Da tempo si parla di ” pensiero debole “, cioò di un tipo particolare di sapere caratterizzato dal profondo ripensamento di tutte le nozioni che erano servite da fondamento alla civiltà occidentale in ogni campo della cultura. Secondo questa prospettiva i valori tradizionali sarebbero diventati tali solo a causa di precise condizioni storiche che oggi non sussistono più; per questo motivo deve essere messa in crisi la loro pretesa di verità . A fondamento del pensiero debole c’ò l’idea che il pensiero non ò in grado di conoscere l’essere e quindi non può neppure individuare valori oggettivi e validi per tutti gli uomini. Il maggiore interprete di questa problematica in Italia ò Vattimo. Secondo il pensatore torinese, il compito attuale della filosofia non ò d’interrogarsi sulla verità , ma di portare alle estreme conseguenze la crisi epocale che si ò espressa attraverso il processo di secolarizzazione. Vattimo porta a fondo l’attacco alle filosofie che presuppongono un “fondamento”, all’illuminismo, al logocentrismo, al marxismo e insomma al “pensiero forte” e totalitario del moderno; e teorizza l’avvento di un’età nuova, regolata da un “pensiero debole”, non dimostrativo e aggressivo, ma volto alla “pietas” nei confronti dei valori storici tramandatici e alla realizzazione di un soggetto non unitario nè subordinato all’autocoscienza logica, ma molteplice e poliedrico. Come si può facilmente arguire, Vattimo sostiene una posizione nichilistica e tuttavia informata ad un nichilismo non radicale come quello dei decostruttivisti, ma “morbido” e disposto anche alla comprensione delle tracce dei vecchi valori. Ovviamente viene invalidata l’idea della storia come rinnovamento continuo e percorso dotato di senso; anzi, la dissoluzione postmodernistica della categoria del nuovo viene salutata come “fine della storia”. Il modello di “pensiero debole” si riscontra soprattutto nell’arte che offre un modello di “verità ” mobile e suscettibile di infinite interpretazioni; anzi, asserisce Vattimo in La fine della modernità (1985), ” l’esperienza postmoderna della verità ò un’esperienza estetica “. Per Vattimo il pensiero ò arrivato alla fine della sua avventura metafisica. Ormai non ò più proponibile una filosofia che esiga certezze e fondamenti unici per le teorie sull’uomo, su Dio, sulla storia, sui valori. La crisi dei fondamenti ha fatto vacillare ormai l’idea stessa di verità : le evidenze una volta chiare e distinte si sono offuscate. La filosofia nel suo nocciolo più autentico, da Aristotele a Kant, ò sapere primo. Con Nietzsche e Heidegger ò svanita l’idea della filosofia come sapere fondazionale in quanto: 1) il mondo del sapere si ò fatto così complesso che non ò pensabile l’esistenza di una scienza che regga tutte le altre in maniera unitaria, fondante; 2) c’ò una forte specializzazione delle sfere dell’esistenza; 3) i mezzi di comunicazione di massa ci mettono continuamente a contatto con altre culture ed ò sempre più difficile ridurre tutto ad un’ unica matrice; 4) l’evidenza non deve essere considerata come segno della verità , perchè essa ò prodotta da abitudini, pressioni sociali, convenzioni, trucchi della lingua. Il filosofo torinese ò convinto che la filosofia contemporanea, sulla scia di Nietzsche e del nichilismo, si presenti come pensiero senza fondamenti, come riflessione non più ancorata alle solide basi della metafisica e della certezza cartesiana. Il periodo dei sistemi, delle ideologie forti ò tramontato: quella attuale ò l’epoca delle strutture deboli. La ragione non ò più centrale, ò come depotenziata, ò entrata in una zona d’ombra ed ha preso, quindi, contorni incerti, quasi come se si fosse eclissata. Il pilastro del pensiero debole ò costituito dall’idea che l’uomo legge il mondo entro orizzonti linguistici non fissi ma storici. Alla luce di questi presupposti, si dissolvono: 1) i fondamenti certi; 2) l’idea di