Il Mesolitico - Studentville

Il Mesolitico

Gli aspetti principali del Mesolitico.

Gli ultimi cacciatori-raccoglitori dell’Olocene antico

Il termine Mesolitico è stato adottato all’inizio del secolo scorso nell’Europa occidentale per indicare i complessi attribuibili al periodo compreso tra la fine del Paleolitico superiore e il Neolitico. Nelle prime suddivisioni cronologiche della Preistoria questo periodo non veniva contemplato, poiché gli studiosi dell’epoca ritenevano che l’Europa occidentale fosse stata spopolata tra la fine dell’era glaciale, quando gli ultimi cacciatori del Maddaleniano si spostarono seguendo i branchi di renne verso le regioni più settentrionali, e l’arrivo dei primi gruppi di agricoltori e allevatori neolitici dall’area danubiano-balcanica e dal Mediterraneo orientale. Le ricerche archeologiche condotte durante il secolo XX misero invece in luce l’esistenza di complessi intermedi. Oggi si designa con il termine di Mesolitico il periodo, durato alcuni millenni, nel corso del quale si assiste a un processo di adattamento da parte degli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori ai cambiamenti ambientali verificatisi, dopo la fine dell’ultima era glaciale, all’inizio dell’Olocene, a partire da circa 10.000 anni fa.

Non tutti gli studiosi concordano sull’uso di questo termine; alcuni adottano per indicare lo stesso fenomeno il termine di Epipaleolitico, evidenziando la continuità culturale con il Paleolitico superiore, e assegnano al Mesolitico solo i complessi nei quali si sta realizzando il processo di transizione all’agricoltura e all’allevamento (processo di neolitizzazione).
A una definizione dei complessi mesolitici sulla base della cronologica e delle caratteristiche tipologiche delle industrie litiche è contrapposto un modo diverso di interpretare il reale significato del Mesolitico in relazione soprattutto ai cambiamenti economici e del modo di vita degli ultimi cacciatori-raccoglitori; tali considerazioni sono tuttora argomento di discussione.

Il bosco riconquista il territorio: l’ambiente durante l’Olocene antico

La fine del Tardiglaciale würmiano determina un miglioramento climatico che porta lentamente a condizioni ambientali simili a quelle attuali. Gli effetti più importanti di questo mutamento sono vari: l’arretramento dei ghiacciai apre nuovi spazi alla penetrazione umana in territori prima disabitati; l’innalzamento progressivo del livello del mare determina un arretramento delle linee di costa; le zone a steppa e a tundra riducono la loro estensione in concomitanza dello sviluppo delle foreste; le grandi mandrie di erbivori delle praterie sono sostituite da piccoli branchi di animali il cui ambiente ideale è la foresta e la macchia, quali cervi, caprioli, buoi selvatici e cinghiali.

La cronologia del Postglaciale si fonda sulla successione di fasi climatiche determinata dall’analisi dei pollini fossili dell’Europa centro-settentrionale. Secondo questa successione, l’Olocene inizia con il Preboreale a clima temperato arido (10.200/9.900-8.700 anni dal presente), cui segue il Boreale con un clima caldo-umido (8.700-7.500 anni dal presente) e l’Atlantico a clima caldo-umido (7.500-4.500 anni dal presente). Il Mesolitico si sviluppa durante questo lasso di tempo fino alla comparsa durante l’Atlantico delle culture neolitiche . Il processo di neolitizzazione costituisce un fenomeno complesso che si verifica in tempi differenti nelle diverse aree, cosicché il momento finale del Mesolitico varia da zona a zona, talora anche nell’ambito della stessa regione.

Durante il Preboreale e il Boreale si registra un progressivo inaridimento del clima, determinato dall’aumento delle temperature non compensato da un incremento di umidità. Tuttavia in alcune regioni, ad esempio nell’area alpina, le foreste si espandono raggiungendo la massima estensione alla fine del Preboreale. L’aridità del clima crea nelle regioni mediterranee un paesaggio prevalentemente steppico; la vegetazione, in prevalenza pino marittimo e leccio, si diffonde dalle aree rifugio costiere, dove si era preservata durante l’ultima fase del Tardiglaciale. Nell’area prealpina durante il Preboreale si sviluppano boschi a pino silvestre, mentre nel successivo Boreale predominano le latifoglie, soprattutto il querceto misto. Durante le prime due fasi climatiche dell’Olocene, il paesaggio di pianura vede un progressivo sviluppo verso un ambiente più steppico, con scarsa vegetazione arborea, che verrà sostituito dalla foresta soltanto nel corso dell’Atlantico.

