La Scienza della logica si divide in tre parti, che riguardano rispettivamente la “logica dell’essere”, la “logica dell’essenza” e la “logica del concetto”. L’opera principia infatti dal concetto di essere, il quale, essendo il concetto più indeterminato e non presupponendo quindi per la propria determinazione nessun altro concetto (ma, viceversa, entrando nella determinazione di tutti gli altri), può costituire il “cominciamento” della scienza della logica. L’essenza di cui parla Hegel, infatti, ò l’essere di Parmenide, assolutamente privo di determinazioni: ò l’essere di cui non si può dire altro se non che ò. Ma un essere così indeterminato (ossia l’essere che non ò “nulla” di determinato) si traduce o, come Hegel si esprime, “trapassa” nel suo opposto, nel concetto di nulla. La separazione di essere e nulla ò dunque soltanto apparente: in realtà (il che sfuggì a Parmenide, il quale irrigidì intellettualisticamente la loro opposizione) essi sono i due momenti, anche se opposti, di un’ unica realtà . Questa loro sintesi, come ben aveva afferrato Eraclito, primo esponente del pensiero dialettico, ò il divenire. Il divenire, superando l’indeterminatezza dell’essere e del nulla, conduce all’essere determinato, ovvero all'”alcunchè”, alla cosa che ò questo e non ò altro. La determinazione dell’alcunchè deriva appunto dal fatto che esso si oppone all'”altro”, a quel che ò determinato diversamente da sè; esso ò determinato in quanto viene “definito”, limitato dall’altro, ossia in quanto ò finito. L’insieme di tutti gli esseri determinati (ovvero degli aspetti finiti della realtà ) ò un infinito. Al concetto di infinito Hegel dà quindi un significato peculiare. L’infinito non ò un processo senza termine e senza compimento, così come lo intendeva Fichte, per il quale l’Io ricomprende in sè all’infinito il Non-io. Questo per Hegel ò il “cattivo infinito”, che non ò mai la totalità , perchè lascia sempre risorgere qualcosa che ò al di fuori di esso. Il vero infinito ò una totalità conchiusa in se stessa: ò la totalità infinita di tutti i finiti, la cui infinitezza deriva proprio dal fatto di non lasciare fuori di sè nulla, cioò di non essere più “de-finito” da nessun’ altra cosa. La rappresentazione grafica del cattivo infinito ò la retta, che in realtà non ò mai data, in quanto prolungabile indefinitivamente; quella dell’infinito autentico ò il cerchio, ” la linea che ha raggiunto se stessa, che ò conchiusa e tutta presente, senza inizio nè fine “. Naturalmente questo vuol dire che il finito non ha un’esistenza propria, ma ò soltanto un momento dell’infinito: in termini più hegeliani, la realtà del finito ò soltanto ideale, mentre reale ò solamente la totalità infinita. L’unica vera, infinita realtà ò l’idea, la Ragione assoluta che ricomprende in sè ogni determinazione della realtà . La seconda parte della Scienza della logica, riguardante la “logica dell’essenza”, si apre con l’espressione: ” La verità dell’essere ò l’essenza “; con questa asserzione Hegel intende dire che l’essenza ò l’ essere considerato non nella sua immediatezza (come nella “logica dell’ essere”), ma come oggetto della riflessione, del pensiero che lo conosce nella sua verità . Le articolazioni fondamentali di questa parte sono l’ essenza come appare in se stessa, nella “riflessione” del pensiero (dove il termine “riflessione” perde la connotazione negativa che aveva nelle prime opere hegeliane, non riferendosi più soltanto all’ attività “astratta” dell’ intelletto, ma esprimendo piuttosto la funzione di “mediazione” esercitata dal pensiero in generale di contro all’ “immediatezza” del dato sensibile); l’ essenza come si manifesta nell’ esistenza, cioò il fenomeno; e la realtà effettiva come unità di essenza e di esistenza. Anche in questo caso non ò ovviamente importante seguire il succedersi delle varie determinazioni dell’ essenza. Soffermiamoci dunque soltanto sulle categorie della prima sezione, corrispondenti a quelle che la logica tradizionale considerava “leggi universali del pensiero”. La prima determinazione ò quella dell’ identità , per cui ogni essenza viene riferita soltanto a se stessa, appunto come identica a se stessa. La vera identità , per Hegel, ò però soltanto quella conseguita dialetticamente, attraverso la negazione e il ritorno in sò dell’ identico. Il “principio di identità ” su cui tradizionalmente si fonda questa categoria non ò dunque sufficiente, dal momento che si limita all’ affermazione dell’ immediatezza, ovvero a una pura e semplice tautologia (A = A). Il conseguimento della vera identità deve dunque passare attraverso la negazione dell’ identità , cioò attraverso la differenza. Quest’ ultima si manifesta dapprima come diversità , intesa come differenza immediata, ancora indeterminata; poi si traduce in opposizione, cioò differenza determinata da un oggetto che si pone, o meglio, si oppone, come “altro”; infine, come contraddizione, nella quale si chiarisce che gli opposti, se da un lato si negano vicendevolmente, essendo l’ uno il contrario dell’ altro, d’ altro lato si “pongono” vicendevolmente, dal momento che l’ uno esiste in quanto esiste l’ altro. Se nella logica aristotelica la contraddizione comporta l’ esclusione di uno dei termini contradditori, in quanto inconciliabile con l’ altro, in quella hegeliana essa diventa la condizione stessa della determinabilità dell’ oggetto: l’ elemento contradditorio ò quel che, essendo affermato in uno degli opposti e negato nell’ altro, li lega insieme e permette di scorgere la loro essenziale unità a un livello superiore a quello dell’ opposizione. Alla logica della non-contraddizione della tradizione aristotelica Hegel oppone la logica della contraddizione. E così la contraddizione non dev’ essere rimossa ma, al contrario, riconosciuta come fondamentale: infatti, l’ ultima categoria della riflessione, il fondamento, non ò altro che la contraddizione “risolta” in una superiore unità . L’ ultima parte della Scienza della logica ò “la logica del concetto “, che comporta l’ unione dell’ essere (immediato) e dell’ essenza (riflessa), consentendo in questo modo l’ intelleggibilità dell’ essere. A sua volta, questa parte si divide in: 1) dottrina della soggettività (o del concetto formale), nella quale si esaminano gli elementi in cui si articola l’ attività del soggetto pensante: il concetto, il giudizio, il sillogismo (che in questa sede non possono essere oggetto di trattazione); 2) dottrina dell’ oggettività , che riguarda i diversi momenti dello sviluppo dell’ oggetto del pensiero, cioò la natura: meccanismo, chimismo, teologia (temi ripresi più ampiamente nella “filosofia della natura”); 3) dottrina dell’ Idea, intesa come “unità assoluta del concetto e dell’ oggettività “, cioò come realtà razionale considerata nella sua totalità .
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