I PROMESSI SPOSI DI ALESSANDRO MANZONI: GERTRUDE, LA MONACA DI MONZA. Il Capitolo 10 dei Promessi Sposi propone il dramma della monacazione forzata imposta a Gertrude, uno dei personaggi dei Promessi Sposi più articolato e interessante. Attraverso la rilettura del testo manzoniano è utile seguire l’evoluzione della psicologia del personaggio. Apparirà chiaro come l’identità femminile di Gertrude progressivamente si sfaldi, dopo l’inutile lotta ingaggiata per dar legittimità ai suoi bisogni di giovane adolescente.
PROMESSI SPOSI, CAPITOLO X: LA STORIA DI GERTRUDE. Ecco i passi più interessanti per comprendere meglio la complessità del personaggio di Gertrude.
Gertrude è costretta dalla volontà del padre a scegliere la monacazione
(1) Vi son de’ momenti in cui l’animo, particolarmente de’ giovani, è disposto in maniera che ogni poco d’istanza basta a ottenerne ogni cosa che abbia un’apparenza di bene e di sacrifizio: come un fiore appena sbocciato, s’abbandona mollemente sul suo fragile stelo, pronto a concedere le sue fragranze alla prim’aria che gli aliti punto d’intorno. Questi momenti, che si dovrebbero dagli altri ammirare con timido rispetto, son quelli appunto che l’astuzia interessata spia attentamente, e coglie di volo, per legare una volontà che non si guarda. Al legger quella lettera, il principe *** vide subito lo spiraglio aperto alle sue antiche e costanti mire. Mandò a dire a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose a batter il ferro, mentre era caldo. Gertrude comparve, e, senza alzar gli occhi in viso al padre, gli si buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe appena fiato di dire: – perdono! Egli le fece cenno che s’alzasse; ma, con una voce poco atta a rincorare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo né chiederlo; ch’era cosa troppo agevole e troppo naturale a chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione; che in somma bisognava meritarlo. Gertrude domandò, sommessamente e tremando, che cosa dovesse fare. Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sull’animo della poveretta, come lo scorrere d’una mano ruvida sur una ferita. Continuò dicendo che, quand’anche… caso mai… che avesse avuto prima qualche intenzione di collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un ostacolo insuperabile; giacché a un cavalier d’onore, com’era lui, non sarebbe mai bastato l’animo di regalare a un galantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di sé. La misera ascoltatrice era annichilata: allora il principe, raddolcendo a grado a grado la voce e le parole, proseguì dicendo che però a ogni fallo c’era rimedio e misericordia; che il suo era di quelli per i quali il rimedio è più chiaramente indicato: ch’essa doveva vedere, in questo tristo accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo piena di pericoli per lei…
– Ah sì! – esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.
– Ah! lo capite anche voi, – riprese incontanente il principe. – Ebbene, non si parli più del passato: tutto è cancellato. Avete preso il solo partito onorevole, conveniente, che vi rimanesse; ma perché l’avete preso di buona voglia, e con buona maniera, tocca a me a farvelo riuscir gradito in tutto e per tutto: tocca a me a farne tornare tutto il vantaggio e tutto il merito sopra di voi. Ne prendo io la cura -. Così dicendo, scosse un campanello che stava sul tavolino, e al servitore che entrò, disse: – la principessa e il principino subito -. E seguitò poi con Gertrude: – voglio metterli subito a parte della mia consolazione; voglio che tutti comincin subito a trattarvi come si conviene. Avete sperimentato in parte il padre severo; ma da qui innanzi proverete tutto il padre amoroso.