I complessi mesolitici europei

Nella vasta area europea che comprende le regioni occidentali-atlantiche, il Mediterraneo centro-occidentale e l’area alpina sono documentati complessi mesolitici relativamente omogenei. Nell’area che si estende tra la Francia settentrionale, il bacino del Reno, l’alto bacino del Danubio e il versante settentrionali delle Alpi si sviluppano, in successione cronologica prima della neolitizzazione di queste regioni, i complessi di Beuron-Coincy e di Montbani. L’area che comprende la Spagna orientale, la Francia meridionale, l’Italia centro-settentrionale, la Slovenia e probabilmente parte dela Slovacchia vede diffondersi, durante il Preboreale e il Boreale, i complessi sauveterriani, seguiti nell’Atlantico dai complessi castelnoviani. I complessi di Beuron-Coincy e sauveterriano durante il Mesolitico antico e i complessi di Montbani e castelnoviano, durante il Mesolitico recente, sono considerati contemporanei.

Nell’Europa nord-occidentale sono attestati alcuni complessi che presentano elementi comuni; sono stati distinti tre complessi principali: il complesso di Duvesee si estende nella grande pianura tedesca e nella Polonia, oltre che nell’Inghilterra, tra la fine del IX millennio e la fine del VIII millennio a. C.; il complesso di Maglemose si sviluppa nella Scandinavia meridionale a partire dalla fine del VII millennio a. C.; il complesso Post-Maglemose ha origine alla fine del Boreale, a seguito della migrazione di gruppi maglemosiani verso sud, nei territori compresi tra il fiume Reno e la Vistola.

Il Mesolitico nella penisola italiana

Il Mesolitico italiano rientra, come è stato messo in luce poc’anzi, in un fenomeno molto più vasto che interessa buona parte dell’Europa occidentale e meridionale.
Le differenze principali rispetto al precedente Epigravettiano finale si riscontrano nelle caratteristiche delle industrie litiche (tavole XXIV e XXV). Durante il Mesolitico, infatti, i fenomeni che erano già stati documentati in precedenza, come la riduzione delle dimensioni dei manufatti (microlitismo), la comparsa del ritocco bipolare, l’impiego della tecnica del microbulino e la standardizzazione delle tipologie degli strumenti e, in particolare, delle armature geometriche, si moltiplicano e si accentuano. Dal punto di vista economico incrementa la varietà delle risorse naturali sfruttate dai gruppi mesolitici nelle pratiche di sussistenza; le attività di sostentamento si basano su una diversificazione della caccia a grandi e piccoli mammiferi, sulla raccolta di vegetali, sull'uccellagione, sulla raccolta di molluschi terrestri e marini e, infine, sulla pesca.

Le differenze riscontrate tra le industrie litiche di alcune località dell’Italia nord-orientale con presenza riferibili alla fase terminale dell’Epigravettiano finale, quali Andalo, Piancavallo e Biarzo e quelle della fase più antica del Mesolitico sono più a livello quantitativo che qualitativo. In base a ciò è stato possibile formulare l’ipotesi di una derivazione dei complessi sauveterriani dalle varie industrie epigravettiane locali. Le località italiane che presentano una successione stratigrafica con una frequentazione dell’Epigravettiano finale seguita da una frequentazione riferibile al Mesolitico antico sono relativamente poche. Tale situazione è documentata nel Riparo di Biarzo nella Valle del Natisone in Friuli, nell’insediamento all’aperto dell’Isola Santa nelle Alpi Apuane in Toscana, nella Grotta della Madonna di Praia a Mare in Calabria e nella Grotta della Serratura a Marina di Camerota in Campania.

Il riconoscimento nell’Italia settentrionale di complessi sauveterriani e castelnoviani, caratterizzanti il Mesolitico dell’Europa occidentale e meridionale, è la conseguenza degli scavi effettuati in diversi ripari sotto roccia della conca di Trento, quali Romagnano Loc III, Vatte di Zambana e Pradestel. Le serie stratigrafiche individuate nelle località citate hanno fornito una grande quantità di informazioni sull’inquadramento cronologico e sullo sviluppo culturale dei gruppi di cacciatori-raccoglitori dell’Olocene antico, al punto da divenire il riferimento di confronto più affidabile, tuttora valido, dell’evoluzione dei complessi mesolitici dell’Italia settentrionale.

