Analisi dei personaggi de I Promessi Sposi

I personaggi de I Promessi Sposi

Approfondimento sul sistema dei personaggi, sui ruoli e sul rapporto che intercorre fra essi nel corso del romanzo.

Iniziamo la nostra analisi da una panoramica generale sul sistema dei personaggi dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

La prima considerazione da fare è che i rapporti fra questi si uniformano a quello che è lo schema consolidato nel romanzo storico e nel romanzo d’avventura: accanto all’eroe (Renzo) compare l’antagonista (don Rodrigo) e l’oggetto del desiderio (Lucia) che li contrappone. Ecco, poi, una folta schiera di sostenitori, dell’una o dell’altra parte, i “buoni” e i “cattivi”.
Tuttavia, il discorso si complica perché la notevole capacità di penetrazione psicologica del Manzoni impedisce ai personaggi di assumere connotazioni nette, definite, unilaterali: nessuno (salvo, forse, don Rodrigo e il suo luogotenente, il bravo Griso) è “completamente cattivo”, mentre nemmeno un sant’uomo come il cardinal Federigo risulta perfetto: anche lui, infatti, ha qualche difettuccio e commette errori. Così troviamo dei “cattivi” che si trasformano, come l’Innominato che assume, agli occhi della popolazione, l’aspetto d’un santo energico, grande nel bene come lo è stato nel male. Analogamente la condotta di eroi positivi come Renzo non va immune da errori e da ambiguità (si ubriaca, parla a vanvera), mentre nel passato di un campione della carità e del perdono come padre Cristoforo campeggia… un omicidio.

Inoltre non è semplice stabilire “da che parte stanno” alcuni aiutanti, perché la loro personalità evolve nel corso della storia. Tornando all’Innominato, notiamo che inizialmente è aiutante di don Rodrigo (rapisce Lucia per lui!), ma poi, ravvedutosi, non vede l’ora di liberare la ragazza!

E la monaca di Monza? Comincia schierandosi a difesa della sicurezza di Lucia e poi, per cause di forza maggiore, si fa complice del suo rapimento!
Quanto a don Abbondio, nonostante i suoi sforzi di essere neutrale, di fatto sostiene gli squallidi propositi di don Rodrigo.

SISTEMA DEI PERSONAGGI DEI PROMESSI SPOSI: SCHEMA E PRIMA ANALISI

Ecco uno schema riassuntivo:

  • Eroe: Renzo
  • Aiutanti dell’Eroe: Padre Cristoforo, Agnese, Perpetua, Bortolo, don Ferrante, donna Prassede, il sarto e sua moglie, Federigo Borromeo, l’innominato, ecc.
  • Antagonista: don Rodrigo
  • Aiutanti dell’Antagonista: Griso, conte Attilio, Nibbio, i bravi, l’innominato, conte zio, monaca di Monza, ecc.

Potremmo comunque raggruppare i personaggi secondo lo schema vittima-oppressore, anche questo molto usato nel romanzo del Settecento e dell’Ottocento: le azioni sono collegate secondo la logica che regge tutto l’intreccio dei Promessi Sposi: Renzo e Lucia sono le vittime, mentre Don Rodrigo l’oppressore. I suoi “alleati” (innominato, cugino Attilio, conte zio) con i bravi e tutti i “parassiti” (Azzecca-garbugli, podestà di Lecco) che siedono alla sua tavola, sono gli aiutanti dell’oppressore. Invece figure come padre Cristoforo, il cardinal Borromeo, Agnese e persino l’energica Perpetua, governante di don Abbondio, o gli amici al paese, come Tonio e il fratello “tocco” Gervaso, possono annoverarsi fra gli aiutanti delle vittime.

Renzo e Lucia, infine, hanno anche dalla loro alcuni personaggi che li ospitano, danno protezione, lavoro, sicurezza, come il cugino Bortolo che abita a Bergamo e la coppia di nobili milanesi (don Ferrante e donna Prassede, anche se molto a modo loro) che accoglie Lucia dopo la sua liberazione.
Possiamo visualizzare quanto si è detto in questo schema:

  • Vittime: Renzo, Lucia
  • Aiutanti delle vittime: Padre Cristoforo, Tonio e Gervaso, Cardinal Borromeo, Agnese
  • Ospiti delle vittime: Bortolo, Don Ferrante, Donna Prassede
  • Aiutanti dell’oppressore: Griso, Don Abbondio, Nibbio, Monaca di Monza

PERSONAGGI PRINCIPALI PROMESSI SPOSI: UN’ULTERIORE ANALISI

I personaggi, poi, possono essere ulteriormente suddivisi in due categorie: statici e dinamici, da intendere non solo nel senso che nel corso della storia non mutano e restano fedeli a se stessi nel corso del tempo, ma anche della staticità o dinamicità rispetto allo spazio, se cioè restano fermi in un determinato luogo o sono portati dalle vicende a decidere autonomamente di spostarsi (in questo senso Lucia è statica perché “viene spostata” contro la sua volontà e diviene dinamica solo alla fine quando decide insieme al marito di abbandonare il paesello per andare a Bergamo, ma anche qui con una buona dose di staticità, perché in fondo segue il marito).