(2) A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita. Ora ripensava come mai quel sì che le era scappato, avesse potuto significar tanto, ora cercava se ci fosse maniera di riprenderlo, di ristringerne il senso ;ma la persuasione del principe pareva così intera, la sua gioia così gelosa, la benignità così condizionata, che Gertrude non osò proferire una parola che potesse turbarle menomamente. Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e vedendo lì Gertrude, la guardarono in viso, incerti e maravigliati. Ma il principe, con un contegno lieto e amorevole, che ne prescriveva loro un somigliante, – ecco, – disse, – la pecora smarrita: e sia questa l’ultima parola che richiami triste memorie. Ecco la consolazione della famiglia. Gertrude non ha più bisogno di consigli; ciò che noi desideravamo per suo bene, l’ha voluto lei spontaneamente. È risoluta, m’ha fatto intendere che è risoluta… – A questo passo, alzò essa verso il padre uno sguardo tra atterrito e supplichevole, come per chiedergli che sospendesse, ma egli proseguì francamente: – che è risoluta di prendere il velo.
– Brava! bene! – esclamarono, a una voce, la madre e il figlio, e l’uno dopo l’altra abbracciaron Gertrude; la quale ricevette queste accoglienze con lacrime, che furono interpretate per lacrime di consolazione. Allora il principe si diffuse a spiegar ciò che farebbe per render lieta e splendida la sorte della figlia. Parlò delle distinzioni di cui goderebbe nel monastero e nel paese; che, là sarebbe come una principessa, come la rappresentante della famiglia; che, appena l’età l’avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima dignità; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome. La principessa e il principino rinnovavano, ogni momento, le congratulazioni e gli applausi: Gertrude era come dominata da un sogno.
– Converrà poi fissare il giorno, per andare a Monza, a far la richiesta alla badessa, – disse il principe. – Come sarà contenta! Vi so dire che tutto il monastero saprà valutar l’onore che Gertrude gli fa. Anzi… perché non ci andiamo oggi? Gertrude prenderà volentieri un po’ d’aria.
– Andiamo pure, – disse la principessa.
– Vo a dar gli ordini, – disse il principino.
Le deboli incertezze prima della richiesta di entrare in Monastero
(3) Son qui…, – cominciò Gertrude; ma, al punto di proferir le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo destino, esitò un momento, e rimase con gli occhi fissi sulla folla che le stava davanti. Vide, in quel momento, una di quelle sue note compagne, che la guardava con un’aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che dicesse: ah! la c’è cascata la brava. Quella vista, risvegliando più vivi nell’animo suo tutti gli antichi sentimenti , le restituì anche un po’ di quel poco antico coraggio: e già stava cercando una risposta qualunque, diversa da quella che le era stata dettata; quando, alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi per esperimentar le sue forze, scorse su quella un’inquietudine così cupa, un’impazienza così minaccevole, che, risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì: – son qui a chiedere d’esser ammessa a vestir l’abito religioso, in questo monastero, dove sono stata allevata così amorevolmente -. La badessa rispose subito, che le dispiaceva molto, in una tale occasione, che le regole non le permettessero di dare immediatamente una risposta, la quale doveva venire dai voti comuni delle suore, e alla quale doveva precedere la licenza de’ superiori. Che però Gertrude, conoscendo i sentimenti che s’avevan per lei in quel luogo, poteva preveder con certezza qual sarebbe questa risposta; e che intanto nessuna regola proibiva alla badessa e alle suore di manifestare la consolazione che sentivano di quella richiesta.
(………..)
