La rivoluzione neolitica
Il Neolitico segna un nuovo stadio culturale della storia dell’umanità che grazie all’adozione dell’agricoltura e dell’allevamento muta in modo radicale il proprio sistema di sussistenza. Durante questa tappa, nel corso della quale l’uomo ha imparato a produrre il proprio cibo, si verifica un fenomeno generale e irreversibile che ha consentito di nutrire nel corso di diversi millenni la quasi totalità della popolazione mondiale e ne ha favorito il suo incremento demografico.
Il termine Neolitico, indicante la recente età della pietra, fu coniato nel 1865 dal naturalista e archeologo inglese J. Lubbock.
Lo studioso inglese introdusse questo termine nella sua suddivisione lineare di tipo evoluzionista della preistoria europea; il Neolitico indicava l’età della pietra levigata posteriore al Paleolitico e anteriore all’età del Bronzo. I termini Mesolitico, età del Rame, Calcolitico o Eneolitico furono introdotti più tardi verso la fine dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento.
Il significato di Neolitico si è modificato nel corso dello scorso secolo fino a inglobare tutta una serie di fenomeni articolati e complessi che videro profondi mutamenti non solo negli aspetti tecnologici delle comunità preistoriche, ma anche negli aspetti economici, sociali ed ideologici.
Fu a partire dagli anni trenta dello scorso secolo che anche gli studiosi di preistoria iniziarono a occuparsi delle origini dell’agricoltura e dell’allevamento.
La figura più significativa di questo periodo fu l’archeologo australiano Gordon Childe. Egli, influenzato dal pensiero dell’antropologo americano Lewis Henry Morgan e dalla dialettica marxista, ritenne che l’origine e lo sviluppo della civiltà si fondasse su due grandi rivoluzioni di carattere economico e sociale: la rivoluzione agricola e la rivoluzione urbana. Con la prima, l’uomo, attraverso la domesticazione delle piante e degli animali, diventava produttore dei mezzi di sussistenza e acquisiva la possibilità di accumulare surplus che, a sua volta, determinava cambiamenti nei rapporti di produzione.
La stratificazione sociale, la specializzazione del lavoro e l’accumulazione di beni da parte di un ceto dominante ponevano le condizioni della successiva rivoluzione urbana.
Nell’interpretazione di Childe il passaggio al sistema economico agricolo fu indotto dai cambiamenti climatici che, con la fine della glaciazione, misero fine al periodo pleistocenico, determinando, durante l’inizio dell’Olocene, una maggiore aridità nei territori del Vicino Oriente. Il progressivo inaridimento spinse i gruppi umani che vivevano in queste regioni, le piante e gli animali potenzialmente domesticabili in poche aree umide situate in prossimità di oasi e fiumi. Questa contiguità ecologica determinò lo sviluppo delle prime forme di agricoltura e allevamento. Ora quasi tutti gli elementi essenziali del modello di Childe sono stati oggetto di critica; resta il fatto che ci si continua a misurare con la sua visione di ampio respiro culturale, poiché egli non si limitò a stabilire delle semplici cronologie e successioni climatiche o a descrivere collezioni di strumenti, ma ebbe la grande capacità di utilizzare tutti i dati allora a disposizione al fine di definire un quadro complessivo del passato preistorico europeo.
In base ai numerosi studi e ricerche svolti durante la seconda metà dello scorso secolo si può affermare che il processo di neolitizzazione non si trattò né di un fenomeno semplice e lineare né di un fenomeno improvviso che si realizzò in pochi decenni, ma ci vollero alcuni secoli prima che la rivoluzione neolitica potesse radicarsi nel Vicino Oriente e quindi affermarsi nel corso di alcuni millenni in tutti i territori europei.
Gli elementi più importanti della neolitizzazione, oltre all’addomesticamento delle piante e degli animali, sono la formazione di insediamenti stanziali in alcuni casi anche di notevoli dimensioni, la produzione di oggetti in pietra levigata, la fabbricazione di vasi ceramici, lo scambio di materie prime e di manufatti anche su lunghe distanze e, infine, un nuovo sistema ideologico e religioso.
I più evidenti indicatori materiali dell’avvenuta neolitizzazione dei gruppi umani sono la presenza di strumenti in pietra levigata e di recipienti ceramici, ma questi manufatti, pur importanti, non sono ritenuti essere gli unici indicatori del passaggio al Neolitico, poiché oggi si può parlare di effettiva neolitizzazione solo quando sono documentate determinate pratiche economiche.
