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Hume: Idea di causa

Critica all'idea di causa in Hume.

La relazione causale viene da Hume trattata e discussa facendo ricorso all’esempio delle palle da biliardo, già  usato un secolo prima dall’occasionalista Malebranche. Nel linguaggio comune siamo soliti dire che lanciando la palla A contro la palla B, la prima, colpendo la seconda, ne causa il movimento e lo spostamento. Ma, se ci atteniamo esclusivamente alle impressioni forniteci dall’ esperienza, abbiamo ragioni sufficienti per dire che a causa lo spostamento di B? In realtà  l’esperienza ci testimonia soltanto le tre cose che seguono: a ) lo spostamento di B ha luogo solo quando si verifica un rapporto di contiguità  spaziale tra le due palle: solo quando A è a contatto con B, B si mette in moto; 2 ) tra il moto di A e quello di B sussiste un rapporto di successione temporale: prima si muove A, poi si muove B; 3 ) fino a questo momento tra A e B c’è sempre stata una connessione costante fino ad ora si è sempre verificato che, quando A viene a contatto con B, allora B si mette in moto. Queste tre osservazioni, accreditate dall’esperienza, non sono tuttavia sufficienti a giustificare l’azione causale di A su B. Anche in presenza dei fenomeni della contiguità  spaziale e della successione temporale non è contradditorio asserire che il movimento B non è causato da A: esso potrebbe essere privo di causa: ecco allora che Hume nega il principio per cui ogni cosa dovrebbe avere una causa, principio che poteva annoverare tra i suoi difensori Thomas Hobbes. Oppure il movimento di B potrebbe essere prodotto da un’ altra causa a noi sconosciuta, in modo tale che la contiguità  tra le due palle o la successione dei loro movimenti siano casualmente concomitanti con la vera causa a noi sconosciuta dello spostamento di B. Di conseguenza anche il fatto che finora la connessione tra A e B si è verificata sempre e alle stesse condizioni potrebbe essere casuale, e non ci dà  alcuna garanzia che la relazione rimanga la stessa anche in futuro, cioò che esprima una connessione necessaria. Infatti non vi è nulla nella palla A che possa di per sò spiegare il movimento della palla B. Una persona che avesse soltanto esperienza di A senza aver mai visto B non potrebbe mai derivare da A la conoscenza di B, come avverrebbe se la connessione tra A e B fosse necessaria. Ma allora su che cosa si basa la nostra affermazione dell’ esistenza di un nesso causale tra A e B? La risposta di Hume è: semplicemente sull’ abitudine. Noi siamo abituati a prendere atto, sulla base dell’ esperienza, che all’ urto di A contro B segue il movimento di B, e quindi ci attendiamo che anche in futuro ciò continui ad avvenire nello stesso modo. In altre parole, l’abitudine ad osservare una certa connessione tra i fenomeni sta alla base di ogni nostra inferenza causale, dal momento che essa è congiunta al presupposto dell’ uniformità  del corso della natura. Noi siamo convinti che la natura obbedisca a leggi costanti, identiche per il passato, il presente e il futuro. Sulla base di questo presupposto riteniamo che il sole, che siamo abituati a vedere nascere ogni giorno, sorgerà  anche domani sebbene non vi sia nessuna connessione causale che determini necessariamente l’alba di domani, in modo tale da rendere contradditoria l’affermazione che il sole non sorgerà  più. Hume fa anche notare che, quando scorgo la palla A che viene a contatto con la palla B, non mi limito a prevedere il movimento di B, ma credo che B si muoverà . L’ abitudine ad associare tra loro due fenomeni genera la credenza nella realtà  della connessione. La credenza non quindi alcun fondamento in un’ argomentazione razionale, bensì è piuttosto espressione di un istinto connaturato all’ uomo. Il pensatore Hutcheson, da cui Hume risulta particolarmente influenzato, aveva esposto il carattere istintivo delle valutazioni morali: ora Hume estende la rivalutazione dell’ istintività  dalla sfera etica a quella gnoseologica. Ma questo, se implica una distinzione tra le conoscenze fondate su una credenza ( cioò relative a ” materie di fatto ” ) e quelle derivate dall’ uso astratto della ragione ( le verità  matematiche ), non comporta tuttavia una rigida contrapposizione tra istinto e ragione. Infatti pure la ragione è un istinto, dal momento che la tendenza dell’ uomo a sottoporre tutto a critica e a verifica, tendenza nella quale sta l’attività  razionale, è essa stessa manifestazione istintivo radicato nella natura umana.

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