I dati parlano chiaro: la stampa mondiale attraversa un momento di crisi che dura ormai da diversi anni, e che secondo alcuni analisti si presenta come irreversibile. Le statistiche riguardanti la vendita di periodici e ancor di più quotidiani sono in crollo vertiginoso e il numero di testate che negli ultimissimi anni sono state costrette a chiudere i battenti è notevole. Gli stessi studiosi del fenomeno, non trovano grosse difficoltà nell’identificare la causa di questo andamento negativo nello sviluppo e nella diffusione dell’informazione su internet, nelle sue molteplici e talvolta persino ambigue sfaccettature.
Oggi, infatti, sempre più persone utilizzano la rete per reperire le informazioni che ritengono necessarie al proprio fabbisogno di utente. I siti più visitati, ovviamente, sono quelli delle grandi testate cartacee (in Italia, i quotidiani Repubblica e Corriere della sera) i quali, dopo una prima fase durante la quale i contenuti del sito facevano riferimento a quelli delle edizioni cartacee, sono riusciti (con più o meno successo) a sviluppare delle redazioni, dei contenuti, delle notizie autonome rispetto al formato acquistabile in edicola. Non sempre, però, le informazioni che l’utente può reperire tramite internet sono affidabili, e questo costituisce probabilmente il problema, e il rischio maggiore di questa nuova tendenza informativa. A tutt’oggi, infatti, il grande vantaggio ma allo stesso tempo il punto debole di internet è l’essere un gigantesco calderone in cui a tutti è concessa la possibilità di dire la propria, attraverso strumenti come i blog (esplosi nei primi anni del Duemila) e oggi i social network, a cominciare dai celebri Facebook e Twitter. Il vantaggio, ovviamente, è la democraticità che questa possibilità offre, aprendo il mondo dell’informazione a praticamente l’intera popolazione mondiale, e dando a chiunque la possibilità di farsi ascoltare. C’è anche un lato oscuro della medaglia, però. L’utente che dà o fa informazione, infatti, non è un utente “referenziato”, e questo stesso elemento può costituire a sua volta un’arma a doppio taglio: l’utente di internet che “fa” informazione, infatti, sarà semplicemente un cittadino, e di conseguenza sarà con ogni probabilità meno vincolato a legami, condizionamenti, influenze, che troppo spesso rendono l’informazione meno autonoma di quanto non dovrebbe essere. Allo stesso tempo, però, nel momento in cui un lettore si trova davanti un’informazione messa “su piazza” da un creatore di notizie di cui non conosce la preparazione, le fonti, il metodo di reperimento dati, spesso persino il nome, ha davanti a se una scelta fondamentale: considerare, o meno, quell’informazione, o quella notizia come attendibile.
Il problema della “referenzialità” delle fonti, però, è un problema che sembra riguardare più chi prova ad analizzare questo fenomeno, che gli utenti stessi.
Il grande successo dei blog e dei social network, risiede innanzitutto nella possibilità che viene data al fruitore dell’informazione di trasformarsi in un ruolo propositivo nei confronti delle stesse, e questo porta alla nascita della figura cosiddetta del citizen journalist (in italiano il “giornalista partecipativo”). La stessa questione, però, riguardo il fatto se una notizia possa essere considerata attendibile o meno, non sembra preoccupare particolarmente chi usufruisce della rete, dal momento che ogni utente di internet, assume come riferimento, e va a procurarsi, nella stragrande maggioranza dei casi, notizie che gli propongono una visione del mondo “partigiana”, ovviamente quanto più vicina possibile sia a un’idea che egli stesso si è a suo tempo pre-costituito. Questo problema, in realtà, non riguarda solo il mondo di internet, dal momento che (facciamo un esempio prendendo il caso italiano) un lettore che acquista ogni giorno un quotidiano, acquisterà il Manifesto (storicamente di sinistra) o il Giornale (testata tendente politicamente a destra) a seconda delle proprie idee. Idee che, egli aspetta di essere confermate, più che confutate, dalla penna che scrive e che egli identifica come un riferimento attendibile. Su internet, però, questa tendenza viene accentuata all’inverosimile, anche a causa dell’estremizzazione delle posizioni da parte di chi scrive.
Il punto cruciale, però, è: come fare a controllare, e a mettere di fronte alle proprie responsabilità una quantità incredibile di utenti che allo stesso tempo diventano produttori di notizie? Il giornalismo partecipativo ha dato negli ultimi quindici anni almeno, un contributo incredibile al mondo dell’informazione (su tutti il caso eclatante i dei cittadini, non giornalisti di professione, che hanno filmato in tempo reale la caduta delle torri gemelle) ma anche messo su piazza, per dirne sempre una, una serie di finti scoop, di accuse infamanti, di affronti personali e non politici nei confronti di personaggi pubblici, spesso totalmente infondati, e che a quei personaggi sono costati non poco tanto dal punto di vista personale quanto, appunto, pubblico.
Il giornale cartaceo, nei prossimi anni, è un’istituzione destinata a sparire. La possibilità data agli utenti di informarsi comodamente da casa, attraverso un clic, recuperando soltanto le informazioni che preferiscono è un’occasione troppo ghiotta per non essere alla lunga sfruttata. I problemi che questo scenario porta con sé, però. sono almeno tanti quanti i vantaggi, e forse il più grosso, alla lunga, sarà non la scomparsa del prodotto cartaceo in sé, ma della figura del giornalista, che arriverà ad essere sempre più massicciamente sostituita da quella dell’opinionista, e ancor di più da quella dell’amatore. Un produttore di informazioni capace di cogliere (quando in buona fede) momenti, fatti, notizie importanti, grazie alla propria volontà e al desiderio di un’informazione libera. Allo stesso tempo, però, non inquadrabile in un meccanismo che (attraverso la necessità dell’attendibilità della fonte, e della “referenzialità” del giornalista e del giornale stesso) fino ad oggi ha salvaguardato l’esistenza di una figura (il giornalista) e delle sue necessarie (data l’importanza del campo, forse indispensabili) qualità professionali.
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