I nuovi sistemi di sussistenza, basati sulla coltivazione dei cereali e delle leguminose e sull’allevamento di alcune specie di animali, fornirono la prima vera indipendenza alimentare all’uomo preistorico. La conseguenza diretta di tale mutamento nelle pratiche di sussistenza fu un’alterazione irreversibile dell’equilibrio nel rapporto uomo-ambiente.
L’influenza umana fu tale che alcune specie vegetali e animali uscirono profondamente modificate nella loro morfologia; questo cambiamento determinò metaforicamente l’uscita dal giardino dell’Eden della caccia e raccolta e implicò "la condanna a lavorare la terra con il sudore della fronte".
Le piante coltivate nel Neolitico
Lo studio dell’origine dell’agricoltura nelle diverse regioni del mondo si fonda naturalmente sulla documentazione archeologica costituita da tutti quei resti della cultura materiale che consentono di ricostruire la tecnologia, i modi di insediamento e i sistemi sociali di quelle comunità che adottarono il nuovo modo di vita basato sulla coltivazione delle piante.
Un ruolo assolutamente centrale in questo tipo di ricerca sulla nascita dell’agricoltura è costituito dall’esame dei resti botanici.
Gli studi botanici hanno individuato un numero elevato di piante coltivate nelle varie parti del mondo che, nel complesso, ammontano a circa 300. Nei vari sistemi agricoli noti però ci si è concentrati su un numero relativamente ridotto di piante più produttive e in grado di assicurare una resa maggiore rispetto all’investimento energetico necessario a coltivarle.
Vi sono due tipi fondamentali di attività agricole legate alla sussistenza: un’agricoltura basata sui cereali, come grano, orzo, riso o miglio e un’agricoltura basata su radici e tuberi, come patata, taro o manioca.
Diverse sono nei due casi le tecniche agricole, come differente è il potenziale alimentare, giacché le radici e i tuberi forniscono un supporto alimentare piuttosto basso che necessita di una integrazione dietetica notevole.
Le piante che hanno riscosso il maggior successo sono state però i cereali, poiché essi hanno numerose virtù: crescono in fretta, sono molto produttivi e sono ricchi di carboidrati necessari a una buona alimentazione. Per tali motivi, al giorno d’oggi, più delle metà delle calorie consumate nel mondo proviene dai cereali, in particolare dalle cinque specie principali: grano, mais, riso, orzo e sorgo.
L’agricoltura degli ultimi decenni ha visto, inoltre, un’accelerazione senza limiti dello sviluppo di queste poche specie o di alcune di esse in particolare (monocoltura) a sfavore delle forme più primitive di agricoltura di sussistenza basate su una diversificazione dei prodotti coltivati e maggiormente integrate nell’ambiente.
I cereali da soli sono alimenti relativamente poveri che hanno bisogno di essere integrati dagli elementi nutritivi di altre piante. Nelle varie aree di origine dell’agricoltura, il successo dei sistemi di sussistenza fu la conseguenza sia delle alte rese di alcune piante di importanza centrale (cereali), sia della presenza di altre piante meno importanti (leguminose), ma in grado di compensare le carenze dietetiche delle prime.
A tale proposito, un alimentazione basata su cereali e legumi fornisce quasi tutti gli ingredienti di una dieta bilanciata. La conoscenza di questa relazione cereali-legumi è nota sin dalle prime sperimentazioni agricole del Vicino Oriente ( ).
La coltivazione dei cereali, che ha avuto origine nelle parti del mondo aride a latitudini tropicali o subtropicali, riguarda generalmente poche specie altamente produttive. I semi duri dei cereali possono essere immagazzinati per lunghi periodi senza perdere il valore nutritivo o la capacità di germogliare.
L’adozione di un’agricoltura basata su cereali dovette implicare delle trasformazioni notevoli della struttura genetica delle piante.
Le forme domestiche dei cereali si distinguono facilmente dalle varietà selvatiche innanzi tutto per i chicchi più grandi e rotondi, ma soprattutto per il sistema di riproduzione non spontaneo. Le graminacee selvatiche hanno infatti delle spighe fragili che rendono facile la propagazione spontanea dei chicchi attraverso la dispersione.
Il punto di partenza della selezione operata dall’uomo è stata la raccolta delle piante con le spighe meno fragili ancora piene di chicchi; in questo modo il primo agricoltore ha favorito un carattere patologico della pianta, rendendo le piante totalmente dipendenti dalla semina artificiale.