Il Mesolitico dell’Italia settentrionale è caratterizzato da un periodo Sauveterriano, corrispondente cronologicamente alle fasi climatiche Preboreale e Boreale, e da un periodo Castelnoviano, corrispondente al momento iniziale della fase climatica Atlantica. Le informazioni ricavate dalle serie stratigrafiche dei ripari trentini consentono di suddividere ulteriormente, in base alla cronologia e alle caratteristiche tipologiche principali dell’industria litica, questi periodi nelle fasi seguenti:

a) fase sauveterriana antica, 7.950-7.400 a. C.; caratterizzata da armature triangolari di forma isoscele a tre lati ritoccati e da lamelle a dorso e troncatura.

b) fase sauveterriana media, 7.400-6.550 a. C.; caratterizzata dall’associazione di armature, quali segmenti di cerchio, triangoli e punte a due dorsi allungati.

c) fase sauveterriana recente, 6.550-6.200 a. C.; caratterizzata dall’incremento delle armature di forma triangolare tra le quali dominano gli scaleni.

d) fase sauveterriana finale, 6.200-5.800 a. C.; caratterizzata dalle armature triangolari di forma scalena allungata con tre lati ritoccati e dalle punte corte a base larga a due dorsi.

e) fase castelnoviana antica e media, 5.800-4.500 a. C.; caratterizzata dalla progressiva diminuzione delle armature sauveterriane a favore di quelle trapezoidali e delle lame denticolate.

f) fase castelnoviana finale, attorno al 4.500 a. C.; durante questa fase compaiono le prime ceramiche anche se l’industria litica continua a presentare una tradizione di tipo castelnoviano.

La fase più antica del Mesolitico dell’Italia settentrionale inizia cronologicamente con il Preboreale attorno all’8.000 anni a. C.; essa documenta degli importanti mutamenti che hanno interessato la cultura materiale e il modo di vita degli ultimi cacciatori-raccoglitori, dopo la fine del Tardiglaciale würmiano e del Paleolitico superiore. Uno dei cambiamenti più evidenti interessa la tecnica di scheggiatura e di produzione dei manufatti litici;  tale mutamento è, infatti, la conseguenza di nuove forme di sfruttamento della materia prima. Tra gli strumenti più caratteristici  si devono ricordare i bulini corti e massicci, vari tipi di grattatoi molto corti e i coltelli a dorso . Le armature , benché già utilizzate nell’Epigravettiano, vedono la diffusione di nuovi tipi, quali punte troncate, punte a dorso, dorsi e troncature, segmenti di cerchio e triangoli. La tecnica di produzione dei manufatti microlitici non risente della forma del supporto (lama o scheggia) da cui verrà ricavata l’armatura, mentre la regolarità della lama sarà fondamentale nella produzione delle armature trapezoidali castelnoviane.

Nei primi secoli del VI millennio a. C. alla tradizione sauveterriana segue quella castelnoviana, caratterizzata da significative modificazioni nella tecnologia e tipologia dell’industria litica. A partire dal Mesolitico recente si nota una modificazione dei prodotti della scheggiatura che si manifesta nell’incremento delle dimensioni dei manufatti e nella creazione di lame di forma regolare; la scelta di lame più regolari implica un controllo delle sezioni, ora trapezoidali, una sagoma più regolare, margini della lama paralleli. La produzione di lame di forma regolare è tecnologicamente legata inoltre ad una più accurata preparazione e diversa morfologia dei nuclei.
Le modificazioni nella tecnica di scheggiatura, riconosciute a partire dal Castelnoviano, si collegano a innovazioni tipologiche che interessano gli strumenti comuni, ma soprattutto alla comparsa e diffusione delle armature trapezoidali. La necessità quindi di lame regolari per la fabbricazione dei trapezi ha probabilmente determinato questa evoluzione delle tecniche di scheggiatura.

