luogo ad una concezione procedurale della democrazia, in cui assume funzione predominante la procedura del dibattito, in opposizione al marxismo, che, ad avviso di Kelsen, subordina la democrazia formale a quella sostanziale.
- 1900
- Filosofia - 1900