(4) Gertrude, nel tornare, non aveva troppa voglia di discorrere. Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della sua dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro sé stessa, faceva tristamente il conto dell’occasioni, che le rimanevano ancora di dir di no ; e prometteva debolmente e confusamente a sé stessa che, in questa, o in quella, o in quell’altra, sarebbe più destra e più forte. Con tutti questi pensieri, non le era però cessato affatto il terrore di quel cipiglio del padre; talché, quando, con un’occhiata datagli alla sfuggita, poté chiarirsi che sul volto di lui non c’era più alcun vestigio di collera, quando anzi vide che si mostrava soddisfattissimo di lei, le parve una bella cosa, e fu, per un istante, tutta contenta. Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desinare, poi alcune visite, poi la trottata, poi la conversazione, poi la cena. Sulla fine di questa, il principe mise in campo un altro affare, la scelta della madrina. Così si chiamava una dama, la quale, pregata da’ genitori, diventava custode e scorta della giovane monacanda, nel tempo tra la richiesta e l’entratura nel monastero; tempo che veniva speso in visitar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni, le ville, i santuari: tutte le cose in somma più notabili della città e de’ contorni; affinché le giovani, prima di proferire un voto irrevocabile, vedessero bene a cosa davano un calcio. – Bisognerà pensare a una madrina, – disse il principe: – perché domani verrà il vicario delle monache, per la formalità dell’esame, e subito dopo, Gertrude verrà proposta in capitolo, per esser accettata dalle madri -. Nel dir questo, s’era voltato verso la principessa; e questa, credendo che fosse un invito a proporre, cominciava: – ci sarebbe… – Ma il principe interruppe: – No, no, signora principessa: la madrina deve prima di tutto piacere alla sposina; e benché l’uso universale dia la scelta ai parenti, pure Gertrude ha tanto giudizio, tanta assennatezza, che merita bene che si faccia un’eccezione per lei -. E qui, voltandosi a Gertrude, in atto di chi annunzia una grazia singolare, continuò: – ognuna delle dame che si son trovate questa sera alla conversazione, ha quel che si richiede per esser madrina d’una figlia della nostra casa; non ce n’è nessuna, crederei, che non sia per tenersi onorata della preferenza: scegliete voi.
(5) Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare un nuovo consenso; ma la proposta veniva fatta con tanto apparato, che il rifiuto, per quanto fosse umile, poteva parer disprezzo, o almeno capriccio e leziosaggine . Fece dunque anche quel passo; e nominò la dama che, in quella sera, le era andata più a genio; quella cioè che le aveva fatto più carezze, che l’aveva più lodata, che l’aveva trattata con quelle maniere famigliari, affettuose e premurose, che, ne’ primi momenti d’una conoscenza, contraffanno una antica amicizia. – Ottima scelta, – disse il principe, che desiderava e aspettava appunto quella. Fosse arte o caso, era avvenuto come quando il giocator di bussolotti facendovi scorrere davanti agli occhi le carte d’un mazzo, vi dice che ne pensiate una, e lui poi ve la indovinerà; ma le ha fatte scorrere in maniera che ne vediate una sola. Quella dama era stata tanto intorno a Gertrude tutta la sera, l’aveva tanto occupata di sé, che a questa sarebbe bisognato uno sforzo di fantasia per pensarne un’altra. Tante premure poi non eran senza motivo: la dama aveva, da molto tempo, messo gli occhi addosso al principino, per farlo suo genero: quindi riguardava le cose di quella casa come sue proprie; ed era ben naturale che s’interessasse per quella cara Gertrude, niente meno de’ suoi parenti più prossimi. Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero dell’esaminatore che doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse cogliere quella occasione così decisiva, per tornare indietro, e in qual maniera, il principe la fece chiamare. – Orsù, figliuola, – le disse: – finora vi siete portata egregiamente: oggi si tratta di coronar l’opera. Tutto quel che s’è fatto finora, s’è fatto di vostro consenso. Se in questo tempo vi fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio, grilli di gioventù, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le cose, non è più tempo di far ragazzate. Quell’uomo dabbene che deve venire stamattina, vi farà cento domande sulla vostra vocazione: e se vi fate monaca di vostra volontà, e il perché e il per come, e che so io? Se voi titubate nel rispondere, vi terrà sulla corda chi sa quanto. Sarebbe un’uggia, un tormento per voi; ma ne potrebbe anche venire un altro guaio più serio. Dopo tutte le dimostrazioni pubbliche che si son fatte, ogni più piccola esitazione che si vedesse in voi, metterebbe a repentaglio il mio onore, potrebbe far credere ch’io avessi presa una vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che avessi precipitato la cosa, che avessi… che so io? In questo caso, mi troverei nella necessità di scegliere tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formi un tristo concetto della mia condotta: partito che non può stare assolutamente con ciò che devo a me stesso o svelare il vero motivo della vostra risoluzione e… – Ma qui, vedendo che Gertrude era diventata scarlatta, che le si gonfiavan gli occhi, e il viso si contraeva, come le foglie d’un fiore, nell’afa che precede la burrasca, troncò quel discorso, e, con aria serena, riprese: – via, via, tutto dipende da voi, dal vostro buon giudizio. So che n’avete molto, e non siete ragazza da guastar sulla fine una cosa fatta bene; ma io doveva preveder tutti i casi. Non se ne parli più; e restiam d’accordo che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far nascer dubbi nella testa di quell’uomo dabbene. Così anche voi ne sarete fuori più presto -. E qui, dopo aver suggerita qualche risposta all’interrogazioni più probabili, entrò nel solito discorso delle dolcezze e de’ godimenti ch’eran preparati a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quello, fin che venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principe rinnovò in fretta gli avvertimenti più importanti, e lasciò la figlia sola con lui, com’era prescritto.