una conoscenza totale del mondo; 3) l’idea di una verità certa di cui noi saremmo capaci. Pensiero debole in poche parole significa che si ò consumata la concezione fondazionale della filosofia, si sono dissolti i fondamenti ultimi, i princìpi incontrovertibili, le idee chiare e distinte, i valori assoluti, le evidenze originarie e le leggi ineluttabili della storia. In conclusione con il pensiero debole muta l’immagine della razionalità , la quale deve depotenziarsi, cedere terreno, non aver timore di indietreggiare, non restare paralizzata dalla perdita del riferimento luminoso cartesiano, unico e stabile. In questo modo si inizia con una perdita ed una rinuncia: rinuncia a fondamenti certi e destini ultimi. Ma tale rinuncia ò anche l’allontanamento da un obbligo, la rimozione di un ostacolo. In questo modo al passato il pensiero debole si avvicina con la pietas; al presente pone attenzione a quei settori dell’esperienza umana calpestati da uno sguardo totalizzante; al futuro il contenimento del pensiero forte serve a contrastare la violenza e a costruire uno spazio sempre più aperto alla libertà , alla tolleranza, ai rapporti con le altre culture. Il pensiero debole ò anche la fine della modernità , di quel periodo che va da Cartesio a Nietzsche e che ò dominato dall’ idea-forza del progresso umano. Infatti la modernità concepisce la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo appare capace di una sempre più perfetta realizzazione della propria natura, di un esercizio sempre più ricco delle proprie facoltà . L’uomo moderno ò contrassegnato dalla fiducia in se stesso come creatore e protagonista di una civiltà nuova più avanzata e più democratica di ogni epoca precedente, e in costante movimento verso ulteriori traguardi. L’idea forza della modernità ò dunque il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Vattimo ha definito per qualche tempo con l’espressione pensiero debole le sue posizioni filosofiche, anche se negli ultimi anni preferisce designarle col termine ermeneutica, intendendo in tal modo collocarle in quella che più volte ha definito la nuova koinè del nostro tempo: la cultura filosofica postmoderna, derivante dall’eredità di Nietzsche e Heidegger, che ha trovato rifugio ed approfondimento in Gadamer, Ricoeur, Rorty, Derrida. Esponente di rilievo dell’ermeneutica contemporanea, fortemente influenzato dal pensiero di Martin Heidegger e di Friedrich Nietzsche, Vattimo ritiene che l’ oltrepassamento della metafisica sfoci in un’ etica dell’interpretazione. La filosofia diventa pensiero debole in quanto abbandona il suo ruolo fondativo e la verità cessa di essere adeguamento del pensiero alla realtà , ma ò giocata come continua interpretazione. Esistono, dunque, diverse ragioni che contrastano le pretese della filosofia fondazionale, ma il motivo di maggior peso ò dato proprio dall’ermeneutica, arte e tecnica dell’interpretazione che riguarda il rapporto tra linguaggio ed essere. Esistere significa vivere in relazione ad un mondo e questo rapporto ò reso possibile dal fatto che si dispone di un linguaggio. Le cose vengono all’essere solo entro orizzonti linguistici non eterni ma storicamente qualificati. Anche il linguaggio non ò una struttura eterna. L’uomo ò gettato all’interno di questi orizzonti linguistici, legge ed interpreta l’essere e si rapporta ad essi. Ma, trattandosi di orizzonti temporalizzati, vale a dire non eterni, ò chiaro che sparisce ogni pretesa di discorsi o teorie eterne e assolute su Dio, sull’uomo, sul senso della storia o sul destino dell’umanità . L’avventura del pensiero metafisico ò giunta al suo tramonto. L’uomo si trova già da sempre gettato in un progetto, in una lingua, in una cultura che eredita. L’uomo si apre al mondo tramite il linguaggio che parla. Risalire a queste aperture linguistiche che permettono la visione del mondo significa pensare e prendere consapevolezza