Nelle sue Vite dei filosofi (II, 47), Diogene Laerzio fornisce un prezioso elenco dei più rappresentativi discepoli di Socrate e tra essi indica, accanto a Platone, Senofonte â che in realtà , pur eccellente come generale, non aveva certo la stoffa del filosofo -, Antistene, Eschine, Fedone ed Euclide di Megera. A parte Senofonte ed Eschine (omonimo del più celebre oratore avversario di Demostene), che per noi ò poco più che un nome, tutti gli altri fondarono delle scuole filosofiche, ritenendosi ciascuno lâautentico depositario del verbo socratico, nonchè il suo legittimo prosecutore: lâunitaria immagine di Socrate viene così a frantumarsi enigmaticamente in una variegata molteplicità di icone tra loro poco conciliabili e, spesso, in aperto contrasto (ò questo il caso, ad esempio, del rigido moralismo cinico e dellâ edonismo cirenaico), che ci restituiscono tante figure di Socrate tutte diverse lâuna dalle altre. Così Antistene pose le basi del Cinismo, Euclide dette il via alla scuola megarica e Aristippo di Cirene â anchâegli fortemente influenzato dal socratismo â fondò la scuola cirenaica. Ciascuno di questi autori (benchè di essi non siano sopravvissute opere ma solo scarsi frammenti) fu sì capostipite di una “scuola”, ma dobbiamo comunque tenere presente che si tratta in realtà â più che di scuole in senso istituzionale, con insegnamento regolare e vita in comune â di indirizzi di pensiero a cui ispirarsi. Euclide di Megera â operante nella sua città natale nel IV secolo a.C. â sviluppa soprattutto la tematica dellâunità della virtù, tematica da cui egli trae la conseguenza che il bene ò uno, benchè esso venga chiamato con una miriade di nomi (saggezza, intelligenza, dio, ecc). Si ò spesso discusso â specialmente tra gli interpreti moderni â se lâunicità del bene sia da Euclide mutuata dal socratismo o, piuttosto, da quellâeleatismo (nella sua forma schiettamente parmenidea) che egli aveva certamente frequentato. Si tratta però di una domanda mal formulata: ò infatti negabile che le due componenti â socratismo ed eleatismo â siano compresenti nel pensiero euclideo, senza elidersi vicendevolmente, ma anzi trovando sostegno reciproco. Euclide prestò particolare attenzione alle tecniche dellâargomentazione e della discussione delle tesi altrui, sulle quali si incentrava il metodo di cui si avvaleva Socrate stesso. Seguendo le sue orme, lâallievo Eubulide di Mileto mise in chiaro una congerie di difficoltà e fallacie che il linguaggio può generare: si tratta dei celebri paradossi del “mentitore” (se mento e dico che mento, mento o dico la verità ?) e del “sorite” o del “mucchio” (un chicco di grano non forma un mucchio, così neppure due chicchi e neppure tre, e così via: quando si può allora dire che si ha un mucchio?). Eâ soprattutto muovendo dal pensiero â testè sinteticamente esposto – di Eubulide che possiamo percepire la propensione dei Megarici per le sottigliezze sofistiche, cosa che meritò loro il poco lusinghiero nome di “eristici” e di “dialettici” (qui naturalmente preso in unâaccezione negativa). Sappiamo che Euclide di Megera, alla morte del maestro, accolse presso di sè i discepoli di Socrate, fuoriusciti da Atene per timore di rappresaglie, e che fu molto sensibile anche all’atteggiamento parmenideo. Il bene, infatti, secondo Euclide, ò uno, anche se acquista vari nomi: ogni discorso, quindi, che non faccia riferimento a quest’unico essere ò un discorso vuoto, che si sforza invano di definire ciò che non ò: “Euclide diceva che uno ò il bene, chiamato con molti nomi: a volte saggezza, a volte dio, altre volte intelletto e in altri modi ancora. Egli eliminava ciò che ò opposto al bene, dicendo che ò non essere. Criticava le dimostrazioni attaccandone non le premesse, ma la conclusione. Rifiutava anche il procedimento comparativo, dicendo che esso si avvale di simili o di dissimili; se si tratta di simili, ò meglio guardare le cose stesse, che quelle cui sono simili; se si tratta di dissimili, I’accostamento ò superfluo”. (Diogene Laerzio II, 106) La filosofia di Euclide, come quella di Antistene, pose lâaccento sulla confutazione e sulla dialettica socratica, ma ponendo come sfondo il problema dellâunità dellâessere parmenideo. Se lâessere ò unico, anche la virtù ò tale e coincide con il bene. Quindi se essere = bene = virtù, allora divenire, nascere e perire sono contraddittori e quindi impossibili. Per Euclide ò dunque un errore considerare le cose come separate, come invece avviene nel linguaggio, che perciò