Paragonati alla barocca magnificenza, i primi prodotti di arte orafa della Roma repubblicana appaiono assai modesti, rigidamente limitati dalle leggi suntuarie.
La legge più antica, quella delle XII tavole, fissava la quantità d’oro che si poteva seppellire col defunto.
Dagli etruschi i romani derivarono l’uso dell’anello digitale come segno di distinzione sociale e di ricchezza.
Pure etrusco era il medaglione circolare a borchia (bulla) portato come amuleto dai bambini fino alla maggiore età. Molte iscrizioni ci informano dell’esistenza a Roma di cesellatori d’oro e d’argento, di doratori, di battiloro, di fabbricanti di anelli, di commercianti di perle. Le oreficerie romane di età repubblicana continuano, impoverite, i tipi e il gusto di quelle tardo-ellenistiche, etrusche e magno-greche.
La predilezione per le superfici lisce o sferoidali, che già traspariva dagli orecchini a grappolo etruschi, caratterizza un nuovo tipo di braccialetto, formato da una doppia fila di semisfere auree, saldate a due a due. Allo stesso gusto si ispirano gli orecchini a “spicchio di sfera”, che si alternano a quelli con perle, isolate o a grappoli, conosciuti da passi degli autori latini col nome di crotalia, cioè crotali, per il tintinnio che facevano le perle quando si muoveva il viso, assimilabile al suono dell’omonimo strumento musicale a percussione o al movimento del corpo di un serpente, rivestito di scaglie dure. I centri dell’area campana sepolti dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. Pompei, Ercolano e Torre Annunziata, forniscono per il periodo compreso fra il I secolo a.C. e il I d.C. un quadro abbastanza articolato di questi e di altri tipi di gioielli in voga nella società romana, tanto più prezioso in quanto la documentazione di Roma stessa risulta largamente carente. I numerosi anelli dei centri vesuviani sono d’oro con castone massiccio, decorato da una piccola figura incisa, o più spesso con una pietra preziosa o una perla inserita al centro. Aumenta l’abitudine anche maschile di portare anelli digitali. Accanto all’anello a castone, di tradizione ellenistica, è presente anche quello serpentiforme, a più spirali, con la testa del serpente decorata da pietruzze colorate e le squame del corpo più o meno accuratamente incise. Si tratta di un gioiello che al pari delle armille serpentiformi dello stesso tipo per le braccia e le caviglie, risale pure a modelli ellenistici. Il centro primario di irradiazione è stato individuato in Alessandria d’Egitto, ove il serpente era legato al culto di Iside e di Serapide . Nel I secolo d. C. si manifesta nei centri vesuviani un vivo interesse per la policromia, dal momento che le collane alternano sempre più frequentemente i grani d’oro agli smeraldi, alle perle, alle acquemarine, agli zaffiri, ai topazi. E’ da notare che le pietre sono semplicemente legate ad un filo d’oro, e non incastonate come nelle oreficerie orientali ed ellenistiche. Le oreficerie romane dell’età imperiale, infatti, evidenziano la semplificazione delle forme e delle tecniche di tradizione alessandrina e la predilezione per l’oro massiccio e per le pietre dure e le perle; il vivace cromatismo supplisce spesso alle carenze inventive dell’artigiano.
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