I personaggi storici (realmente esistiti) de I Promessi Sposi

I personaggi storici de I Promessi Sposi

I Promessi Sposi costituiscono il primo romanzo moderno della letteratura italiana. Fu scritto da Alessandro Manzoni, autore originale, appartenente all’aristocrazia milanese, che approfittò della propria agiata condizione sociale, per dedicarsi interamente alla professione intellettuale. Potremmo definire meglio i Promessi Sposi come un romanzo storico: è storico lo sfondo in cui l’azione si svolge e storici sono gli avvenimenti descritti, come per esempio la carestia e la peste. Anche alcuni personaggi de i promessi Sposi hanno una consistenza storica: Padre Cristoforo, l’Innominato, la Monaca di Monza sono tutti personaggi reali, ovvero realmente esistiti.

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TEMA SVOLTO SUI PERSONAGGI STORICI REALMENTE ESISTITI DEI PROMESSI SPOSI

Le parti più efficaci del romanzo sono certamente quelle relative ad un’ampia e accurata analisi dei personaggi. L’introduzione di tali protagonisti nell’opera è stata voluta per dare maggior enfasi alla vicenda. Il lettore è pertanto coinvolto in questa storia ed è portato a schierarsi dalla parte di determinate figure. Significativa è la caratterizzazione psicologica del cardinale Borromeo: egli assume un ruolo importante nella situazione creatasi e direi decisiva, per la conversione dell’Innominato e il pentimento di don Abbondio. Il primo è descritto come un uomo alto, che abita in un oscuro castello posto su un’altura; il momento di maggior tensione nella sua vita è il rapimento di Lucia. In questo periodo attraversa una profonda crisi; uomo avvezzo ai delitti, inizierà a farsi varie domande su quel che potrebbe essere il suo destino, se non fosse presente il crimine. Durante l’incontro con la ragazza, le parole sulla misericordia che le dice rimangono impresse nella sua mente.

Egli trascorre la notte nel tormento, è angosciato dal male fatto, dall’idea del suicidio, e vive la paura di un possibile confronto con Dio. La mattina seguente, poi, a conoscenza dell’arrivo del cardinale Borromeo al paese, decide di incontrarlo presso la canonica. Avviene così il momento più memorabile, per la tensione e la paura, della vicenda, che vede la conversione dell’Innominato. Da quest’incontro si possono riscontrare le analogie di temperamento dei due protagonisti, che si distinguono per la diversa scelta di vita. Le due figure sono descritte  dall’autore in modo approfondito e sono ricche di dettagli. Da un lato emerge la vergogna, ma anche la speranza manifestata dell’Innominato, dall’altro, la comprensione da parte del cardinale dello sconvolgimento che affligge l’anima dell’appaltatore di delitti. Borromeo, uomo di dottrina, dell’animo modesto e frugale, influenza il suo ospite con il linguaggio della carità; una vita onesta facendogli sentire che non solo Dio esiste, ma è perfino il protagonista della sua coscienza, che lo agita e lo tormenta. In riferimento a quanto detto, è importante ricordare la visione di Manzoni della società. Questa è regolata dalla Divina Provvidenza, precisamente quella volontà divina grazie alla quale ogni cosa è retta da un giusto ordinamento.

L’Innominato era, in passato, una figura che si distingueva nel male, al di sopra della massa dei signorotti e dei nobili del suo tempo, emergendo dalla media; diviene ora un benefattore che opera in aiuto dei bisognosi. Egli resta grato a Lucia e le invia in dono, denaro e oggetti per il corredo di nozze. Il cardinale Federigo Borromeo, anche lui realmente esistito, nato nel 1564 da una delle più note e benestanti famiglie milanesi, aveva spontaneamente avvertito l’amore per i principi della religione cristiana. Educato in collegio, fondato dal cugino, condusse un’esistenza molto semplice. Fondatore della Biblioteca Ambrosiana, nel 1595 fu nominato vescovo a Milano, e utilizzò le proprie rendite per agevolare la vita dei bisognosi. Questo personaggio, che più colpisce durante la lettura del romanzo. La bontà e la volontà d’animo, con cui egli agisce per risanare le situazioni più drammatiche, ne fanno un eroe dell’amore. È straordinaria la sua capacità di perdonare nel bene le persone, indirizzandole verso una meta onesta e sicura.

Il suo contrasto con la figura di don Abbondio è evidente, tanto che sono posti in un confronto diretto, in più occasioni. Quest’ultimo assume un ruolo di ribelle verso l’andamento della storia, usa il sarcasmo con cui mette in dubbio la conversione dell’Innominato. È il parroco che dovrebbe unire in matrimonio Renzo e Lucia, ma spaventato dalle minacce di don Rodrigo, si sottrae al suo dovere. La sua anima è predominata dalla paura ossessiva: non si preoccupa solo di quanto realmente lo minaccia, ma anche di quanto lo potrà minacciare. La sua mente è predisposta a percepire motivi di preoccupazioni. Con l’arrivo del cardinale al paese, timoroso che possa indagare sulla sua posizione, si rifugia in chiesa. Crede che niente più possa accadere, ma si sbaglia; Federigo difatti coglie occasione di incontrarlo, per avere maggiori chiarimenti sulla sorte di Renzo e Lucia. Durante l’incontro si può percepire facilmente la diversità caratteriale che distingue le due figure. La staticità del curato si oppone all’accesso temporaneo dell’arcivescovo, che tenta in vari modi di fargli capire che alla paura, avrebbe dovuto anteporre la carità verso i fedeli.

La visione della vita da parte del cardinale, basata sul rispetto e amore reciproco, non può trovare posto nell’animo, piuttosto chiuso, di don Abbondio. Si deve ricordare inoltre la presenza di una analogia apparente nel sacerdozio che lega i due protagonisti. Come sappiamo, entrambi sono devoti alla religione e credono fermamente nei suoi principi. Un aspetto che li pone in antitesi è rappresentato dal mancato adempimento ai doveri sacerdotali, per volontà di don Abbondio a negare il matrimonio alla giovane coppia.

 

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