I cereali più importanti per lo sviluppo dell’agricoltura neolitica del Vicino Oriente e dell’Europa furono l’orzo (Hordeum disticum e Hordeum vulgare), il farro piccolo (Triticum monococcum), il farro grande (Triticum dicoccum) e i cosiddetti frumenti nudi, come il frumento tenero, il frumento duro e simili (Triticum aestivum, Triticum durum, Triticum turgidum ) ( – lett. A e B -).
Al fine di ottenere una dieta ben equilibrata, l’alto valore nutritivo dei cereali deve essere integrato con cibi che forniscono un alto apporto di proteine vegetali o animali. I legumi costituiscono quindi la migliore integrazione alle graminacee, poiché sono una delle maggiori fonti esistenti di proteine vegetali e hanno aminoacidi complementari a quelli dei cereali.
Anche nel caso delle leguminose la domesticazione porta a una mutazione genetica che determina due cambiamenti fondamentali nella vita della pianta: la riduzione del tempo di dormienza dei semi e la perdita delle capacità dei baccelli di aprirsi spontaneamente per disperdere i semi.
Le più importanti leguminose addomesticate sin dal Neolitico antico sono la lenticchia (Lens culinaris), il pisello (Pisum sativum), la veccia (Vicia sativa) e il favino (Vicia faba minor).
Occasionalmente nei siti neolitici sono state rinvenute due tipi di piante oleose: il papavero e il lino. La coltivazione del papavero (Papaver somnifer) può aver fornito un’importante fonte di olio, anche se non è da escludere la possibilità della produzione di oppio, mentre il lino (Linum usitatissimum) è stato coltivato per la produzione di fibre, utili alla produzione di tessuti.
La domesticazione degli animali nel Neolitico
L’Asia occidentale, oltre ad essere uno dei più importanti centri d’origine delle prime forme di domesticazione di alcune specie vegetali divenute la base della nostra alimentazione quotidiana, è la regione dove erano presenti allo stato selvatico alcune specie animali che risultarono facilmente domesticabili dall’uomo.
La domesticazione di alcune specie, quali la pecora selvatica (Ovis orientalis), la capra selvatica (Capra aegagrus), il cinghiale (Sus scrofa) e l’uro (Bos primigenius), può essere spiegata con la necessità di disporre di una riserva costante e controllabile di nutrimento in forma di proteine animali.
L’intervento dell’uomo tuttavia non si limita ad un generico controllo degli animali in spazi chiusi, poiché le prime forme di interazione con gli animali implicano:
- la cattura e l’addomesticamento di quelle specie che presentano caratteristiche particolari di comportamento;
- l’allontanamento dal loro ambiente naturale e dal gruppo d’origine;
- il controllo della loro riproduzione per assicurare un vantaggio economico.
Gli animali selvatici sottoposti nel tempo a tali pratiche subiscono delle modificazioni morfologiche che portano alla creazione di nuove forme. Le specie che si sono adattate alle pratiche di addomesticamento si differenziano perciò notevolmente nei caratteri fisici dai loro predecessori selvatici.
Una delle modificazioni più evidente conseguenti all’addomesticazione è la riduzione delle dimensioni della taglia dell’animale che è spesso però associata al mutamento del colore del pelo, alla quantità di grasso prodotto e a una generale riduzione delle strutture di offesa (corna, zanne).
Recenti studi hanno messo in evidenza come delle 148 specie selvatiche potenzialmente addomesticabili nel mondo, solo 14 sono state realmente addomesticate dall’uomo. Questo processo ha avuto luogo infatti solo nei casi in cui le specie selvatiche presentavano caratteristiche favorevoli alla cattività quali la scarsa aggressività, un certo grado di adattabilità al cibo, la disponibilità a nutrirsi anche di rifiuti umani, una territorialità non particolarmente rigida, il fatto di essere animali gregari e quindi sociali con una forte organizzazione gerarchica del gruppo.
Il primo animale a essere addomesticato è il cane che compare in numerose località del Vicino Oriente e dell’Europa forse sin dal Paleolitico superiore, ma sicuramente dal Mesolitico.
La pecora fu addomesticata nell’Asia occidentale nel corso del XI millennio da oggi; la pecora selvatica (Ovis orientalis) vive in Anatolia, Tibet e Mongolia. Nel caso della capra, addomesticata per la prima volta nell’Iran e in Anatolia tra X e IX millennio dal presente, le prime forme allevate non dovevano essere molto diverse dalla specie selvatica (Capra aegagrus).
