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Hegel: Il periodo di Berna

Il primo periodo di Hegel.

Solamente nel 1907 fu pubblicata una serie di scritti hegeliani, di argomento prevalentemente religioso, cui il curatore Herman Nohl diede il nome complessivo di Scritti teologici giovanili: essi furono redatti durante la permanenza di Hegel a Berna e a Francoforte (eccetto il primo di essi, che risale probabilmente al periodo di Tubinga). Questa fase iniziale di attività  speculativa di Hegel ò diventata uno dei maggiori punti di interesse della critica del Novecento, dal momento che permette di accostare alla tradizionale immagine ottocentesca di un Hegel sistematico la conoscenza di un “giovane” Hegel (gli scritti arrivano fino all’età  di trent’anni) nel quale il “sistema” ò ancora in piena formazione e lascia spazio a un maggior ventaglio di problemi e di interpretazioni. Il fulcro tematico degli scritti ò la religione, ma, attraverso l’analisi del fenomeno religioso e del Cristianesimo, Hegel comincia a dare forma a quello che ò l’elemento fondamentale della sua filosofia: la concezione della realtà  come ‘ totalità  unitaria nella quale i suoi diversi aspetti trovano la loro collocazione razionale ‘. Nel primo scritto, Hegel oppone, fin dal titolo, Religione popolare e Cristianesimo (1792 – 94). La religione popolare presenta due caratteri fondamentali. In primis ò una religione “soggettiva”, la quale ” impegna la fantasia e il cuore ” del soggetto che agisce in essa: non c’ò dunque alcun aspetto di coercizione, di precettistica esteriore, di rigidi dogmatismi affidati all’intelletto e alla memoria, come avviene invece nella religione “oggettiva”, scritta per sempre in un libro e conservata da un apparato chiesastico autoritario. In secondo luogo, essa ò una religione pubblica, che si manifesta nella concretezza dei costumi, della mentalità  e delle istituzioni di un popolo, in opposizione alla religione privata, che si consuma nel rapporto interiore tra il singolo uomo e Dio: infatti, oltrechè letteralmente come “religione popolare” il termine tedesco che la esprime ( Volksreligion ) ò traducibile come “religione nazionale”. Mentre il Cristianesimo incarna il tipo di religione oggettiva e privata, l’ideale della religione popolare o nazionale (soggettiva e pubblica) ò ritrovato da Hegel nella polis greca, dove le credenze religiose, da un lato rispondono alle esigenze di gioia e di serenità  proprie della natura umana, dall’altro si estrinsecano sempre in culti che, avendo forti valenze sociali e politiche, coinvolgono l’intera comunità . Nella Grecia idealizzata da Hegel, attraverso l’influenza di Schiller, Winckelmann e Hà¶lderlin, la città  – Stato rappresenta una comunità  unitaria nella quale si fondono in una sola realtà  gli aspetti sociali, politici e religiosi e nella quale, soprattutto, gli individui sono parti organiche di un tutto vivente e non ancora meccanicamente contrapposti in un aggregato. Qui nasce la vera libertà , che esclude tanto il dominio coercitivo della comunità  sul singolo, quanto la totale indipendenza di ciascun individuo da tutti gli altri individui: la vera libertà  ò quella nella quale l’individuo ritrova l’espressione della propria volontà  nella realtà  socio-politica (e quindi anche religiosa) alla quale appartiene. Tramite la contrapposizione tra religione popolare e Cristianesimo, Hegel tratteggiava il contrasto tra l’idea di una totalità  che ricomprende in sè armonicamente tutti i suoi aspetti e quella di un aggregato meccanico le cui parti non hanno alcuna relazione reciproca sostanziale e stanno forzosamente insieme in base a connessioni estrinseche, arbitrariamente imposte dall’intelletto. Se in questo primo scritto il Cristianesimo viene opposto alla religione popolare, nella Vita di Gesù (1795) esso, in quanto religione positiva, ò contrapposto alla religione naturale, cioò a una religione ricondotta all’etica nazionale del dovere. Il modello cui Hegel apertamente si ispira ò la Religione entro i limiti della sola ragione di Kant. L’insegnamento originario di Cristo si ridurrebbe pertanto ad illustrare quelli che sono i comandi universali della ragione. Hegel arriva ad attribuire a Gesù la stessa formulazione dell’imperativo categorico kantiano: “Agite secondo una massima tale che, ciò che voi volete che valga come legge universale fra gli uomini, valga anche per voi”. In che modo dunque la religione naturale professata da Cristo si ò tradotta in una religione positiva che si articola in un rigido corpo dogmatico e si fonda sulla rivelazione divina e sulla struttura autoritaria della Chiesa? Hegel cerca di rispondere a questa domanda nello scritto La positività  della religione cristiana (1795 – 1796). Sicuramente la causa più generale di questa degenerazione sta nell’ambiente e nella cultura ebraici, incapaci di cogliere la pura spiritualità  dell’insegnamento cristiano e legati all’esteriorità  del formalismo e del legalismo farisaici. Ma, in realtà , già  nello stesso magistero di Cristo sono contenuti i germi della successiva e progressiva positivizzazione del Cristianesimo. Ebreo egli stesso, Gesù ò infatti condizionato dall’ambiente in cui ò nato e dal pubblico al quale deve rivolgersi: così egli fonda la propria dottrina non sulla pura ragione legislatrice, bensì sulla rivelazione e sul comando di Dio; per lo stesso motivo egli ò portato a parlare di sè come del Messia, a ricorrere alla testimonianza dei miracoli, a fondare una Chiesa scegliendo, nei dodici apostoli, un corpo sacerdotale deputato alla conservazione e alla diffusione del suo insegnamento: tutti segni, questi, dell’incipiente positivizzazione del Cristianesimo.

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