Tra gli strumenti si registra un forte incremento delle lame ritoccate, soprattutto lame a incavi e denticolate, incrementano inoltre le lame troncate e i grattatoi su supporto laminare. Nell’ambito delle armature diminuiscono progressivamente i tipi caratteristici del Sauveterriano (segmenti di cerchio, triangoli e punte a due dorsi), mentre si sviluppano notevolmente i trapezi.
La sequenza cronologica e le modificazioni culturali presentate sono considerate valide per tutte le aree del nord Italia che abbiano restituito testimonianze del Mesolitico: il Carso triestino, il Friuli, la valle dell’Adige, le Alpi Aurine e Sarentine, le Dolomiti, le Prealpi e Alpi lombarde, la Pianura Padana lombarda ed emiliana e, infine, l’Appennino tosco-emiliano. Anche nell’Italia centro-meridionale sono attestati complessi riferibili, al momento più antico del Mesolitico, sia lungo l’intero versante tirrenico (Toscana, Lazio e Campania) sia lungo quello adriatico (Marche, Abruzzo, Puglia); ulteriori presenze del Sauveterriano sono note anche in Sicilia, tuttavia i dati a disposizione sono in gran parte lacunosi e parziali e per tale motivo essi non permettono di definire eventuali suddivisioni più dettagliate dello sviluppo cronologico e culturale del Mesolitico peninsulare.

Un carattere che differenzia alcune regioni centro-meridionali e la Sicilia riguarda la contemporanea presenza di complessi sauveterriani con altri che trovano le loro radici nei locali aspetti dell’Epigravettiano finale; per questi complessi che continuano la cultura materiale e le tradizioni del tardo Paleolitico superiore durante l’Olocene antico è impiegato il termine di Epipaleolitico indifferenziato.

Un ulteriore complesso che si differenzia da quelli mesolitici di tradizione sauveterriana, presente soltanto in Liguria e nel Salento, è il Romanelliano. La sua posizione cronologica è tuttora controversa, poiché alcuni studiosi lo collocano ancora nel momento finale nel Tardiglaciale e quindi riferibile all’Epigravettiano finale, mentre altri lo attribuiscono già all’Olocene antico. Il Romanelliano sembra continuare anch’esso una tradizione culturale del tardo Paleolitico superiore.
Alcuni ricercatori interpretano la presenza di complessi di tradizione sauveterriana nell’Italia centro-meridionale quale risultato di un processo di diffusione da nord verso sud di questi gruppi del Mesolitico antico; la prova di questo movimento potrebbe essere identificata dalla presenza di un mutamento nell’industria litica, evidenziata dalla produzione delle armature geometriche. La persistenza nell’Italia peninsulare di gruppi mesolitici di tradizione sauveterriana e di gruppi continuatori della tradizione tardo-epigravettiana, quali i complessi dell’Epipaleolitico indifferenziato e del Romanelliano, confermerebbero quindi questa ipotesi.
Nelle regioni meridionali della penisola mancano quasi completamente evidenze archeologiche che attestino la presenza del Castelnoviano. Il Mesolitico recente a trapezi è infatti noto solo in due località della Basilicata, la Grotta n° 3 di Latronico e il Tuppo dei Sassi di Matera.

La vita quotidiana durante il Mesolitico

In tutte le regioni d’Europa la caccia ai mammiferi di media e grossa taglia continua a essere l’attività predominante, anche se tra le specie cacciate prevalgono quelle legate all’ambiente forestale come il cervo, il capriolo e il cinghiale. Ad esse si aggiungono l’uro e l’alce nell’Europa centro-settentrionale, lo stambecco e il camoscio nelle regioni montuose. I piccoli mammiferi quali conigli, tassi, lontre e castori, pur presenti, incidono in minor misura sulla dieta carnea.

La caccia, in base alle rappresentazioni di arte rupestre mesolitica del Levante spagnolo, doveva essere di tipo collettivo. Nella caccia era largamente impiegato l’arco, il cui uso è attestato dai numerosi ritrovamenti dell’Europa centro-settentrionale, dove le vaste distese di aree umide hanno consentito di recuperare diversi archi interi o frammentari e numerose frecce lignee. Le frecce erano costituite da un’asta di legno la cui estremità era dotata di una cuspide di selce fissata con mastice (resina mescolata con argilla) associata a uno o più denti laterali ricavati da armature geometriche (lamelle a dorso, segmenti di cerchio, triangoli o trapezi) inserite e fissate lungo una scanalatura; l’altra estremità era provvista di una cocca necessaria al bilanciamento dell’arma da getto. In alcune raffigurazioni rupestri gli arcieri sono riprodotti anche con il turcasso contenente le frecce.