Sebbene vi siano evidenti indicazioni di una precoce addomesticazione delle pecore rispetto alle capre, è noto che, almeno nelle prime fasi di allevamento, le capre erano usate più comunemente delle pecore come fonte di carne. Inoltre, le capre, poiché brucano nelle macchie spinose, completano spesso dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse disponibili un gregge di pecore che di solito necessita invece di ampie distese erbose. Pecore e capre furono importate in Europa forse già nel IX millennio dal presente.
I maiali domestici discendono tutti dal cinghiale selvatico (Sus scrofa) che è ancora relativamente comune in molti paesi d’Europa, Asia e Africa settentrionale. Le prime forme di addomesticamento di questo animale nel Vicino Oriente va ricercata nell’Anatolia e nella Palestina attorno al X millennio dal presente. Durante il processo di neolitizzazione dell’Europa, i maiali e i bovini acquisirono un ruolo molto più importante rispetto a capre e pecore.
Il favore di questi animali rispetto agli ovi-caprini è sicuramente dovuto alle caratteristiche del territorio europeo al tempo fittamente ricoperto da foreste, dove peraltro il cinghiale e il bue selvatico erano già presenti e costituivano preda dei cacciatori mesolitici. A conseguenza di ciò non si può escludere che l’addomesticazione del maiale si sia verificata più volte in momenti ed in aree diverse del continente europeo e quindi non sia un semplice risultato della diffusione dal Vicino Oriente come nel caso delle pecore e delle capre.
Tutti i bovini domestici, tranne quelli dell’Asia sud-orientale, discendono da una sola specie selvatica, l’uro (Bos primigenius); questo animale, ormai estinto, era diffuso dappertutto e ben adattato ai vari ambienti del tardo Pleistocene e del primo Olocene.
I primi bovini domestici sono attestati in Anatolia nel IX millennio dal presente e in un momento successivo nell’Europa sud-orientale. L’ampia diffusione del bue selvatico nei territori forestali dell’Europa non esclude la possibilità, come nel caso del maiale di una sua addomesticazione indipendente in queste regioni.
Altri animali domestici, come il cavallo, l’asino, il cammello, il dromedario, il bufalo, il bue gibboso, il pollame e il gatto, furono addomesticati in regioni diverse dell’Euroasia in momenti differenti ma, in ogni caso, di molto posteriori cronologicamente a quelli citati in precedenza.
Il processo di neolitizzazione nel continente europeo
Uno dei capisaldi del modello di rivoluzione agricola di Gordon Childe si fonda sulla convinzione che le comunità dei primi agricoltori, grazie alla loro superiorità numerica e alle conoscenze tecnologiche, si fossero lentamente allontanati dai territori del Vicino Oriente, dove effettivamente sono documentati i resti più antichi, e nel loro spostamento avessero finito con il sostituire o con lo spingere in aree marginali le più deboli comunità di cacciatori-raccoglitori mesolitici.
Anche nei decenni successivi il modello classico di neolitizzazione dell’Europa continuava a basarsi sull’idea di un progressivo processo di colonizzazione di nuovi territori necessari alle pratiche agricole.
Se certi episodi isolati di domesticazione animale e vegetale dovettero forse realizzarsi anche in Europa, varie considerazioni concorrono a rendere improbabile l’ipotesi di un’origine indipendente in quest’area dell’agricoltura e dell’allevamento. È possibile che nella zona della foresta temperata europea si sviluppassero alcune forme di domesticazione isolata di alcuni animali (bue selvatico e cinghiale) e di alcuni vegetali (noci), ma si deve escludere che un’effettiva economia agricola si fosse originata a partire dalle risorse locali a disposizione.
La mancanza di una domesticazione autonoma nei territori europei non esclude in ogni caso che tra i gruppi di cacciatori-raccoglitori mesolitici non vi fossero conoscenze botaniche e zoologiche approfondite e anche capacità di protezione e controllo di alcune specie.
A tale proposito alcuni studiosi, nel tentativo di ricostruire le modalità con le quali il Neolitico si affermò, hanno elaborato il modello dell’onda di avanzamento. I ricercatori che sostengono tale modello propendono per una lenta e continua espansione di gruppi di agricoltori che determina la frequente formazione di nuovi insediamenti neolitici a breve distanza dai precedenti luoghi di origine.
Tale ipotesi è fortemente influenzata dal presupposto che sottolinea la stretta relazione tra modo di sussistenza neolitico e incremento demografico della popolazione di agricoltori. La colonizzazione di nuove terre consentì, in questo modo, uno sfogo all’incremento della popolazione determinato da un tipo di economia agricola e da un genere di vita di tipo stanziale.