L’ interrogazioni del Padre vicario sulla vocazione di Gertrude
L’uomo dabbene veniva con un po’ d’opinione già fatta che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro: perché così gli aveva detto il principe, quando era stato a invitarlo. È vero che il buon prete, il quale sapeva che la diffidenza era una delle virtù più necessarie nel suo ufizio, aveva per massima d’andar adagio nel credere a simili proteste, e di stare in guardia contro le preoccupazioni; ma ben di rado avviene che le parole affermative e sicure d’una persona autorevole, in qualsivoglia genere, non tingano del loro colore la mente di chi le ascolta. Dopo i primi complimenti, – signorina, – le disse, – io vengo a far la parte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò che, nella sua supplica lei ha dato per certo; vengo a metterle davanti agli occhi le difficoltà, e ad accertarmi se le ha ben considerate. Si contenti ch’io le faccia qualche interrogazione.
– Dica pure, – rispose Gertrude.
Il buon prete cominciò allora a interrogarla, nella forma prescritta dalle regole. – Sente lei in cuor suo una libera, spontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono state adoperate minacce, o lusinghe? Non s’è fatto uso di nessuna autorità, per indurla a questo? Parli senza riguardi, e con sincerità, a un uomo il cui dovere è di conoscere la sua vera volontà, per impedire che non le venga usata violenza in nessun modo.
(6). La vera risposta a una tale domanda s’affacciò subito alla mente di Gertrude, con un’evidenza terribile. Per dare quella risposta, bisognava venire a una spiegazione, dire di che era stata minacciata, raccontare una storia… L’infelice rifuggì spaventata da questa idea; cercò in fretta un’altra risposta; ne trovò una sola che potesse liberarla presto e sicuramente da quel supplizio, la più contraria al vero. – Mi fo monaca, – disse, nascondendo il suo turbamento, – mi fo monaca, di mio genio, liberamente
– Da quanto tempo le è nato codesto pensiero? – domandò ancora il buon prete.
– L’ho sempre avuto, – rispose Gertrude, divenuta, dopo quel primo passo, più franca a mentire contro se stessa.
– Ma quale è il motivo principale che la induce a farsi monaca?
Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse; e Gertrude si fece una gran forza per non lasciar trasparire sul viso l’effetto che quelle parole le producevano nell’animo. – Il motivo, – disse, – è di servire a Dio, e di fuggire i pericoli del mondo.
– Non sarebbe mai qualche disgusto? qualche… mi scusi… capriccio? Alle volte, una cagione momentanea può fare un’impressione che par che deva durar sempre; e quando poi la cagione cessa, e l’animo si muta, allora…
– No, no, – rispose precipitosamente Gertrude: – la cagione è quella che le ho detto.