non può che essere solo una convenzione umana, giacchè in natura le cose sono enti e quindi uniche. Risulta perciò impossibile sia pensare che discorrere perchè ogni discorso può essere ridotto allâassurdo poichè le parole sono contraddittorie rispetto al principio di unità dellâessere. Da questa concezione nasceranno poi i sofismi e i paradossi che caratterizzeranno la critica alla comunicazione. Il grande rigore logico delle dimostrazioni, ma anche la capacità di avvalersi dei trucchi propri del linguaggio e dei giochi di parole, furono una delle caratteristiche salienti della scuola megarica. Come già accennato, Eubulide, sempre nel IV secolo a.C., fu famoso in tutta l’antichità per i suoi “argomenti dialettici”, nei quali faceva grande uso di questo tipo di tecnica confutatoria. Eccone alcuni esempi “Se tu dici di mentire e dici che questo ò vero, menti o dici il vero?” (Cicerone, Academica priora, II, 20) “Conosci l’uomo che si avvicina ed ò incappucciato? No. Se gli togliamo il cappuccio, lo riconosci? Si. Dunque conosci e non conosci la stessa persona”. (Alessandro di Afrodisia, Commento agli Elenchi sofistici, 62) “Suppongo che tu affermi o neghi di avere o non avere tutto ciò che non hai perduto; qualunque cosa si risponda, ò una rovina. Infatti, se si nega di avere ciò che non si ò perso, si conclude che non si hanno gli occhi, che non si sono persi; se, invece, si risponde di avere ciò che non si ò perso, si conclude che si hanno le corna, che non si sono perse”. (Aulo Gellio, Notti attiche, XVI, 2) Ma la dialettica megarica non si esercitava soltanto in questi virtuosismi linguistici e in questi ragionamenti capziosi; essa svolse anche un’accesa polemica contro le dottrine trionfanti di Platone e di Aristotele, e specialmente contro i loro presupposti che il linguaggio fosse sempre in grado di tradurre in enunciati scientifici la realtà . In questa direzione acquista importanza la polemica megarica contro il concetto di possibilità : “Ci sono alcuni i quali, come i Megarici, dicono che solo quando una cosa ò in atto può essere, mentre quando non ò in atto non può neppure essere. Per esempio, chi non sta costruendo non può costruire, ma ò un costruttore solo quando sta costruendo”. (Aristotele, Metafisica 1046 b 29) L’argomento contro il concetto di possibilità fu particolarmente sviluppato da Diodoro Crono, un allievo di Eubulide, morto intorno al 307 a.C., che riprese e sviluppò gli antichi paradossi zenoniani contro il movimento. Di Diodoro ò anche noto un altro celebre argomento, il “dominatore”, di cui non ò pervenuta la formulazione originaria: il nucleo di esso ò che si può dire possibile solamente ciò che ò o sarà . La conseguenza sembra essere che soltanto ciò che avviene necessariamente si può anche dire possibile. Socratismo ed eleatismo si fondevano dunque in funzione essenzialmente antiplatonica ed antiaristotelica. Contro la teoria del giudizio di Aristotele, e in particolare contro la possibilità di predicare un termine qualsiasi di un altro, si muoveva anche Stilpone di Megara, un altro allievo di Eubulide: “Se predichiamo il correre di un cavallo, egli dice che il predicato non ò identico al soggetto di cui si predica; l’essere del cavallo differisce infatti dall’essere del correre, perchè se siamo richiesti della definizione dell’uno e dell’altro, non diamo la stessa risposta. Cosà anche la definizione dell’essenza necessaria di un uomo ò diversa da quella di buono. D’onde deriva che sbagliano quelli che predicano i due termini uno dell’altro; se sono identici infatti il buono e l’essere uomo, il correre e l’essere cavallo, come potremo predicare il buono anche del cibo e della medicina e il correre del leone e del cane? Ma se sono diversi non ò corretto dire che l’uomo ò buono e il cavallo corre”. (Plutarco, Contro Colote, 23, 1120a) Stilpone fu famosissimo al suo tempo e accolse alla sua scuola anche allievi di altri filosofi: tra i suoi discepoli vi fu anche Zenone di Cizio, il fondatore dello stoicismo. Fatto sta che, nel campo etico, le teorie dei Megarici proclamanti l’apatia (apaqia), cioò la vittoria e il dominio sulle passioni e sul dolore, si confondevano sempre di più con quelle dei Cinici, ed entrambe saranno ben presto assorbite dallo stoicismo. Minore importanza (forse anche perchè non ne sappiamo quasi nulla) ebbe la scuola di Fedone di Elide (un altro scolaro di Socrate), trasportata poi ad Eretria dal suo discepolo Menedemo.
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