Sono personaggi statici‚ (o piatti) quelli che non modificano la propria personalità nel corso della narrazione, come don Abbondio, definito “eroe della paura” e considerato da Luigi Pirandello veramente “umoristico”. Egli, infatti, proprio perché si comporta in una maniera diversa da come si dovrebbe comportare un normale parroco, non solamente diverte il lettore, che sorride alle sue eccessive paure, alla sua pavidità di coniglio, al suo egocentrismo, alle sue ansie per la propria tranquillità, alle meschinità messe in atto per non compiere scomodi doveri, ma anche riflette sulle proprie piccinerie: in fondo don Abbondio è il personaggio nel quale meglio si riflettono i difetti degli uomini e, soprattutto, le paure e gli egoismi dei mediocri.

Lucia è un altro personaggio che rimane fedele a se stessa. Il Manzoni ne fa, riguardo a talune vicende, una specie di strumento della Provvidenza Divina. La sua presenza al castello dell’innominato, alcune parole che dice impulsivamente, circa il perdono di Dio, che viene concesso anche solo per un’opera di misericordia, hanno un effetto dirompente sul truce signore, in crisi di identità e, ancora inconsciamente, desideroso di mutar vita, stanco di commettere violenze contro innocenti. Lucia, con la sua umiltà, sembra veicolo della luce della Grazia Divina, ma non tutti i personaggi sanno accoglierla. Anche la monaca di Monza, infatti, si affeziona alla ragazza e si consola al pensiero di poterle fare del bene, lei che conduce, benché religiosa, un’esistenza colpevole. Tuttavia non ha il coraggio di andare fino in fondo nel suo sforzo di rinnovamento e, a differenza dell’innominato, non riesce a far tesoro del buon influsso che emana la presenza della fanciulla.
Anche don Rodrigo è un personaggio statico: lo troviamo sempre nel suo palazzotto, dal quale dirige le operazioni per far capitolare Lucia; a un certo punto, vista la sua impotenza, è costretto a spostarsi nel castellaccio dell’innominato per chiedere aiuto, e alla fine viene letteralmente trascinato al lazzaretto, dove finisce la sua miserabile esistenza: in questo senso lo possiamo definire come il simbolo dell’eterna staticità del male nella sua essenza.

Ai personaggi statici (o piatti), si contrappongono i personaggi a tutto tondo‚ o dinamici, ossia quelli che si evolvono e cambiano nel corso della narrazione, come l’innominato oppure Renzo. Il dinamismo di Renzo non riguarda soltanto la sua trasformazione da giovane ingenuo in accorto imprenditore, attraverso le numerose peripezie a Milano, durante i tumulti e poi all’epoca della peste. Renzo è dinamico anche perché le circostanze lo portano a percorrere, a piedi, chilometri e chilometri. Attraverso la sua persona, l’azione narrativa stessa acquista dinamismo e si sposta da un luogo all’altro del Milanese: è legittimo definire una vera Odissea, quella del giovane che, convinto di lasciare il paesino per trovare ospitalità a Milano per qualche tempo, si trova al centro di fatti più grandi di lui. Inseguito dagli sbirri, che lo credono una spia responsabile dei tumulti, fugge in direzione di Bergamo. Non è un percorso facile, il suo! Ricercato dalla polizia, deve “dribblare” astutamente la curiosità di osti e avventori nelle taverne dove si ferma a riposare, deve trovare un riparo per la notte e guadare l’Adda.

Poi, quando l’anno successivo torna al paese in cerca di Lucia, viene a sapere che si trova a Milano, ospite di una nobile famiglia. Eccolo ancora nel capoluogo lombardo, scambiato prima per un untore e poi per un monatto, e in questa veste raggiunge Lucia che è ricoverata al lazzaretto: anche in questo luogo di dolore non mancano avventure. Ritrovata la fidanzata, comincia un andirivieni tra il paese, Bergamo (dove torna per allestire la casa) e Pasturo, dove Agnese si è rifugiata per evitare il contagio. Quanto camminare! Ma non è soltanto un espediente per dare movimento all’azione. I viaggi di Renzo hanno un significato più profondo, perché questo personaggio è davvero una guida‚ per il lettore. In sua compagnia subisce l’ingiustizia di don Rodrigo e del dottor Azzecca-garbugli, si cala nei tumulti di Milano e vi partecipa come testimone oculare, con lui si commuove e inorridisce di fronte alla condizione degli appestati, e gioisce della forza della pioggia purificatrice, come se vivesse in prima persona gli avvenimenti, osservando i fatti attraverso gli occhi del giovane.

Lo notiamo da molte osservazioni di Renzo: “Spiccava tra questi, ed era lui stesso uno spettacolo, un vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica […] agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di voler attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse” (cap. XIII).

