PREMESSA:
Nel 1250, due mercanti veneziani, i fratelli Matteo e Niccolò Polo, si trovavano a Costantinopoli per affari e, per allargare la loro rete di traffici commerciali, si spinsero nell’Estremo Oriente, da dove rientrarono nel 1269, per conto di Cubilai Khan, sovrano di tutti i Tartari, il quale aveva loro affidato una lettera, con la quale si chiedeva al pontefice di inviargli dell’olio benedetto e dei sapienti che potessero istruire il suo popolo. Due anni dopo, i due nobili, accompagnati da Marco, figlio diciassettenne di Niccolò, fecero ritorno dal Gran Khan, senza i domenicani inviati da Gregorio X, che ben presto abbandonarono la loro missione, per timore dei Saraceni. Nel 1275, la comitiva giunse alla corte tartara di Shagdu. Da quel momento, Marco divenne uomo di fiducia del sovrano, che gli affidò ben presto missioni e ambascerie in tutto l’impero mongolo. La permanenza dei veneziani durò ben ventisei anni, durante i quali il Gran Khan non concesse mai loro di tornare in occidente. Ma alla fine fu loro permesso il tanto sospirato rimpatrio e nel 1295 rimisero piede nella loro città natale. Tre anni dopo, Marco, durante la guerra fra Venezia e Genova, fu fatto prigioniero e negli anni di carcere raccontò al suo compagno di cella tutte le sue peregrinazioni, che furono raccolte ne “Il Milione”.
BAGHDAD:
La grande Baudac, un tempo sede del califfato più potente del mondo, è famosa per la raffinatezza della lavorazione di tappeti, arazzi e drapperie. All’epoca in cui i Tartari cominciarono le loro conquiste, uno dei maggiori capi, Alau, decise di conquistarla e, dopo averla facilmente espugnata, trovò il tesoro del califfo. Allora per punirlo di aver accumulato tante ricchezze e non aver difeso adeguatamente la sua città, rinchiusolo in una torre senza cibarie, gli disse: “Visto che hai dimostrato tanta avidità, ora ti potrai cibare dell’oro che tanto hai amato”. Marco ascoltò una volta un miracolo avvenuto in quelle regioni: nel 1225 governava un califfo che, per eliminare definitivamente i cristiani, mise alla prova la loro fede: se la loro convinzione nei dogmi cristiani non avesse spostato una montagna entro dieci giorni, essi o si sarebbero convertiti all’Islam o sarebbero stati giustiziati. Per giorni i fedeli pregarono, finché un angelo non suggerì loro di rivolgersi ad un calzolaio talmente devoto che una volta si era cavato un occhio poiché era stato per lui oggetto di scandalo. La mattinata del decimo giorno, il devoto si presentò di fronte all’altura, cominciò a pregare e la vetta si spostò: a questa vista il califfo ed il seguito si convertirono immediatamente.
IRAN:
Fra le città della Persia, spicca Galasaca, poiché da lì partirono i re Magi per recarsi ad adorare Gesù Cristo. Una vota recati i doni, il bimbo consegnò loro un bossolo. Nel ritorno essi lo aprirono e vi trovarono una pietra: il bambino li esortava ad essere saldi nella fede così come era la pietra, ma essi, non comprendendo, la gettarono in un pozzo e subito dal cielo cadde un fuoco che tuttora. Un’altra nota relativa a questa regione è il clima caldissimo, che può anche provocare malesseri mortali ai forestieri. Il caldo soffocante viene inoltre aumentato da vento infuocato, che brucia ogni cosa incontri. Si dice che il sultano di Crema un tempo abbia mandato delle guarnigioni per ottenere il pagamento di debiti da parte di un sovrano di un reame lì vicino: quando i soldati si accamparono la notte, morirono tutti soffocati dalla tempesta infuocata che si abbattè su di loro. Curioso è anche un aneddoto sulla gente di quei luoghi, di indole irascibile e rissosa: si narra che il re di Crema volesse sapere perché nel suo borgo la gente era pacifica e nelle altre contrade no. Gli venne risposto che ciò era dovuto alla terra; così fece portare da quei paesi dei sacchi pieni di terriccio e lo dispose sulle strade: le persone che vi passavano, cominciavano subito a dimenarsi e a malmenarsi.
AFGHANISTAN:
A cinque giornate di viaggio si trova la città di Samarcanda: quando fu il sovrano Gigatta, fratello di Cubilai, si convertì al Cristianesimo fu eretto un tempio le cui colonne poggiavano su un masso sottratto con il beneplacito del re da una moschea; ma quando il sovrano morì, salì al trono il figlio, islamico, il quale pretese la restituzione del masso. I cristiani non sapevano cosa fare, ma al mattino seguente videro che la colonna era sollevata di quattro palmi: l’evento fu interpretato come un miracolo e la pietra è ancora lì. All’estremo limite del deserto, si incontra Camul, i cui abitanti si distinguono per la disinvolta ospitalità. Infatti, pur di dimostrare all’ospite quanto è ben accetto, gli consentono di servirsi liberamente di tutto ciò di cui dispongono. Affinché l’ospite si senta a proprio agio, gli lasciano la casa, la servitù e addirittura la propria moglie, poiché secondo loro questo comportamento favorisce la benevolenza degli dei.
