” La matematica ò in Hegel solo un passo nella dialettica “, disse con una punta di comprensibile amarezza Bertrand Russell, grande estimatore della matematica oltre che filosofo. In effetti, la matematica, con Hegel, “perde terreno” e non ha più quella grande importanza avuta in Kant e, soprattutto, in Cartesio, in cui essa arrivava addirittura ad influenzare ogni ambito del pensiero. Se ci addentriamo nell'”Enciclopedia delle scienze filosofiche”, più precisamente all’inizio di questo volume enciclopedico, troviamo la “prima sezione della logica/la dottrina dell’essere”, in cui Hegel sfida la matematica. Le categorie interessate sono quelle dell’essere irriflesso (l’essere riflesso sarà poi l’essenza, e la sintesi di essere ed essenza sarà poi il concetto, o essere pienamente e circolarmente raggiunto-si, seppur ancora astrattamente, nell’Idea in sò). Le categorie principali, di snodo dialettico, della prima sezione della logica sono quelle della immediatezza sensibile: qualità , quantità , e misura. E si capisce, dunque, perchò siano della immediatezza sensibile, come ciò il cui contenuto ò apprensibile sensibilmente e non ancora intellettualmente -nella fermezza e relativa stabilità dei concetti- come ciò che in tal modo semplicemente diviene, passa, muta. Allora, dopo aver trattato per primissime le determinazioni dell’essere, del non-essere, del divenire, aver detto in merito al problema insieme logico e metafisico dell’Uno e del molteplice, Hegel approda e incontra per la prima volta la matematica con la Quantità ( ” la Quantità ò l’Essere puro in cui la determinatezza ò posta non più come unità con l’Essere stesso, bensì come rimossa, cioò come indifferente “); la distingue dalla mera grandezza, opina scrivendo come il continuo e il discreto non siano specie della Quantità , ma momenti unilaterali di essa e pertanto falsi se presi per sò. Prosegue definendo il Quanto ( “… una quantità limitata “, lapalissianamente, ma non stupidamente). Il Numero ò il Quanto compiutamente determinatosi, ” il quale implica entro sò, come suo elemento, l’Uno “. Il Numero ha i suoi momenti qualitativi: secondo il discreto, la “quantità numerante” e la “quotità “; secondo il continuo, “l’unità numerata”. Continua deducendo le operazioni elementari (addizione, moltiplicazione, potenza ecc), parla del Grado come grandezza intensiva, finchò passo passo arriva a dedurre l’estrema sintesi di questa prima parte della logica, cioò la Misura come ” Quanto qualitativo, immediato… Si tratta di un Quanto cui ò legato un Esserci, cioò una Qualità “. Dobbiamo saltare il resto della logica per ritrovare la matematica nell’Idea fuori di sò, alienata, o se vuoi nella “natura creata e non creante” di Giovanni Scoto che Hegel ricordava benissimo. Insomma, ci troviamo di fronte allla Natura/prima sezione della filosofia della natura/la meccanica/spazio e tempo. Sempre procedendo con la “regola del 3″, qui si parla delle 3 dimensioni dello spazio, quali riflesso delle 3 del concetto, di punto-linea-superficie in termini analoghi, e cose simili ( ” lo spazio ò in generale quantità pura, ma non più semplicemente come determinazione logica della quantità , bensì come quantità pura essente in modo immediato ed esteriore “). Del tempo, dopo averci ancora ricordato che esso non casualmente si suddivide in 3, passato-presente-futuro, e detto che tale tempo ò la negazione/realitazione dello spazio, lo definisce propriamente come ” divenire intuito “, e/o Io=Io ancora astratto ed esteriore. ” Accanto alla scienza dello spazio, la geometria, non c’ò un’analoga scienza del tempo. Le differenze temporali non hanno quell’indifferenza dell’esser-fuori-di-sò che costituisce la determinatezza immediata dello spazio; esse non sono perciò capaci di figure, come invece lo ò lo spazio. Il principio del tempo riceve questa capacità solo quando viene paralizzato, cioò quando la sua negatività viene ridotta dall’intelletto a mero Uno. Questo Uno morto, che ò la suprema esteriorità del pensiero, ò la combinazione esteriore, e tali combinazioni -le figure dell’aritmetica- sono a loro volta suscettibili della determinazione intellettiva dell’identificazione e della differenziazione in base a uguaglianza e disuguaglianza. ” A questo punto, ò bene proseguire nel paragrafo immediatamente successivo: ” Inopportunità di una filosofia matematica “, dove Hegel scrive: ” [… ] sennonchò la matematica ò in breve la scienza delle determinazione finite della grandezza, le quali determinazioni devono restar fisse nella loro finitezza e devono valere come tali senza passare in altre; di conseguenza la matematica ò una scienza intellettiva. E, poichò essa ha la capacità di essere una tale scienza in modo perfetto, conviene piuttosto conservarle il privilegio rispetto alle altre scienze di tipo analogo, e non contaminarlo intromettendovi il concetto, che le ò eterogeneo, o fini empirici. Ecco dove gravita tutta la concezione hegeliana della matematica, ovvero nella sua (ma anche già un po’ kantiana) differenza fra Ragione e Intelletto, fra Concetto come organismo razionale dinamico, vivo, e intelletto come lo stesso ma vivisezionato, anatomizzato e pensato come aggregatum meccanico di parti, ciascuna delle quali valida di per sò. In altri (e più brevi) termini, la matematica hegeliana ò la scienza perfetta del finito, la corona dell’Intelletto: ma, come ò noto, l’intelletto per Hegel ò nettamente inferiore rispetto alla ragione, poichè esso fa cogliere astrattamente il finito, le parti separate le une dalle altre, mentre la ragione ha il merito di farci cogliere le singole parti in un vivace rapporto reciproco da cui scaturisce il tutto, che altro non ò se non l’insieme delle singole parti relazionate tra loro senza la perdita della specificità propria di ogni parte appunto. Per Hegel, dunque, la matematica ò scienza intellettiva: ma non solo, essa ò la più perfetta delle scienze intellettive, ma perde di valore di fronte alla ragione.
- 1800
- Hegel
- Filosofia - 1800