Il criterio di falsificabilità, secondo il quale una teoria è scientifica solo nella misura in cui è suscettibile di venir smentita dall’esperienza, è alla base del pensiero epistemologico popperiano, nell’orizzonte della ricerca di una linea di demarcazione fondamentale tra scienza e non-scienza. Questo principio emerge in contrapposizione al principale assioma filosofico neopositivista, che aveva proposto un principio di verificabilità universale che determinasse, in base al raffronto sperimentale, la validità di ogni teoria. Secondo Popper, invece, il verificazionismo non è che un’utopia, vista l’impossibilità oggettiva di realizzarlo: mentre infatti le conseguenze di una ipotesi scientifica possono essere infinite, il numero di controlli effettivi della medesima sarà sempre finito. Dunque, la validità di un principio non è racchiusa nella sua verificabilità logica, quanto nella possibilità di renderla disponibile alla falsificazione empirica. La differenza sostanziale tra i due criteri si basa, secondo Popper, sulla asimmetria tra verificabilità o falsificabilità: avendo la conoscenza umana mai a che vedere con verità assolute, ma sempre con ipotesi e congetture, è facile capire come miliardi di conferme non renderanno mai del tutto certa una teoria, mentre basterà un solo fatto negativo per mettere in dubbio una legge universale.
- Temi e Saggi