La rappresentazione non è soltanto viva e interessante, ma trasmette anche l’indignazione del giovane, che emerge dal giudizio contenuto nelle espressioni “mal vissuto” e “compiacenza diabolica”. Inoltre la commozione del giovane, di fronte alle sofferenze dei malati, contagia il lettore e gli fornisce le coordinate per “muoversi” anch’egli, in quella tragedia, con un preciso stato d’animo.

RIASSUNTO DEI PROMESSI SPOSI: FOCUS E ANALISI SUI PERSONAGGI

Un’ultima osservazione, per completare la nostra analisi, circa i personaggi storici de I Promessi Sposi. Sono figure fortemente suggestive: l’Innominato è modulato sull’immagine di Bernardino Visconti, feudatario di Ghiara d’Adda, di cui parlano le cronache milanesi del Seicento. Si sa che, per merito di Federigo Borromeo, cambiò vita e, dopo aver congedato i suoi bravi, visse onestamente gli ultimi anni della sua esistenza. La monaca di Monza era Marianna De Leyva, figlia di don Martino, costretta alla monacazione con il nome di suor Virginia. Anch’ella si pentì, come narrano gli storici e, dopo aver subito un processo a causa delle sue malefatte (tresche amorose e un omicidio), venne murata viva e morì in odore di santità. Questi due personaggi sono “rivisitati” liricamente dal Manzoni.

Ciò che di loro tramandano le cronache viene illuminato poeticamente e viene messo in luce quanto la storia non può dire: le segrete speranze, i timori, le pressioni psicologiche, il disagio esistenziale, il bisogno di amore, di bontà, di chiarezza nella vita, di dialogo aperto con i propri simili, lo sforzo di non lasciarsi sopraffare dalla prepotenza altrui. Anche il gran cancelliere Antonio Ferrer, protagonista di una delle più vivaci sequenze durante i tumulti di Milano, viene presentato con le sue caratteristiche storiche ma anche nelle sue connotazioni psicologiche. Operando con la fantasia l’autore immagina il suo atteggiamento umile e cortese di fronte alla folla in rivolta e gli pone in bocca frasi in due lingue: in spagnolo dice ciò che pensa veramente, in italiano pronuncia frasi di circostanza per ammansire i Milanesi inferociti: “è vero, è un birbante, uno scellerato” dice alla gente, ma subito, chinato sul vicario di provvisione che sta portando in salvo, mormora in spagnolo: “Perdone, usted” (cap. XIII).

Le cronache non riportano questo particolare che colora di tinte fortemente ironiche tutta la vicenda: l’autore ha fatto appello alla sua immaginazione, a quella che chiama invenzione e che serve a compenetrare il vero storico per dare ai personaggi l’umanità che non rimane impressa nelle pagine delle fonti. Il critico ottocentesco Francesco De Sanctis (1817-1883), in particolare nel saggio I Promessi Sposi, pubblicato nel 1873, ha notato un particolare curioso: il protagonista del romanzo è tutto il secolo, il Seicento‚ illustrato nel suo carattere di epoca piena di contraddizione, dove i nobili ostentano sfarzo, ma anche sudiciume, dove i sentimenti più umani e profondi cedono all’orgoglio, dove possono avvenire le più incredibili prevaricazioni, nonostante le leggi parlino chiaro, dove un giovane onesto che vuole difendere un suo diritto, viene cacciato dall’avvocato abituato a difendere soltanto malfattori (questo accade a Renzo in visita all’avvocato Azzecca-garbugli nel capitolo III). Il Seicento viene “illustrato” attraverso alcune descrizioni che hanno il fascino delle stampe d’epoca. Manzoni è maestro nel ritrarre gli usi dei nobili, riuniti per assistere a una cerimonia e intanto sfoggiare i loro abiti sontuosi, le scene di duello per le strade, i banchetti e le conversazioni, i discorsi dove non si dice ma si sottintende un accordo che, per allusioni, viene siglato (lo puoi notare nel capitolo XVIII, dove si narra l’incontro fra il conte zio e il padre provinciale).

La riflessione sul Seicento, però, non è solamente dettata dall’interesse di Manzoni per la storia. Manzoni vuole aiutare i suoi contemporanei a prendere coscienza degli squilibri politico-sociali, delle gigantesche ingiustizie e dell’inefficienza burocratico-amministrativa che ha frenato in passato, ma frena anche al presente, il processo di crescita economica della Lombardia insieme all’unificazione nazionale degli stati italiani. È un invito agli intellettuali del primo Ottocento a riflettere sulla necessità di un ricambio di classe al potere: la borghesia sembra la più idonea a superare la crisi, a promuovere una nuova realtà, nella quale i diritti civili siano rispettati e le energie popolari possano proficuamente esplicarsi, senza soprusi, violenze, privilegi mortificanti, intrallazzi.

PROMESSI SPOSI: IL RIASSUNTO E ALTRE RISORSE

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