della molteplicità delle prospettive e degli universi culturali. Il pensiero debole ò la fine della struttura stabile dell’essere, dunque anche di ogni possibilità di enunciare che Dio esiste o non esiste. Il grido di Nietzsche “Dio ò morto” va inteso da Vattimo nel senso della fine di ogni discorso metafisico che pretende darci verità ultime e definitive. La verità diventa la trasmissione di un patrimonio linguistico e storico, che rende possibile e orienta la comprensione del mondo. La modernità , in breve, vede la storia come progresso guidato da leggi di superamento. Ma se per la modernità la storia ò progresso, processo di continuo superamento, allora il pensiero debole ò il postmoderno, la fine della storia. La postmodernità per Lyotard, infatti, ò l’epoca di fine millennio ed ò caratterizzata dal venir meno delle grandi ideologie (illuminismo, idealismo, marxismo) che costituivano la base della coesione sociale e delle utopie rivoluzionarie ( La condizione postmoderna, 1979). Compito del filosofo, di fronte a una condizione umana profondamente mutata, ò quello di individuare criteri di giudizio che abbiano un valore locale, circoscritto, e non pretese globali o totalizzanti. Per Vattimo nella nascita di una società post-moderna un ruolo determinante ò esercitato dai mass media ( La società trasparente 1989). L’incremento dei mezzi di comunicazione non rende però la società più trasparente, più consapevole di sè, più illuminata: i mass media tendono a riprodurre gli accadimenti in tempo reale, moltiplicando la complessità della realtà invece di ridurla. Il filosofo torinese vede nella metafora della trasparenza l’indebolimento dell’essere, l’ontologia del declino, lo sfondamento della realtà e di ogni aggancio che pretenda di andare oltre l’apparenza. La simulazione, la finzione, l’artificialità , la superficialità dell’apparire si mostrano spudoratamente al posto del fondo vero, del fondamento La tesi di Vattimo ò che proprio in questo relativo caos risiedono le nostre speranze di emancipazione. La mancanza di trasparenza non ò dunque un fenomeno da combattere; al contrario, ò il sintomo di un grande rivolgimento, che coinvolge l’intero ambito dell’esistenza: la liberazione delle minoranze (punk, donne, omosessuali, neriâ¦) e la creazione di un nuovo stato d’animo: un’esperienza quotidiana dai caratteri più fluidi, che acquisisce i caratteri dell’oscillazione, dello spaesamento, del gioco. Nelle arti figurative, nell’architettura, nella letteratura, si parla correntemente di post-moderno per indicare uno stile che si allontana ormai dalle idee dominanti della modernità . Questa, forse per la prima volta, appare come un fenomeno unitario, che non solo ha avuto un inizio, ma che ò anche sulla via di concludersi. Vattimo ne La fine della modernità (1991) dichiara che oggi si prendono le distanze dalla modernità soprattutto in riferimento a uno dei suoi ideali dominanti: quello di progresso, di superamento critico e, nelle arti, di avanguardia. Ma il fenomeno della fine dell’epoca moderna, se ò una fine, ha anche conseguenze sociali ed economiche (si parla da tempo di un’era post-industriale), religiose (siamo una cultura post-cristiana? ) e filosofiche. Con la modernità viene dichiarata chiusa un’epoca ancorata alla fiducia nel progresso continuo dell’umanità , che aveva, a sua volta, ripreso laicizzandola, l’idea cristiana della salvezza. E’ la fine di ogni filosofia della storia, cioò di ogni visione unitaria e compatta della storia, come se fosse dotata di senso. Ma la fine della modernità apre una fase nuova, una fase di ascolto, di attenzione a ciò che, nella luce forte della ragione e della storia, era non avvertito, o, comunque risultava inintelligibile. E’ una fase di apertura e di comunicazione alle “culture altre”, caratterizzata da una visione più tollerante e pacifica della convivenza umana.
- 1900
- Filosofia - 1900