È interessante rilevare che il periodo di tempo medio tra i parti di una stessa donna, che si suole chiamare intervallo intergenetico, è in genere di poco superiore ai quattro anni presso le popolazioni di cacciatori-raccoglitori che seguono uno genere di vita nomade o seminomade; la loro continua mobilità infatti non consente alla donna di trasportare più di un bambino per volta. Presso le popolazioni stanziali, che basano la loro sussistenza prevalentemente sulle attività agricole, l’intervallo intergenetico scende intorno ai due anni e mezzo circa; variazione che comporta un notevole incremento della natalità e un parallelo aumento della mortalità, in assenza del quale la crescita demografica sarebbe ben superiore a quella normalmente registrata. I dati ricavati da numerosi studi etnografici rivelano che un elevato incremento demografico in una società di agricoltori di tipo tradizionale può determinare una situazione di crisi; questa situazione può essere risolta con la scissione di parte della comunità, la migrazione e la creazione di insediamenti in nuovi territori posti a non grande distanza dai villaggi d’origine (circa 20-30 chilometri).
L’interpretazione di tipo diffusionista fonda le sue basi principali nella riconosciuta origine vicino orientale dei cereali principali e di alcuni animali, nonché sulle datazioni radiometriche che mostrano un’evidente posteriorità degli insediamenti neolitici dell’area occidentale europea rispetto a quelli della penisola balcanica e dell’Europa sud-orientale più vicini ai centri dell’Asia occidentale .
Altri ricercatori preferiscono sottolineare il contributo dato al fenomeno della neolitizzazione dalle precedenti popolazioni di cacciatori-raccoglitori; tale substrato indigeno sarebbe stato in qualche modo assorbito dai nuovi gruppi di agricoltori attraverso un processo di acculturazione. Testimonianza di tale acculturazione sarebbe la persistenza di elementi mesolitici nella cultura materiale delle prime popolazioni neolitiche e il ritardo con cui in alcuni territori un’economia pienamente produttiva si manifesterebbe.
Recenti riletture delle conoscenze a disposizione sui processi che hanno portato alla neolitizzazione hanno determinato un superamento della semplice contrapposizione tra un modello diffusionista e un modello che sostenga l’acculturazione, giacché la realtà, influenzata da numerosi fattori ambientali, culturali e ideologici, dovette essere ben più complessa.
La varietà ambientale e le grosse differenze geografiche dei territori determinarono inoltre situazioni articolate e complesse al momento difficilmente inquadrabili secondo rigidi schemi interpretativi
Le prime comunità di agricoltori ed allevatori sono caratterizzate nella cultura materiale dalla presenza di vasi in ceramica, da macine, mortai e pestelli per la molitura dei cereali, da strumenti in pietra levigata, quali asce e accette usate nel disboscamento e per la lavorazione del legno, da nuove tecniche e nuovi strumenti in pietra scheggiata, quali le lame dei falcetti messori. I campi vengono dissodati con strumenti di pietra, corno e osso, è diffusa inoltre la posa delle sementi con l’ausilio del bastone da semina.
Le granaglie vengono conservate in grandi giare ceramiche o in pozzetti scavati nel suolo (silos). L’agricoltura è generalmente di tipo itinerante, con rioccupazione ciclica delle sedi per il riposo e la rigenerazione della fertilità dei terreni.
Il processo di neolitizzazione dell’Europa segue sostanzialmente tre direttrici principali dando luogo ad altrettante correnti culturali: la cultura di Star?evo nella penisola balcanica; la cultura della Ceramica Impressa nelle regioni mediterranee; la cultura della Ceramica a Bande (Bandkeramik) nelle pianure dell’Europa centrale.
Il Neolitico della penisola balcanica, dai suoi centri sud-orientali, quali la Grecia la Bulgaria e la zona costiera della Romania, si afferma gradualmente seguendo le direttrici del Danubio e dei suoi affluenti ricchi di terre fertili fino alla Pannonia, dando luogo nel corso della seconda metà del VI e V millennio a.C. a una vasta compagine culturale con caratteristiche simili che va sotto il nome di cultura di Cri? in Romania, cultura di Star?evo nell’attuale Jugoslavia e cultura di Körös in Ungheria.
Lo sviluppo dell’economia produttiva nell’Europa centrale è associato alla cultura della Ceramica a Bande (Bandkeramik). Questo complesso ha avuto origine nelle zone settentrionali della grande pianura ungherese e nella Slovacchia sud-orientale dove sono documentati i suoi aspetti più antichi databili tra il VI e gli inizi del V millennio a.C.
