A partire dalla sua prima opera, De ente et essentia, Tommaso si ò posto il problema di che cosa significhi essere. Quando parliamo dell’ essere di Dio intendiamo la stessa cosa di quando parliamo dell’ essere delle cose del mondo? Per affrontare tale questione, Tommaso riprende nozioni aristoteliche di potenza e atto e di materia e forma e le collega ad un’ altra coppia di nozioni, essenza ed esistenza. La prima nozione che l’ intelletto umano concepisce ò quella di ente, ossia di qualcose che ò. In questa nozione si possono distinguere due componenti reali, l’ essenza e l’ essere. L’ essenza che Tommaso chiama anche quiddità o natura ed ò espressa nella definizione di una cosa, ò ciò che una cosa propriamente ò. Aristotele aveva identificato l’ essenza con la forma di tale cosa. Tommaso invece ritiene che, nel caso delle sostanze corporee, l’ essenza non coincida soltanto con la forma, bensì sia costituita di forma e di materia; essa infatti comprende tutto ciò che ò enunciato nella definizione della cosa. Così per esempio, l’ uomo ò definito dal fatto di avere una forma (l’ anima razionale, che distingue la specie umana da tutte le altre), ma anche una materia (ossa, carne e così via). L’ essere fatti di carne e di ossa ò prerogativa di tutti gli uomini: in questo senso tale materia ò comune a tutti gli uomini; ciascun uomo, invece, si distingue dagli altri per il fatto di avere questa carne e queste ossa particolari. Il principio d’ individuazione ò dunque riposto da Tommaso non nella materia comune, bensì in quella che egli chiama materia signata quantitate, ossia la materia contrassegnata da precise dimensioni. Un individuo umano si distingue da un altro perchò ò unito non ad un corpo in generale, ma a questo determinato corpo. In tal caso, l’ essenza uomo, la quale in quanto costituita di forma e di materia comune, ò universale e propria di tutti gli uomini, grazie alla materia signata quantitate si individua e viene ad esistere. Ma l’ essenza di una cosa ò distinta, secondo Tommaso, dalla sua esistenza; ò possibile sapere che cos’ò l’ uomo o il centauro, senza sapere se esso esiste. L’ essenza di una cosa di per sò non implica necessariamente l’ esistenza in atto di tale cosa. Questa esistenza in atto ò definita da Tommaso essere ( esse ): essa ò la realizzazione compiuta dell’ essenza di una cosa; perciò, rispetto all’ essere, l’ essenza ò soltanto potenza. L’ essenza (costituita da forma e materia comune) ò soltanto in potenza rispetto all’ esistenza, mentre l’ esistenza o essere ò atto dell’ essenza. Il passaggio dall’ essenza all’ esistenza si configura appunto come passaggio dalla potenza all’ atto. Ciò significa che l’ essenza uomo esiste soltanto nel singolo uomo, individuato da una materia signata quantitate. Ma com’ ò possibile per le sostanze corporee il passaggio dalla potenza all’ atto, ossia dall’ essenza all’ astinenza? Tali sostanze sono composte di essenza e di essere (o esistenza); e dire che sono composte equivale a dire che essenza ed esistenza sono separabili. Secondo Tommaso, in queste sostanze, e in particolare nell’ uomo, l’ unione di essenza ed esistenza (ossia il passaggio dalla potenza all’ atto), può essere opera soltanto di Dio. Il che vale anche per le sostanze angeliche: a differenza dell’ uomo, esse sono forme pure prive di materia e non sono pertanto composte materia e di forma. La materia ò principio d’ individuazione, perciò, tali sostanze, essendo prive di materia, non si distinguono in una molteplicità di individui: ciascuna sostanza angelica ò come una specie. Tuttavia anche in esse come negli uomini, ò presente la distinzione tra essenza ed esistenza ed anche nel loro caso l’ unione di essenza ed esistenza può derivare solo dall’ atto creatore di Dio. Solo in Dio, infatti, l’ essenza fa tutt’ uno con l’ esistenza: egli esiste in virtù della sua stessa essenza, ò ipsum esse subsistens. Come aveva sostenuto Aristotele, Dio ò atto puro; ciò significa che l’ essenza di Dio non contiene potenzialità e dunque per esistere non ha bisogno di passare dalla potenza all’ atto. In quanto esiste da sempre in atto, ò Dio che fa passare le altre cose all’ atto, ossia le fa esistere. Diversamente da Dio, che ò l’ essere per l’ essenza, le creature ricevono l’ essere soltanto per partecipazione da Dio. In quanto sono, esse sono simili a Dio, che ò l’ essere stesso, principio di tutto ciò che c’ ò. Al cuore di queste considerazioni Tommaso ò la tesi che il termine essere ha un significato diverso a seconda che sia riferito a Dio o alle cose create. Su questo punto Tommaso assume una posizione diversa da Aristotele, per il quale tutti i significati di “essere” sono riconducibili a quello generale di sostanza. Il termine “essere” per Tommaso non ha un significato univoco, ossia identico, in Dio e nelle creature, ma neppure equivoco, ossia totalmente diverso; esso ha invece un significato analogo. Con questo Tommaso intende dire che tra l’ essere di Dio e quello delle creature esiste un rapporto proporzionale, come quello che esiste fra causa ed effetto. Accanto a questa analogia di proporzionalità si pone un’ analogia di attribuzione, nel senso che le sostanze diverse da Dio possono esistere, ossia avere l’ essere, soltanto per partecipazione divina; tali creature posseggono gradi diversi di perfezione e, quindi, di partecipazione all’ essere di Dio. In tal modo, con la sua dottrina dei rapporti tra essere ed essenza, Tommaso apportava una correzione decisiva alle teorie aristoteliche, riprese alla tradizione araba. Gli strumenti concettuali aristotelici (materia e forma, potenza e atto), grazie a tale correzione, potevano essere recuperati e resi compatibili con un punto centrale della dottrina cristiana: la tesi della contingenza del mondo e della sua dipendenza dalla creazione divina. ma la creazione, come inizio dal nulla, può essere dimostrata mediante la ragione? Ed inoltre, ò sufficiente la distinzione tra essenza ed esistenza nelle creature e l’ affermazione della identità di esse in Dio per dimostrare che Dio esiste?
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