Il vicario, più per adempire interamente il suo obbligo, che per la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette con le domande; ma Gertrude era determinata d’ingannarlo. Oltre il ribrezzo che le cagionava il pensiero di render consapevole della sua debolezza quel grave e dabben prete, che pareva così lontano dal sospettar tal cosa di lei; la poveretta pensava poi anche ch’egli poteva bene impedire che si facesse monaca; ma lì finiva la sua autorità sopra di lei, e la sua protezione. Partito che fosse, essa rimarrebbe sola col principe. E qualunque cosa avesse poi a patire in quella casa, il buon prete non n’avrebbe saputo nulla, o sapendolo, con tutta la sua buona intenzione, non avrebbe potuto far altro che aver compassione di lei, quella compassione tranquilla e misurata, che, in generale, s’accorda, come per cortesia, a chi abbia dato cagione o pretesto al male che gli fanno. L’esaminatore fu prima stanco d’interrogare, che la sventurata di mentire: e, sentendo quelle risposte sempre conformi, e non avendo alcun motivo di dubitare della loro schiettezza, mutò finalmente linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in certo modo, scusa d’aver tardato tanto a far questo suo dovere; aggiunse ciò che credeva più atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s’abbatté nel principe, il quale pareva che passasse di là a caso; e con lui pure si congratulò delle buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola. Il principe era stato fino allora in una sospensione molto penosa: a quella notizia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi di corsa da Gertrude, la ricolmò di lodi, di carezze e di promesse, con un giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sincera: così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano.
(….)
(7). Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli e di divertimenti. E neppure descriveremo, in particolare e per ordine, i sentimenti dell’animo suo in tutto quel tempo: sarebbe una storia di dolori e di fluttuazioni, troppo monotona, e troppo somigliante alle cose già dette. L’amenità de’ luoghi, la varietà degli oggetti, quello svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là all’aria aperta, le rendevan più odiosa l’idea del luogo dove alla fine si smonterebbe per l’ultima volta, per sempre. Più pungenti ancora eran l’impressioni che riceveva nelle conversazioni e nelle feste. La vista delle spose alle quali si dava questo titolo nel senso più ovvio e più usitato, le cagionava un’invidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l’aspetto di qualche altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi dare quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d’ogni felicità. Talvolta la pompa de’ palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichìo e il fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un’ebbrezza, un ardor tale di viver lieto, che prometteva a se stessa di disdirsi, di soffrir tutto, piuttosto che tornare all’ombra fredda e morta del chiostro
(8). Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano alla considerazione più riposata delle difficoltà, al solo fissar gli occhi in viso al principe. Talvolta anche, il pensiero di dover abbandonare per sempre que’ godimenti, gliene rendeva amaro e penoso quel piccol saggio; come l’infermo assetato guarda con rabbia, e quasi rispinge con dispetto il cucchiaio d’acqua che il medico gli concede a fatica.
Intanto il vicario delle monache ebbe rilasciata l’attestazione necessaria, e venne la licenza di tenere il capitolo per l’accettazione di Gertrude. Il capitolo si tenne; concorsero, com’era da aspettarsi, i due terzi de’ voti segreti ch’eran richiesti da’ regolamenti; e Gertrude fu accettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora d’entrar più presto che fosse possibile, nel monastero. Non c’era sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l’abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre. È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa (9). Se al passato c’è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c’è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessita virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch’è stato intrapreso per leggerezza; piega l’animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada così fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l’uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d’allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine.
Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta. Ma l’infelice si dibatteva in vece sotto il giogo, e così ne sentiva più forte il peso e le scosse. Un rammarico incessante della libertà perduta, l’abborrimento dello stato presente, un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero mai soddisfatti, tali erano le principali occupazioni dell’animo suo. Rimasticava quell’amaro passato, ricomponeva nella memoria tutte le circostanze per le quali si trovava lì; e disfaceva mille volte inutilmente col pensiero ciò che aveva fatto con l’opera; accusava sé di dappocaggine, altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva.
Idolatrava insieme e piangeva la sua bellezza, deplorava una gioventù destinata a struggersi in un lento martirio, e invidiava, in certi momenti, qualunque donna, in qualunque condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente godersi nel mondo que’ doni (10).
