Camillus cum iam in rnanibus videret victoriam esse, tantumque praedae fore, quantum non
omnibus in unum conlatis antea bellis fuisset, timens ne quam inde aut militum iram ex rnalignitate praedae partitae aut
invidiam apud patres ex prodiga largitione caperet, litteras ad senatum misit, quid de praeda faciendum censerent. Duae
sententiae senatum distinebant: senis altera P. Licini, qui palam dicebat placere populo ut, qui particeps esse praedae vellet,
in castra Veios iret, altera Ap. Claudii, qui largitionem novam prodigam, inaequalem arguens, auctor erat stipendia ex ea
pecunia rnilitibus numerari, ut eo minus tributi in aerarium plebs conferret.
Versione tradotta
Camillo già si vedeva nelle mani la vittoria e che vi sarebbe stato tanto bottino, quanto non vi era
mai stato prima in tutte le guerre unite insieme. Ma temeva che di conseguenza avrebbe provocato o l'ira dei soldati con una
ingiusta spartizione della preda o l'odiosità da parte dei patrizi con una troppo generosa elargizione. Perciò mando una
lettera al senato (per sapere) che cosa pensassero che si dovesse fare riguardo al bottino. Due pareri dividevano il senato.
Una del vecchio Publio Licinio, il quale diceva che chiaramente era desiderio del popolo che chi volesse essere partecipe del
bottino andasse a Veio nell'accampamento. L'altra di Appio Claudio, che considerava quella elargizione straordinaria
troppo generosa e ingiusta, e suggeriva che con quella somma si pagassero le paghe ai soldati, in modo che la plebe potesse
versare meno tasse all'erario.
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