La problematica della natura e dell’origine del capitalismo era largamente dibattuto nella cultura tedesca degli ultimi anni dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, soprattutto a partire da Marx. Erano infatti da poco stati pubblicati da Engels il secondo e il terzo libro del Capitale di Marx, e le teorie marxiane cominciavano ad essere accettate o almeno prese in considerazione da economisti e storici, sia che le si volesse confutare, sia che le si volessero avvalorare. Uno dei primi studiosi ad aver considerato come opera scientifica valida il Capitale fu Werner Sombart, coodirettore con Weber dell’ Archiv fur Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, ed del libro Il capitalismo moderno, in cui presentava il capitalismo moderno come il risultato della combinazione della tendenza al maggior guadagno possibile con un orientamento razionale nell’agire. Weber a sua volta giungeva all’analisi del capitalismo moderno dall’analisi del capitalismo antico, che era stato oggetto dei suoi studi di economia politica. Anch’egli come Sombart, riconosceva il carattere del capitalismo moderno nel razionalismo economico, concepito come l’aspetto economico di un più generale processo di razionalizzazione, che comportava l’organizzazione razionale dell’impresa, la tendenza razionale al profitto sulla base del calcolo del capitale, la redazione di bilanci preventivi e consuntivi, la separazione tra impresa e amministrazione domestica, l’impiego del lavoro formalmente libero, l’esistenza di un libero mercato. Ma accanto a questi elementi, egli indicava un aspetto che, dal punto di vista marxiano, si direbbe sovrastrutturale, lo spirito del capitalismo, ovvero una specifica mentalità economica che, secondo Weber, affonda le sue radici nel terreno della religione. Il problema di Weber ò quello di spiegare ‘ il particolare carattere del capitalismo occidentale e, in seno a questo, di quello moderno, e le sue origini ‘. Non era nuova l’osservazione, anzi la constatazione, del più avanzato grado di sviluppo economico e civile in generale della società in cui si erano diffuse le confessioni riformate. Weber ne trae spunto per impostare la usa nuova tesi del rapporto tra la mentalità capitalistica e l’etica economica del protestantesimo ascetico, cioò del calvinismo e delle sette anabattistiche e puritane. Il credente di queste confessioni, convinto che la sua salvezza o la sua dannazione siano decretate da Dio e dall’eternità e non dipendono dalle sue opere, cerca una conferma della grazia divina, e la trova nel successo economico. Il compimento del proprio volere nel mondo ò voluto da Dio ad accrescimento della sua gloria nella sua rinascita ò un segno dell’elezione divina. Si caricano, quindi, di significato religioso i caratteri dell’operosità , dello zelo, della coscienza rigorosa e severa, che si traducono nella concezione della professione come vocazione e in una condotta di vita metodica. In seguito, il capitalismo si ò spogliato di questo senso etico-religioso, ma ò rimasta la tendenza al profitto, concepito come scopo a sè, ed ò rimasto l’abito di una condotta metodica (razionale) di vita. Con la volontà di opporsi a Marx, Weber guarda alle cose dal punto di vista delle sovrastrutture e si domanda di qual genere di uomo (e non – come ci si aspetterebbe da Marx – di qual genere di strutture) ci fosse bisogno affinchè potesse nascere il capitalismo. Egli risponde prendendo in esame i protestanti e il loro grande accumulo di ricchezze a partire al Cinquecento. Il termine chiave per capire questo accumulo ò – dice Weber – il termine tedesco Beruf, che significa tanto “vocazione” quanto “lavoro”, quasi come se sussistesse unâidentità di professione di fede e professione lavorativa. Per i protestanti la salvezza ò decretata da Dio ab aeterno (giustificazione per fede) e non la si ottiene in virtù delle proprie opere: un indizio per capire se si sarà o meno salvati ò il successo professionale che si ha nel corso della vita, quasi come se, dal successo nel lavoro, si potesse avvertire