Nei secoli successivi, gruppi di agricoltori portatori della cultura Bandkeramik si diffondono dal bacino del Danubio attraverso l’Europa centrale fino ai Paesi Bassi e al bacino di Parigi, mentre altri gruppi della stessa cultura dall’Ungheria settentrionale raggiungono la Polonia meridionale. Nel corso del V millennio a.C. l’agricoltura e l’allevamento raggiungono le isole britanniche e la Scandinavia.
La corrente della Ceramica Impressa o Cardiale trasmette il modo di vita neolitico lungo le coste del Mediterraneo tra la fine del VII e il VI millennio a.C. da centri egeo-anatolici non ancora identificati. Essa, formatasi anche grazie all’apporto delle realtà mesolitiche locali, si diffonde lungo le due sponde dell’Adriatico, dove le sedi più antiche sono attestate in Puglia, investe l’Italia meridionale, la Sicilia, la Sardegna, raggiunge le coste liguri e si propaga lungo le coste del mediterraneo occidentale fino alla penisola iberica, investendo anche le coste dell’Africa settentrionale.
Lo sviluppo del Neolitico
Nel corso del V e IV millennio a.C. le grandi correnti culturali che hanno caratterizzato il primo Neolitico europeo si dissolvono consentendo la formazione di varie culture regionali, che realizzano un’ulteriore spinta dalle fertili pianure nei territori montani non occupati in precedenza, nell’Europa occidentale atlantica e nelle regioni più settentrionali del continente.
Questa espansione determina la definitiva scomparsa delle ultime comunità mesolitiche, sopravvissute nelle regioni settentrionali non interessate dalla prima colonizzazione neolitica.
Le principali componenti culturali del Neolitico medio dell’Europa mediterranea e centro-orientale sono la cultura di Vin?a e di Butmir nei Balcani e quella di Danilo lungo la costa orientale adriatica, la cultura Stichbandkeramik e di Lengyel nell’Europa centro-orientale, la cultura di Egolzwil e di Rössen nei territori elvetici e germanici, la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata nell’Italia settentrionale e la cultura Ripoli e di Serra d’Alto nell’Italia peninsulare e i complessi Chassey nella Francia meridionale.
Nel corso del IV millennio a.C., durante il Neolitico recente e finale, il quadro delle culture tende a frantumarsi ulteriormente in numerose entità regionali quali la cultura di Hvar lungo il versante orientale adriatico, la cultura del tardo Vin?a nei Balcani, la cultura di Lasinje in Ungheria, la cultura di Altheim e di Cortaillod nei versante settentrionale delle Alpi, la cultura della Lagozza nell’Italia nord-occidentale e gli ultimi aspetti dei Vasi a Bocca Quadrata nell’Italia nord-orientale, la cultura di Diana nell’Italia peninsulare e la cultura di Chassey nella Francia meridionale e nella Liguria e Toscana settentrionale.
Alla fine del Neolitico e nella successiva età del Rame è documentata un’evoluzione della struttura socio-economica dei vari gruppi culturali. Nell’agricoltura compare l’aratro, la diffusione della ruota e del carro trainato dagli animali agevola i trasporti, così le comunicazioni e i rapporti tra le varie comunità incrementano.
La rivoluzione dei prodotti animali secondari che si afferma nel sistema di sussistenza incrementa le attività pastorali con produzione di latticini e lana. Lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia determinano estesi disboscamenti.
Nell’Egeo e nei Balcani si formano le prime culture dell’età del Rame che diffondono nel Mediterraneo occidentale le tecniche metallurgiche durante il III millennio a.C.
La nuova metallurgia del rame, che si esprime nelle prime fasi soprattutto in oggetti ornamentali e di prestigio, induce forme di tesaurizzazione e di possesso che gettano le basi di differenziazioni sociali e pongono fine al mondo sostanzialmente unitario del Neolitico.
Cronologia e inquadramento del Neolitico italiano
Il processo di neolitizzazione che si è realizzato in buona parte delle regioni costiere del Mediterraneo occidentale ad opera della cultura della Ceramica Impressa ha interessato anche la penisola italiana.
La comprensione del fenomeno della neolitizzazione in Italia, con le sue numerose culture e i vari aspetti regionali, solleva ancora numerosi problemi. Le zone più importanti da cui si possano ricavare elementi utili alla comprensione della prima economia produttiva sono la Puglia e il versante adriatico, le grandi isole del versante tirrenico e l’Italia settentrionale .