LA MONGOLIA E LA CORTE DEL GRAN KHAN:
Dopo dieci giornate di cammino, si giunge a Caracom, che a suo tempo costituì la prima dimora del khan dei Tartari. Queste genti in origine erano liberi ed erano sottomessi solo all’autorità di un sovrano detto “Prete Gianni”, il quale, dopo alcuni anni di regno, decise decimare i suoi sudditi con dei pretesti bellici. Quando i Tartari compresero il senso di queste spedizioni punitive, si addolorarono e, dirigendosi a tramontana, nel 1187 elessero loro capo Gengis Khan e tutti i Tartari si radunarono intorno a lui perché li guidasse. Egli allora cominciò ad invadere nuove terre. Nel 1200 egli inviò dei messi dal Prete Gianni per chiedere la mano di sua figlia, ma questi gli mosse guerra, ritenendosi sicuro dell’esito, ma perse clamorosamente e Gengis prese il suo posto, regnando per altri sei anni.
Gran Khan Cubilai significa “Signore dei Signori”. Discendente diretto del grande Gengis salì al trono all’età di ventisette anni e regna tuttora. Durante il suo regno fu costretto a dar battaglia solo una volta a causa della ribellione di due sue province. Camblau è la capitale in cui il sovrano risiede nei mesi invernali, in un palazzo circondato da due serie di mura, protette a loro volta da un fossato colmo d’acqua che scorre tutto all’intorno. A tramontana attraverso un ponte si giunge, ad un’altura, detta il “Monte verde”, perché il terreno è formato da scorie di lapislazzuli, dalla tipica colorazione verdastra. Inoltre è completamente rivestita di alberi sempreverdi, trai più rari ed esotici della terra.
Nel mese di marzo, Cubilai si reca verso l’Oceano, accompagnato da una grande compagnia di astori e falconi educati alla caccia, praticata secondo regole precise. A Tarcamodu si stabiliscono il khan e il seguito. Il padiglione reale è il più imponente, essendo formato da tre locali: il primo dove stanno mille cavalieri, uno con gli ospiti e la dimora del sovrano, rivestita da pelli di ermellino e di zibellino ricucite secondo il disegno. I principali collaboratori del Gran Khan sono i dodici baroni, che costituiscono la corte maggiore, detta “thai”, e rispondono delle loro azioni solo davanti al re. Un secondo gruppo di dodici funzionari compone la seconda corte maggiore, detta “sigh”, di poteri inferiori. Da notare inoltre sotto il regno di Cubilai la nascita della prima forma di previdenza sociale: prima dell’accoglimento delle leggi civili, i Tartari solevano scacciare mendicanti e sfortunati. Ma poi questo uso cessò di esistere e lo stesso sovrano interviene in prima persona a soccorrere il popolo del cielo. Infatti chiunque si rechi alla corte imperiale chiedendo pane verrà accontentato. Dal punto di vista religioso i Tartari adorano una divinità celeste ed una terrena Natigai. Ritengono l’anima umana immortale, ma confidano nelle purificazioni della metempsicosi.
TIBET:
Il Tibet comprende ben otto reami e una grande quantità di città e castelli. L’oro è abbondante e vi si tessono coperte di pelo di cammello e drappi d’oro e di seta. La produzione di spezie ricercatissime in Europa è estremamente fiorente e si riscontra la presenza di astrologi e maghi che operano magie diaboliche. Prima di proseguire bisogna parlare della battaglia combattuta fra l’esercito del khan e quello dei re di Mien e di Bangala, nei pressi della città di Vociam. Nel 1272 il Gran Khan inviò dodicimila truppe per difendere il regno di Vociam dalle incursioni barbare. I re di Mien e di Bangala temendo che il khan volesse oltrepassare i confini del suo regno, predisposero un’armata di sessantamila cavalieri più gli elefanti. Al mattino cominciò la battaglia, ma subito le truppe del khan furono in svantaggio, perché i cavalli atterriti dalla vista dei pachidermi puntarono i piedi, allora il generale ordinò ai cavalieri di scendere da cavallo e di cominciare a dardeggiare: subito gli elefanti feriti tornarono verso l’esercito provocando gravi danni alle truppe di Mien. Ciò rianimò i cavalieri che intrapresero la battaglia,cruenta e durissima, che terminò con la vittoria dei soldati di Cubilai.
