Scrive Ortega nel saggio “Idee e credenze”: ” con l’espressione ‘ idee di un uomo’ possiamo riferirci a cose molto differenti “. Il termine idea ò di per sè molto vago e confuso, perchè include i pensieri occasionali, i pensieri ragionati, le verità scientifiche, perfino le stramberie: ma sono comunque pensieri che abbiamo in mente e che perciò presuppongono l’esistenza di un uomo concreto che le pensa. Le idee presuppongono sempre l’uomo e sono necessarie per la sua vita, in quanto attraverso di esse l’uomo si orienta nel mondo e nella sua circum-stantia. Ma, pur essendo di base idee, due sono le diramazioni, le sottospecie: le idee-credenze (“ideas-creencias”) e le idee-pensate (“ideas- ocurrencias” o “pensamientos”): solo queste ultime possono essere nominate di rigore “idee” ( per praticità le nomineremo rispettivamente con i termini credenze e idee, così come Ortega fa, ma solo dopo aver specificato, appunto, la loro comune derivazione dal termine idea). ” Delle idee (â¦) possiamo dire che le produciamo, le sosteniamo, le discutiamo, le propaghiamo, combattiamo a loro favore e siamo perfino capaci di morire per esse. Quello che non possiamo òâ¦vivere di esse. Sono opera nostra e suppongono già la nostra vita, la quale si colloca in idee-credenze che non produciamo noi stessi, che, in generale, neppure ci formuliamo e che, chiaramente, non discutiamo nè propaghiamo nè sosteniamo. Con le credenze propriamente non produciamo nulla, finchò stiamo semplicemente in esse. (â¦) Il linguaggio volgare ha inventato l’espressione “stare nella credenza “. In effetti nella credenza si sta, e l’idea si tiene e si sostiene. Ma ò la credenza a tenerci e a sostenere noi stessi. Non giungiamo alle credenze dopo un raziocinio rigoroso: mentre le idee propriamente dette esistono nel momento stesso in cui noi le pensiamo, ” la nostra relazione [con le credenze] consiste nelâ¦contare su di esse, sempre, senza pausa “. A tal proposito Ortega suggerisce un esempio tratto dalla vita quotidiana: siamo in casa e, per un qualsiasi motivo, vogliamo uscire in strada. Arrivando alla porta di casa nessuno si sarà posto la questione che ci sia una strada, che essa esista. E’ fuor di dubbio che per uscire in strada sia essenziale che una strada esista, eppure non ci si pensa e non lo si mette in dubbio. Ma non si potrebbe dire che l’esistenza o meno della strada non sia intervenuta nel comportamento di chi vuole uscire di casa. La prova consiste nel fatto che se si arrivasse alla porta e si scoprisse che la strada ò sparita, si avrebbe una violenta sorpresa. Perchè? Perchè quell’uomo nell’atto di uscire, pur non pensando all’esistenza della strada, ci contava, sapeva che c’era senza averci pensato, non l’ha messa in dubbio e non l’ha sottoposta a vaglio critico. Che la strada esista fa parte delle nostre credenze: quelle idee in cui ” viviamo, ci muoviamo e siamo “. Si potrebbe cambiare esempio, passando da una credenza del singolo uomo, ad una credenza collettiva. Quando frana una montagna o straripa un fiume, noi siamo soliti chiamare tempestivamente la protezione civile o i vigili del fuoco. Questo nostro atteggiamento ò coerente con una credenza che non mettiamo in discussione, derivante da una concezione scientifica della realtà , secondo cui, in questi casi, una montagna frana e un fiume straripa se ha piovuto troppo e la terra ha ceduto. Ma se ci spostiamo in India, o in Africa, di fronte alla violenza della natura, per prima cosa i bramini o gli stregoni invocano gli dei e compiono riti che ne plachino l’ira. Da molti occidentali, questo comportamento potrebbe essere considerato ridicolo o inferiore, non vero; eppure molti di noi, di fronte ad una malattia inguaribile, chiedono grazia a Dio e si recano in chiesa o in pellegrinaggio, percorrendo magari qualche centinaio di metri in ginocchio. Non ha importanza, quindi, la questione sulla veridicità o meno di una credenza. Ciò che basta ò che sia creduta: si tratti di un singolo o di una civiltà intera. Le credenze operano in noi, noi contiamo su di esse senza pensarci: sono la nostra interpretazione della realtà , anzi, ” poichè sono credenze radicalissime si confondono per noi con la realtà stessa -sono il nostro mondo e il nostro essere “. Ma in quanto interpretazione non ragionata e non pensata, nel momento in cui, per un qualsivoglia motivo, la mettiamo in dubbio ed entriamo nell’incertezza, la credenza diviene idea discussa. Cos’ò quindi il dubbio? Qual ò il rapporto tra dubbio