È possibile distinguere un processo di colonizzazione marittima e uno di diffusione continentale dell’Italia peninsulare in cui sono evidenti elementi di chiara provenienza esterna (le piante coltivate, i caprovini, il popolamento di isole prima disabitate, quali le Tremiti, le Eolie e le isole dell’arcipelago toscano).
La situazione risulta invece un po’ diversa nell’area padana e nel versante meridionale alpino dove il processo di neolitizzazione ha avuto luogo grazie a molteplici impulsi, quali la diffusione di oggetti ed idee da regioni già neolitizzate, l’acculturazione dei gruppi mesolitici indigeni e lo sviluppo di tradizioni mesolitiche precedenti.
A conseguenza di ciò il quadro generale del Neolitico antico dell’Italia settentrionale risulta caratterizzato da numerosi gruppi con tradizioni culturali autonome, ma in relazione tra loro sin dai momenti iniziali della neolitizzazione .
Le prime comunità agricole, portatrici della cultura della Ceramica Impressa compaiono nell’Italia sud-orientale con tutti gli elementi caratteristici della neolitizzazione negli ultimi due secoli del VII millennio a.C. e si diffondono dalle zone costiere della Puglia verso l’interno. Il popolamento del territorio avviene rapidamente e vede il fiorire di numerose comunità non solo nella fascia costiera pugliese tra Bari e Brindisi e lungo il golfo di Taranto, ma anche verso il Tavoliere foggiano.
Il resto dell’Italia meridionale, alcune aree della Basilicata, la Calabria settentrionale e parte della Campania, risente degli influssi culturali del Neolitico pugliese e materano, mentre il versante tirrenico calabrese, le isole Eolie e la Sicilia rientrano in quel vasto ambito culturale, caratteristico di un momento avanzato del Neolitico a Ceramica Impressa, che investe il Mediterraneo occidentale fino alla Penisola Iberica e alle coste nordafricane.
Attorno al 5.800-5.700 a.C. la Ceramica Impressa compare nella Liguria occidentale, da dove si irradiano i suoi influssi nell’area padano-alpina occidentale ( – lett. a -). In un momento relativamente più recente, verso la metà del VI millennio a.C., elementi della stessa cultura si propagano lungo il versante medio-adriatico, dando origine agli aspetti abruzzese-marchigiani della stessa cultura. Negli ultimi secoli dello stesso millennio la diffusione della Ceramica Impressa adriatica raggiunge la Romagna e tende ad espandersi verso l’interno della pianura padana lungo la fascia pedeappenninica fino al Reggiano; tale penetrazione risulta però ostacolata dalla presenza di gruppi già pienamente neolitizzati della cultura di Fiorano.
Nell’ambito della Ceramica Impressa sono documentati nell’Italia meridionale e in Sicilia villaggi trincerati, mentre insediamenti all’aperto sono noti nell’Italia centrale, dove, come in Liguria, sono pure frequentate le grotte. Le testimonianze funerarie consistono in sepolture, spesso prive di corredo, all’interno degli abitati o in grotte e ripari sotto roccia.
L’economia neolitica dell’Italia meridionale attesta un’agricoltura ben sviluppata fin dai momenti più antichi, con presenza di orzo, farro, frumento tenero/duro, lenticchie e veccia; in alcuni casi è testimoniata anche la raccolta di frutti spontanei. In tutti i siti delle regioni meridionali l’allevamento è dominato dai caprovini, seguiti da bovini e suini, mentre la caccia ha scarsa incidenza. È documentata inoltre l’attività mineraria per l’estrazione della selce nel Gargano al pari dello sfruttamento dell’ossidiana nelle isole del versante tirrenico la cui ricerca sembra aver motivato i primi insediamenti nelle isole Eolie.
Nell’Italia settentrionale il processo di neolitizzazione si prefigura alquanto complesso, poiché le diverse condizioni ambientali presenti in territori relativamente ristretti e gli influssi culturali dall’area costiera adriatica, dall’area balcanica e da quella nordalpina vengono assorbiti in maniera e misura variabili e rielaborati in modo differente dai gruppi mesolitici indigeni, dando origine a diverse entità culturali sviluppatesi contemporaneamente . I gruppi neolitici dell’Italia settentrionale sono i seguenti: cultura di Fiorano presente in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana settentrionale ( ); gruppo del Vhò in Lombardia ed Emilia occidentale ( – lett. a -); gruppo dell’Isolino nell’area prealpina della Lombardia ( – lett. a -); gruppo del Gaban nella valle dell’Adige ( ); gruppo friulano ( ) suddiviso rispettivamente tra gli aspetti di Fagnigola nel Friuli occidentale e di Sammardenchia nel Friuli centrale; gruppo di Vlaška o dei Vasi a Coppa nel Carso triestino.