La pesca fu largamente praticata nelle località prossime ai laghi, ai fiumi e lungo le coste dei mari. Un caso interessante è rappresentato dalla Grotta dell’Uzzo in Sicilia, dove i Mesolitici praticavano, assieme alla caccia ai mammiferi e alla raccolta dei molluschi, la pesca di grossi pesci dei fondali rocciosi, come la cernia di scoglio, la cernia nera, il dentice, l’orata e la murena. Come è stato esposto in precedenza, la pratica della pesca è documentata in due grotte del Friuli-Venezia Giulia, ma secondo due modi di sfruttamento diversificati: nel caso del Riparo di Biarzo, vista anche la localizzazione in area pedemontana, i pesci catturati sono specie di fiume, quali trote, temoli e delle varietà di ciprinidi; nel caso della Grotta Azzurra, situata nell’area carsica, l’incidenza delle specie d’acqua dolce (luccio, scardola, carpa e naso) o salata (orata) è in relazione all’avvicinamento della linea di costa conseguente all’innalzamento del mare Adriatico.
Resti di piroghe sono stati rinvenuti nei depositi di torba dell’Europa settentrionale; tali scoperte confermerebbero che i corsi d’acqua dovettero costituire le principali vie di comunicazione durante il Mesolitico.

La raccolta di molluschi marini o terrestri è documentata in molti insediamenti mesolitici. In particolare, molte località costiere europee presentano grandi depositi di conchiglie che hanno portato alla formazione di cumuli detti chiocciolai. La raccolta è pure orientata verso i vegetali; alcuni depositi mesolitici, infatti, hanno restituito nocciole, noci e altri frutti spontanei come castagne d’acqua, mirtilli e fragole. In alcuni depositi sono documentate anche la raccolta delle uova e la caccia alle tartarughe palustri. Una scena dipinta dell’arte mesolitica del Levante spagnolo riproduce la raccolta del miele. Questi ritrovamenti rimangono in ogni caso rari, perciò è ancora difficile definire l’incidenza reale della raccolta nell’economia mesolitica, anche se essa risulta sicuramente molto più importante di quanto non lo fosse nel precedente Paleolitico superiore.

La materia prima usata prevalentemente nella produzione dei manufatti litici è la selce; a questa vanno aggiunti il quarzo ialino (cristallo di rocca), la ftanite e il diaspro. Il cristallo di rocca già usato durante l’Epigravettiano trova una distribuzione alle aree dove manca la selce di buona qualità, come ad esempio nelle Alpi Aurine, in alcune zone delle Dolomiti e nell’Alpe Veglia nel Piemonte. La ftanite e il diaspro sono utilizzati nella zona appenninica in sostituzione della selce.

Gli abitati mesolitici sono costituiti in prevalenza da una struttura isolata, raramente da due o tre. Nell’Europa centro-settentrionale gli insediamenti, in prossimità di laghi o fiumi, venivano posti su suoli sabbiosi, più asciutti, nel caso di abitati situati in ambienti umidi, i cui resti sono ora sepolti in depositi limosi o torbosi, sono documentate piattaforme e pavimentazioni lignee e allineamenti di pali interpretati come strutture di sostegno di tende o capanne. Nell’Europa meridionale sono frequenti gli abitati in ripari sotto roccia.

Le numerose ricerche svolte nel versante meridionale delle Alpi, e in particolare nel Bacino dell'Adige, hanno consentito di ricostruire un ipotetico modello di sfruttamento del territorio in cui si muovevano i gruppi di cacciatori-raccoglitori mesolitici. Dai ripari sotto roccia posti nel fondovalle a quote di circa 200 metri s.l.m. dove i gruppi mesolitici risiedevano durante i mesi invernali e primaverili, le bande di cacciatori risalivano nei mesi estivi fino al limite del bosco e della prateria alpina a quote comprese tra 1900 e 2300 metri s.l.m. La sussistenza degli accampamenti di fondovalle era diversificata in quanto si basava sulla caccia a prede di piccola e grande taglia, sulla raccolta di molluschi terrestri, sulla pesca e l’uccellagione, mentre quella dei campi stagionali in montagna era fondata prevalentemente sulla caccia allo stambecco nelle praterie alpine o al cervo nei boschi sottostanti.