PROMESSI SPOSI, LA MONACA DI MONZA: ANALISI E COMMENTO DEL CAPITOLO X. Per comprendere meglio la vicenda dividiamo in sequenze e la vita di Gertrude e analizziamo il testo:
- L’educazione di Gertrude è stata tutta orientata verso la scelta religiosa. I costumi del Seicento infatti orientavano verso la monacazione le secondogenite, in modo da non disperdere eccessivamente i beni delle famiglie nobiliari.
Chiaramente, tale pratica non teneva alcun conto dei bisogni e dei desideri delle giovani, che venivano costrette a prendere decisioni estranee alla loro volontà, obbedendo ciecamente al volere del capofamiglia. Nell’episodio manzoniano della monacazione di Gertrude si tratta di un famoso nobile monzese, il padre insensibile e crudele che gioca sulla debolezza della giovane, per ottenere il suo scopo. E’ stata appena scoperta un’innocente relazione di Gertrude con un paggio residente nella dimora del principe. Questo fatto, assolutamente censurato dalla morale del tempo, viene usato strumentalmente dal padre per convincere la giovane a dare il suo assenso alla monacazione. Si evidenzia, nell’attenta analisi psicologica manzoniana, il contrasto tra la timorosa sottomissione di Gertrude all’ira del genitore e l’interessata astuzia del principe, pronto a perdonare solo in cambio del sacrificio della libertà della ragazza. La decisione di Gertrude è chiaramente istintiva, sofferta e dettata dalla paura delle conseguenze del suo gesto. Anche Gertrude è dunque vittima del secolo in cui vive e delle forme di potere che lo caratterizzano. L’identità e l’autonomia femminile stentano a costruirsi all’interno di costrizioni oggettive. - Il pentimento di Gertrude. Tuttavia, le sue naturali incertezze non riescono a convincerla ad un rifiuto, poichè la figura del padre continua ad essere per lei minacciosa.
- Il rimpianto della propria giovinezza, intuito nello sguardo compassionevole di una compagna, sembra darle un po’ di forza per arrivare al rifiuto, ma lo sguardo minaccioso del padre la frena nuovamente.
- Ritorna, tormentando maggiormente Gertrude, la coscienza della sua debolezza, della sua mancanza di volontà. Quando mai avrà la forza e il coraggio di dir di no? Le occasioni si fanno sempre meno numerose e sempre più difficili da cogliere.
- Il colloquio con il Padre vicario potrebbe esser un’occasione per definire con sincerità le ragioni del suo animo, ma anche questo spazio è inesistente. Infatti il colloquio non è niente più che una formalità: una semplice incertezza della giovane sarebbe stata intesa come una leggerezza anche del padre, che avrebbe perso il suo onore nel proporre per la monacazione una figlia che poi si sarebbe sottratta all’impegno.
Hanno inoltre molta importanza gli apparati ed i festeggiamenti preparati per la particolare occasione (come ad esempio la nomina di una dama che accompagna la giovane Gertrude nel suo ultimo viaggio all’interno della società civile). Tali preparativi impediscono ogni ripensamento nella ragazza, che è volutamente costretta a muoversi all’interno delle attese della sua classe sociale, all’interno di aspettative ed usi già ampiamente consolidati dalla tradizione, che non possono affatto essere scavalcati da un rifiuto improvviso, del tutto inaspettato seppur segno di indipendenza e di libertà. - Gertrude potrebbe ancora salvarsi , rispondendo al vicario dicendo tutta la verità; ma la verità comprende anche l’episodio del paggio e la paura delle conseguenze, anche sociali, del suo gesto, le impedisce di confessare una colpa che essa ormai reputa enorme e vergognosa. Perciò mente a sè e all’ esaminatore.
- La descrizione degli incontri di Gertrude dopo la sua promessa solenne al vicario danno la misura delle contraddizioni che sta vivendo. Lo spettacolo delle gioie del secolo l’attrae inconsciamente tanto da convincerla – nella disperazione del suo stato – a resistere ancora negando una definitiva accettazione del chiostro. Non aveva osato prima operare il rifiuto, quando sarebbe stata ancora in tempo per farlo; ora si tratta di risoluzioni improprie, che hanno la debolezza della disperazione e che sfumano al solo fissar in viso gli occhi del padre.