IL MANGI E QUISAI:
Il Mangi costituiva un enorme regno, secondo per ricchezza e territori solo al Gran Khan. Ma accadde che Cubilai desiderasse assoggettare la provincia, così inviò il suo esercito, con a capo un barone, Baia Cent’Occhi, il quale in principio pensò di conquistare solo una città e di uccidere tutti gli abitanti, come avvertimento, ma poiché gli effetti non furono quelli sperati, egli continuò il suo piano di conquista finché giunse alla capitale Quisai, dove si accorse che il re Fanfur era fuggito. Il nome Quisai significa “città del cielo”, forse poiché non esiste un altro borgo dotato di un simile splendore. La città sembra vivere in una perenne festa, specie nella zona adiacente al lago artificiale. Questo specchio d’acqua presenta due isole, su ciascuna delle quali sorge un palazzo pari a quello di un imperatore, inoltre è sempre in funzione un servizio di natanti: i tipici barconi possono ospitare fino a venti persone che si ristorano sotto coperta mentre dalle finestre scorre l’amena veduta del lago. Il palazzo del sovrano è diviso in tre parti: la parte centrale, abitazione vera e propria del sovrano, a cui si accede tramite una grande porta che introduce ad un soffitto che si appoggia su colonne dipinte in oro e azzurro. Oltre al loggiato, vi sono dieci corti rettangolari, dove dimoravano le mille concubine del sovrano.
INDOCINA E INDONESIA:
Navigando verso ponente si trova la regione di Ciamba, i cui abitanti, idolatri, obbediscono ad un proprio re che ogni anno paga un tributo al Gran Khan, formato da venti elefanti e una certa quantità di legno di aloe. L’isola di Giava, terra che produce spezie pregiate in gran quantità. La lontananza dall’impero tartaro ha fatto sì che Cubilai non nutrisse alcuna mira di conquista su di essa. L’isola di Sumatra viene definita “piccola Giava”, ma sulla sua superficie, trovano posto ben sette reami, fra cui quello di Lambri, pianta pregiata dalla quale di estrae l’ebano, e quello di Fansur la cui canfora prodotta è di tale qualità che viene venduta a peso d’oro.
INDIA:
Dopo sessanta miglia di navigazione si giunge nella provincia di Maabar, governata da cinque fratelli carnali. La regione di Var è costituita dai fondali più ricchi di perle del mondo. La vera e propria pesca delle conchiglie perlifere inizia ad aprile e termina a maggio, al termine del quale viene pagato il tributo di un decimo del pescato al sovrano. Bisogna inoltre riportare una curiosa usanza, legata all’accusa di omicidio: il colpevole innanzitutto confessa la sua colpa, poi decide di sacrificare la sua vita agli dei. A questo punto egli, attorniato dai parenti, si pone sopra un carretto che sfila per le strade del centro, poi prende dodici coltelli e comincia ad infilarseli nel corpo, finché non esalerà l’ultimo respiro. La giustizia è applicata in modo equo e rigoroso: secondo la legge se una persona deve dei soldi e non estingue entro il termine il suo debito, il creditore potrà disegnarli intorno un cerchio dal quale non si potrà muovere fino alla sanatura del prestito. A Marco Polo accadde di tornare a cavallo alla sua abitazione e di scorgere il re posto all’interno di un cerchio, disegnato da un suo suddito.
REGNI MONGOLI DI IRAN E PAKISTAN:
Le terre di Abaga, sovrano dei Tartari d’Oriente, confinano con quelle di Khaidu, il quale con un pretesto, nutrendo delle mire espansionistiche, fece scoppiare la guerra. Abaga mandò i suoi uomini al comando di suo figlio Argon, il quale ad avere la meglio. Ma nel frattempo suo padre Abaga era morto e suo fratello Achmat usurpò il nipote nella successione al trono e si proclamò sovrano. Dopo qualche tempo Argon tornò e lo spodestatore decise di affrontarlo per eliminare una volta per tutte il suo rivale. La guerra fu estremamente combattuta e sanguinosa, ma alla fine lo zio riuscì a catturare Argon. Così sconfitto il nemico, lo zio se ne tornò a palazzo. Ma improvvisamente le truppe compresero di aver sbagliato nel sottomettersi all’usurpatore e liberarono il figlio di Abaga: a questo punto Argon tornò alla testa di un enorme esercito, catturò lo zio e lo condannò. Nel frattempo vi erano dei territori da presidiare, poiché insicuri, e Argon inviò tremila soldati e suo figlio Chazan, ma nel frattempo Argon era stato avvelenato dopo sei anni di regno e il fratello Chiacatu si impadronì del suo trono, ma questi decise di rinviare la sua vendetta di due anni, poiché vi erano affari ben più gravi. Ma presto il sovrano morì e successe al trono il figlio di questi Baidu, che decise di eliminare Chazan. Ma nella grande battaglia finale, Chazan riuscì a vincere la battaglia e a insediarsi al trono dove si trova ancora oggi.
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