Gli insediamenti situati in montagna possono essere suddivisi tra campi residenziali, posti al di sotto di pareti aggettanti di grandi massi erratici o su piccoli dossi in prossimità dei laghetti alpini, e bivacchi di caccia, collocati su alture e in posizione dominante in prossimità di pozze d’acqua e passaggi obbligati. Le industrie litiche rinvenute nei due tipi di insediamenti montani si differenziano in relazione alle pratiche svolte nel sito: i campi residenziali presentano associazioni di strumenti e armature simili a quelle degli abitati di fondovalle, mentre nei bivacchi di caccia gli strumenti sono sempre molto rari al contrario delle armature che sono invece numerosissime.

Le dimensioni e le caratteristiche degli abitati suggeriscono che durante il Mesolitico le comunità di cacciatori-raccoglitori fossero organizzate in gruppi relativamente poco numerosi, dotati di grande mobilità all’interno di territori definiti.

Sepolture e spiritualità

La spiritualità nel Mesolitico è documentata, come nel precedente Paleolitico superiore, dall’esistenza di sepolture isolate o riunite in necropoli.
I rituali funebri sono sostanzialmente omogenei; si tratta di sepolture singole, bisome (spesso di un adulto con un bambino) e in alcuni casi anche trisome (maschio, femmina e bambino). Il cadavere è deposto in una fossa semplice scavata nel terreno, talora circondata da corna di cervo, da lastre di pietra o ricoperta da un cumulo di pietre. Spesso è stata usata l’ocra rossa e il corredo funerario che accompagna il defunto è costituito da oggetti di ornamento, strumenti di selce o d’osso e da altri oggetti di uso quotidiano.

Le sepolture mesolitiche note dell’Italia settentrionale sono tre: due sepolture d’età sauveterriana, rispettivamente una donna a Borgonuovo di Mezzocorona presso Trento (i resti sono in corso di studio) e una seconda donna di cinquanta anni nel Riparo di Vatte di Zambana nella valle dell’Adige, e una sepoltura d’età castelnoviana, un adulto maschio di circa quarant’anni, datato a 7.425±55 anni dal presente, nella località di Mondeval de Sora in Val Fiorentina nelle Dolomiti.
Nel Riparo di Mondeval a 2.150 metri di quota l’individuo maschio fu deposto supino in una fossa ricoperta da pietre, il corpo era probabilmente avvolto in un sudario di pelle fissato da punteruoli d’osso, il corredo composto da oggetti d’uso e di prestigio era deposto in sacche di materia organica. Tra i sessanta elementi di corredo rinvenuti erano presenti anche due blocchi di materia vegetale compatta che le successive analisi hanno riconosciuto essere rispettivamente propoli (sostanza resinosa adoperata dalle api per rivestire le arnie) e resina quasi pura, di pino silvestre e abete rosso.

L’arte mesolitica

Scomparsa la grande arte naturalistica del Paleolitico superiore, la produzione artistica durante il Mesolitico risulta assai scarsa. Tra le opere d’arte mobiliare compaiono ossa incise, generalmente con motivi geometrici, e qualche rara figurina femminile, come ad esempio quella, ricavata da un corno di cervo, rinvenuta nel Riparo Gaban in Trentino, la cui datazione, riferita genericamente al Mesolitico, risulta però difficile a causa del contesto di rinvenimento.

È generalmente attribuita al Mesolitico l’arte pittorica che appare documentata in moltissimi ripari sotto roccia del Levante spagnolo, nel tratto di costa compreso tra Barcellona e Madrid. Si tratta di pitture monocrome in rosso, raramente in nero, a tinta piena. Sono riprodotte complesse scene di caccia, di combattimento, di vita familiare; le figure animali sono riprodotte con stile naturalistico a differenza di quelle umane che risultano invece stilizzate. Queste figure non sono mai in posizione statica. Le figure umane sono riprodotte in modo da evidenziare alcuni particolari dell’acconciatura o dell’abbigliamento, quali la pettinatura, gli ornamenti piumati della testa o i copricapi con corna di animali; a volte sono indicate anche le vesti, lunghe gonne a campana per le donne e pantaloni lunghi fino al ginocchio per gli uomini.

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