Sin dal momento più antico del Neolitico dell’Italia settentrionale, datato tra 5.600-5.300 a.C., risultano praticati, in particolare nella cultura di Fiorano e nel gruppo friulano, un’agricoltura a base di cinque cereali e legumi e l’allevamento di bovini e suini; la sussistenza delle prime comunità neolitiche, benché in alcuni casi la produzione alimentare fosse ben sviluppata, attestano ancora una forte incidenza delle attività di caccia, pesca e raccolta di frutti spontanei.
Durante il Neolitico antico è attestata la circolazione di materie prime, quali le pietre verdi piemontesi utilizzate nella produzione di asce, accette ed elementi di ornamento in pietra levigata e la selce alpina necessaria alla fabbricazione degli strumenti in pietra scheggiata. Il gran numero di oggetti caratteristici della cultura materiale di Fiorano rinvenuti in molti siti del Neolitico antico settentrionale e, in particolare, la tipica tazza carenata con decorazione incisa lineare è l’espressione più peculiare dell’importanza di questa cultura nel vasto sistema di scambi neolitici. Queste esportazioni mettono in luce contatti attivi con alcune direttrici preferenziali, quali l’area del gruppo del Vhò, il gruppo friulano e, in minor misura, con entrambi i versanti dell’Italia centrale.
Alla pluralità di tradizioni culturali caratteristiche del Neolitico antico dell’Italia settentrionale segue nei primi secoli del V millennio a.C. una vasta unificazione culturale che si realizza con la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.
Lo sviluppo di questa cultura vede tre fasi caratterizzate da componenti stilistiche diverse nella realizzazione delle decorazioni ceramiche che si articolano nel corso del V e nella prima metà del IV millennio a.C. nel modo seguente: stile geometrico-lineare ( – lett. a -), stile meandro-spiralico ( ) e stile a incisioni e impressioni ( – lett. a -).
Gli elementi formativi di tale cultura sono riconoscibili solo in Liguria, mentre nell’area padano-alpina pare che gli aspetti culturali della prima fase si diffondano già pienamente costituiti e senza apporti significativi dei precedenti gruppi del Neolitico antico.
Connessioni con l’area balcanica sono evidenti durante la fase dello stile meandro-spiralico nel tipo di motivi decorativi dei vasi, nella presenza di figurine femminili e di pintaderas, una sorta di timbri di terracotta. I contatti con il mondo transalpino sono invece documentati nella successiva fase dello stile a incisioni e impressioni, quando si interrompono i contatti con il mondo balcanico.
I modelli di insediamento della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata documentano una notevole varietà di situazioni; ai siti in grotta della Liguria si affiancano abitati in area umida e insediamenti all’aperto in pianura, su collina, terrazzi e pendici montane. I diversi tipi di insediamento rivelano un buona capacità di adattamento alle più diverse condizioni ambientali e geomorfologiche, attestando indirettamente un profilo economico diversificato in base alle risorse naturali disponibili.
L’agricoltura diviene predominante sulle attività di raccolta, mentre diminuisce l’incidenza della caccia in relazione a un netto incremento, nelle fasi finale della cultura, dell’allevamento.
I costumi funerari sono ben documentati da sepolture in grotta e da necropoli con tombe a inumazione in fossa semplice, in fossa con recinto di pietra e in cista litica .
Verso la fine del V e all’inizio del IV millennio a.C. cominciano ad affermarsi tradizioni culturali di tipo occidentale affini a quelle dello Chassey della Francia meridionale; dalla Liguria, dove l’aspetto locale è denominato Chassey ligure, si verifica una vasta propagazione verso la pianura padana occidentale, l’Emilia e l’Italia centrale .
Durante i primi secoli del IV millennio a.C., nella Lombardia occidentale si forma la cultura della Lagozza ( ) che si estende verso oriente nel corso della prima metà dello stesso millennio influenzando le ultime manifestazioni della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.
Le conoscenze sullo sviluppo cronologico e culturale del Neolitico finale o Tardoneolitico dell’Italia settentrionale sono ancora lacunose. Il problema della sopravvivenza di elementi ancora decisamente neolitici si interseca con quello della comparsa di nuove entità culturali che possono essere definite eneolitiche, giacché attestano la conoscenza della lavorazione del rame, ma che al momento assumono una consistenza geografica molto frammentaria; tale situazione attualmente assai confusa pare interessare la seconda metà del IV e i primi secoli del III millennio a.C.
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