- Si consuma l’ultima fase della vicenda. Gertrude si è quasi abituata agli agi ed alle attenzioni di cui è circondata in vista della sua futura accettazione della condizione religiosa. E’ chiamata da tutti la sposa, con un’evidente contraddizione nel significato di questo termine. Tali attenzioni diventano per lei un temporaneo stordimento, una più beffarda prova, che anticipa l’abbandono definitivo dal mondo. Il ” lungo strazio” della giovane, sottoposta a quest’ultima dolorosa esperienza di contatto prolungato con le gioie del mondo, riassume il dolore della sua condizione. Alla fine, sentendosi incapace di un rifiuto che sarebbe apparso ormai incomprensibile ai più, la poveretta divenne impaziente di abbreviare il tempo che la separava dalla scelta definitiva: iniziò pertanto i dodici mesi di noviziato che la porteranno – non senza ulteriori ripensamenti – all’ingresso definitivo nel monastero.
- Il destino di Gertrude è ormai compiuto, e la sua vita sarà segnata da un’eterna pena inconsolabile, legata alla sua reclusione nel chiostro. Tuttavia per Manzoni potrebbe, ad un tratto, aprirsi uno spiraglio nel buio della vita della giovane. La vita potrebbe non essere spenta, la condanna alla solitudine potrebbe non essere totale, se Gertrude riconquistasse una fede autentica, la speranza in Dio, la gioia della vocazione religiosa. La religione cristiana sa indirizzare per il meglio le scelte non sufficientemente consapevoli e meditate, sa dare vigore alle decisioni assunte dietro l’imposizione della forza: insomma aiuta a far di necessità virtù, indirizzando per il meglio la volontà umana, quando essa è troppo debole per agire da sola.
Manzoni, in una parola, vede anche nella vicenda drammatica di Gertrude un possibile intervento della Provvidenza divina, capace di compensare gli sbagli legati alla debolezza dell’uomo, indirizzando e fortificando – nella rinuncia – l’animo di chi è stato costretto ad intraprendere un’esperienza superiore alle sue forze .
Tuttavia vedremo che la realtà è diversa. La giovane Gertrude non saprà riconoscere la sua identità nell’esperienza cristiana e la sua vita naufragherà in contraddizioni sempre più profonde, come la relazione con Egidio, l’uccisione della conversa testimone della relazione, la connivenza nel rapimento di Lucia. - La scelta, ormai irrevocabile, sarebbe potuta essere accettabile in chiave cristiana. Invece Gertrude dà vita a continui tormenti nell’animo suo: rimpiange il passato segnato da una libertà personale ormai mancata, detesta la sua condizione presente, desidera quanto ormai le è impedito di avere. Si rode inutilmente e rende dolorosa la sua vita presente ritornando con il pensiero alle scelte non assunte con coraggio, accusando in cuor suo le violenze subite. Esalta e maledice – inconsapevolmente nell’animo suo – la bellezza, che sente esserle inutile, e la giovinezza che le sfugge definitivamente. Invidia la condizione di ogni altra donna.
E’ la voce della sua natura rifiutata, che si ribella e si fa sentire. Umanissima – proprio nella sua contraddittorietà – l’amara riflessione sulla sua condizione e l’ invidia dello stato di qualunque altra donna.
E’ soprattutto quest’ultima parte dell’episodio a rendere evidenti le contraddizioni che perdurano nella personalità di Gertrude. La piena conquista dell’identità di ciascuno di noi passa soprattutto attraverso l’accettazione delle passate esperienze, che si integrano nelle scelte del presente. Invece per il personaggio manzoniano il passato continua a costituire un ostacolo irrisolto, un peso opprimente che ha condizionato definitivamente le future esperienze esistenziali. Permangono in lei tutte le contraddizioni della gioventù, aggravate dal fatto di non avere libertà, dal vincolo religioso che è sentito come estraneo, in tutto il suo peso, e incapace di offrire alcuna forma di consolazione.
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