il proprio essere graditi a Dio. Sicchè quella che il protestante compie ò unâautentica “ascesi intramondana”, per cui egli ò strumento di Dio nel mondo: chi lavora con dedizione per tutta la propria vita e riscuote grande successo accumulando ingenti ricchezze (e non per fini edonistici: accumula senza consumare, perchè ciò ò proibito dalla religione), può ritenersi salvato da Dio. Da ciò nasce secondo Weber il capitalismo: non già da particolari condizioni materiali, storiche ed economiche (come credeva Marx), bensì da idee, da sovrastrutture. Per chiarire quanto accade nel mondo protestante, ricorre allâesempio del mantello che, dapprima usato per riscaldare, finisce poi per imprigionare come una “gabbia dâacciaio”; infatti, lâaccumulo di ricchezza effettuato dai protestanti finisce a lungo andare per diventare fine a se stesso e non più funzionale alla religione, ossia finisce per trasformare il mantello della religione in una gabbia che la annienta. La “razionalità rispetto al valore” si smarrisce lungo la strada e viene rimpiazzata dalla “razionalità rispetto allo scopo”. La vita spesa nel lavoro diventa priva di senso e fine a se stessa: ne segue la perdita della libertà , lâaccumulo domina lâuomo e lo rende superfluo. . In Sociologia delle religioni, Weber ci propone poi uno sconcertante elenco di conquiste dellâOccidente e ci chiede se siano effettivamente universali, degne di essere esportate in quanto umane e superiori; tali conquiste sono, ad esempio, la scienza e “la forza più fatale” (il capitalismo). Agli occhi di Weber, la modernità viene a configurarsi come un processo che tutto razionalizza (lâinsegnamento, la politica, ecc) ma che poi, per ironia della sorte, tende a capovolgersi e a far risorgere gli antichi dei della Grecia: ciascuna delle realizzazioni della modernità , infatti, risponde solamente a sè, cosicchè ciò che ò buono non per questo ò anche vero, ciò che ò bello non per questo ò anche buono, ecc. Si attua cioò un autentico frazionamento dei valori o, come lo chiama Weber, un “politeismo dei valori” di fronte al quale lâindividuo può chinare il capo ad uno dei tanti dei trascurando gli altri: può così scegliere il valore della religione (conducendo una vita religiosa), oppure quello della scienza (conducendo una vita dedita alla ricerca), e così via. Ma tra i molteplici valori non vâò contatto nè comunicazione: pertanto il moderno si prospetta come tragico smarrimento del senso e della libertà , come fredda “gabbia dâacciaio”. Se in Marx e in Hegel vi era il “superamento” dialettico, in Weber regna invece lâaccettazione, cosicchè il suo si presenta come un “individualismo eroico” che accetta come destino il frazionamento dei valori. E’ evidente che la teoria weberiana dell’origine dello spirito capitalistico ò in contrasto con la concezione marxista, dal momento che rovescia il rapporto tra struttura economica e sovrastruttura; del resto, Weber aveva già polemizzato con la concezione materialista della storia negli scritti metodologici. Bisogna però sottolineare che l’opera di Weber non si propone neppure di sostenere un qualsivoglia primato di fattori spirituali su quelli materiali. Egli rifiuta infatti ogni pretesa di spiegazione onnicomprensiva dei fenomeni storico-sociali e ogni assolutizzazione di principi, dal momento che l’unica forma di spiegazione possibile ò quella condizionale. Dalla sua ricerca egli trae la conclusione, limitata al problema del sorgere della mentalità economica razionale del capitalismo, che vi ò uno stretto rapporto tra questa e l’etica economica del protestantesimo ascetico. E alla stessa conclusione giungeva per via negativa mostrando negli studi sull’etica economica delle religioni universali (confucianesimo, taoismo, induismo raccolti poi nella postuma Sociologia della religione, come in nessun’altra civiltà che non fosse l’Occidente moderno si sia verificata una correlazione come quella che si ò stabilita tra etica protestante e mentalità capitalistica.
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- Filosofia - 1900