e credenza? ” Le credenze -scrive Ortega- sono la terra ferma su cui ci affanniamo. [â¦] Il dubbio (â¦) ò un modo della credenza e appartiene allo stesso strato di questa nell’architettura della vita. Anche nel dubbio si sta. Soltanto che in questo caso lo stare ha un carattere terribile. Nel dubbio si sta come si sta in un abisso, cioò, cadendo. E’, quindi, la negazione della stabilità . All’improvviso sentiamo che sotto i nostri piedi cede la fermezza terrestre e ci pare di cadere, cadere nel vuoto (â¦) Viene ad essere come la morte nella vita, come assistere all’annullamento della nostra propria esistenza. (â¦) La differenza tra fede e dubbio non consiste in un credere. Il dubbio non ò un “non credere” di fronte al credere, nè ò un “credere che non” di fronte a un “credere che sì”. L’elemento differenziale sta in ciò che si crede. La fede crede che Dio esista o che Dio non esista. Ci pone, quindi, in una realtà , positiva o “negativa”, ma inequivoca, e, pertanto, stando in essa ci sentiamo collocati in qualche cosa di stabile “. Il dubbio ò pertanto la cifra dell’instabilità . E’ uno stare sulla terra scossa da un terremoto che non accenna a smettere, a placarsi. Il linguaggio volgare, ha un immagine specifica che ben rende l’idea e che Ortega riprende: ” trovarsi in un mare di dubbi “, l’uomo in balia di qualcosa di fluido e instabile, scivoloso, che non concede sicurezza. Esattamente l’opposto della credenza, simbolicamente definita come uno stare sulla terra ferma. Perchè si dubita? Perchè il dubbioso si trova a dover decidere tra due credenze antagonistiche, inconciliabili. Per uscire da questo mare di dubbi, il dubbioso deve risolversi ad aggrapparsi a qualcosa. A che cosa? All’ intelletto: ” [l’uomo]mentre crede non ò solito usarlo, perchè ò uno sforzo penoso [Ortega usa il termine spagnolo ‘penoso’, che si può rendere con ‘doloroso’, ‘difficile’. Si capisce quindi l’accezione del termine non unicamente negativa]. Però cadendo nel dubbio si attacca ad esso come ad un salvagente “. A questo punto, tramite l’uso dell’intelletto e il ragionare, entrano in gioco le idee: intervengono nei vuoti delle nostre credenze e l’instabilità , l’ambiguità , sparisce. ” Come si ottiene questo? Fantasticando, inventando mondi. L’idea ò immaginazione. All’uomo non ò stato dato nessun mondo già determinato “. L’idea, quindi, non ò un fatto su cui contiamo, ma ò una conclusione: ò il risultato a cui perveniamo dopo un ragionamento tramite l’intelletto. Infatti, scrive Ortega: ” L’idea ha bisogno della critica come il polmone dell’ossigeno e si sostiene e afferma appoggiandosi su altre idee che, a loro volta, sono a cavallo di altre formando un tutto o un sistema. Organizzano, quindi, un mondo a parte dal mondo reale, un mondo integrato esclusivamente da idee di cui l’uomo si sa produttore e responsabile. Di modo che la solidità dell’idea solida si riduce alla solidità con cui tollera di essere riferita a tutte le altre idee. Niente di meno, ma anche niente di più (â¦) La verità suprema ò quella dell’evidente, ma il valore dell’evidenza stessa ò a sua volta teoria, idea e combinazione intellettuale. Tra noi e le nostre idee, quindi, si ha sempre una distanza insuperabile: quella che va dal reale all’immaginario. In cambio, con le nostre credenze siamo sempre uniti. Perciò si può dire che le siamo “. Costruire idee, farsi delle idee, ò un appiglio essenziale per poter vivere in quella che ò una vita enigmatica, contraddittoria. L’uomo deve decidere cosa fare, come comportarsi, come e cosa scegliere per la sua circum-stantia: e lo fa immaginando, confrontando e quindi, eventualmente, accettando. ” Questi mondi immaginari sono confrontati con l’enigma dell’autentica realtà e sono accettati quando sembrano aggiustarsi (ajustarse) ad essa con la massima approssimazione “. Aggiustarsi, non adeguarsi! Ortega usa questo termine per scostarsi dal termine tradizionale di adaequatio: vita enigmatica ed intelletto non possono uguagliarsi, pareggiarsi, sovrapporsi. Non combaciano e non potranno mai farlo, perchè appartenenti a due piani diversi. Possono invece avvicinarsi, cercare un punto di somiglianza, smussando i loro estremismi inconciliabili. Con il tempo, quest’idea immaginata e ragionata, discussa e criticata, può divenire a sua volta credenza, un punto fermo dato per scontato, un pensiero consolidato usato inconsciamente, fino a quando un uomo, o una civiltà intera, non la porrà nuovamente in dubbio.
- 1900
- Filosofia - 1900