All’inizio della loro formazione filosofica sia Marx sia Engels erano hegeliani. Nella sua tesi di laurea sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, Marx interpreta la situazione della filosofia dopo Hegel in analogia con la situazione delle filosofie ellenistiche dopo Platone e Aristotele. E’ possibile un nuovo avvio filosofico dopo il compimento della filosofia nelle grandi sintesi sistematiche? Secondo Marx proprio in questi momenti diventa possibile la ripresa di contatto della filosofia con la realtà , la sua realizzazione nel mondo esterno. Fedele al principio hegeliano dell’unità di ragione e realtà , egli assegna a questo compito una valenza essenzialmente teorica: in sintonia con l’atteggiamento dei giovani hegeliani, esso si configura in primis come critica razionale della situazione esistente. Mostrando l’inadeguatezza della realtà rispetto a ciò che è razionale, la teoria diventa prassi. Dopo Hegel, la filosofia riprende la sua funzione illuministica di critica della realtà ; così come, dopo Aristotele, Epicuro, ‘ il più grande illuminista greco ‘, aveva portato fino in fondo la critica della religione, combattuto il fatalismo e rivendicato la libertà dell’autocoscienza umana. Verso la fine del 1843, quando la sua attività giornalistica gli ha già fatto constatare la forza degli interessi materiali nella vita sociale, Marx si convince che per modificare la realtà occorre la forza, ma considera la teoria anch’essa una forza, quando si impadronisce delle masse. Così egli afferma: ‘ L’arma della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della forza materiale, ma la teoria diventa, essa pure, una forza materiale, quando si impadronisce delle masse ‘. Marx avverte che la critica condotta da Feuerbach alla religione deve essere estesa anche alla sfera della politica e dello Stato. Questo compito spetta alla Germania, arretrata politicamente e socialmente rispetto all’Inghilterra e alla Francia: queste nazioni sono passate attraverso rivoluzioni politiche, ma la Germania è filosoficamente più avanti rispetto ad esse. Per Hegel lo Stato era la realtà incondizionata, da cui dipendeva tutto il resto, la famiglia e la società civile, che solo in esso trovavano realizzazione compiuta, proprio come nella religione tutto dipende da Dio. Ma, per quanto riguarda l’ambito religioso, Feuerbach aveva mostrato la necessità di invertire soggetto e predicato nella dialettica hegeliana, facendo dell’uomo il soggetto e di Dio il predicato. Secondo Marx questa operazione deve essere estesa anche al rapporto tra Stato e società civile: ‘ Come non è la religione che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea la religione, così non è la costituzione che crea il popolo, ma il popolo la costituzione ‘. Questo significa che nella realtà storica la priorità spetta alla società civile, non allo Stato. Marx condivide l’analisi di Hegel della moderna società civile come sistema di bisogni, il cui principio è l’interesse particolare dei singoli e dei ceti, ma non accetta la soluzione hegeliana che ravvisava nello Stato il superamento del contrasto tra interessi particolari e interessi generali e indicava nella burocrazia la classe universale, in grado di agire nell’interesse di tutti e perciò di mediare fra i gruppi sociali antagonisti. In realtà , il processo storico è caratterizzato da una tendenza a realizzare l’idea di democrazia, intesa come la massima partecipazione possibile al potere legislativo. Più che di un’alternativa tra l’esercizio di questo potere mediante rappresentanti, da una parte, o la democrazia direttamente esercitata da tutti, dall’altra, si tratta di favorire la massima estensione possibile del diritto di voto attivo e passivo. Solo in questo modo la società civile può elevarsi ad esistenza politica: in questa fase Marx ritiene ancora possibile una soluzione politico del conflitto reale tra società civile e Stato. Ma già con lo scritto Sulla questione ebraica la situazione muta: in esso Marx prende posizione sulla tesi di Bruno Bauer secondo cui l’emancipazione degli ebrei si sarebbe realizzata solo quando lo Stato avesse cessato di essere cristiano, riconoscendo l’uguaglianza di tutti i cittadini. Secondo Marx l’ emancipazione non è ancora quella umana: l’uguaglianza di fronte alla legge è puramente astratta e formale, non sostanziale, in quanto lascia sussistere, anzi favorisce, la disuguaglianza reale, ovvero quella economica e sociale. Nei cosiddetti ‘diritti dell’uomo’, sanciti dalle rivoluzioni americana e francese, si nasconde una mistificazione, quella di assolutizzare come essenza dell’uomo l’individuo privato della società borghese, il ‘bourgeois’ detentore di proprietà e perciò caratterizzato da interessi particolari e quindi ostile agli altri uomini, che considera limiti alla propria libertà . Nella società attuale l’uomo conduce, a parere di Marx, una doppia vita: la vita nella comunità politica e la vita nella società civile, nella quale agisce come individuo privato. Nella società borghese, caratterizzata dalla separazione tra pubblico e privato, l’uomo è solo astrattamente membro dello Stato, ossia cittadino (‘citoyen’). Nell’ Introduzione alla Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico, Marx precisa che la religione è prodotta dall’uomo, ma per uomo si deve intendere non il singolo, ma ‘ il mondo dell’uomo, lo Stato, la società ‘. Feuerbach ha mostrato che la religione è la coscienza capovolta del mondo, ma ciò dipende dal fatto che la società stessa è un mondo capovolto: la religione è espressione della miseria reale in cui l’uomo si trova, ‘ la religione è l’oppio del popolo ‘ in quanto fornisce una giustificazione e una consolazione nei confronti di questo stato. La vera liberazione dalla religione potrà quindi avvenire soltanto attraverso una più generale emancipazione dell’uomo come essere sociale. La critica della religione conduce infatti alla conclusione che l’uomo, non Dio, è per l’uomo l’essenza suprema: da ciò scaturisce la necessità di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, spossessato della sua essenza. Per Marx l’emancipazione politica conseguita dalla rivoluzione francese deve dunque essere completata dall’emancipazione umana, ma questa può essere raggiunta solo tramite una ‘classe universale’, che avendo subìto non un torto particolare, ma l’ingiustizia totale, non rivendica un diritto particolare, ma può emancipare se stessa solo emancipando tutte le altre sfere della società : questa classe è per Marx il proletariato. Egli pensa qui, in primis, al proletariato tedesco, non ancora a quello internazionale, nò parla ancora di comunismo, anche se riconosce nell’esistenza della proprietà privata il fattore principale della disuguaglianza e quindi della degradazione dell’essenza umana. Solo attraverso la classe in cui l’essenza dell’uomo è andata completamente perduta è possibile riconquistare totalmente tale essenza. Il problema è di rendere cosciente il proletariato della sua essenza e, quindi, del suo compito rivoluzionario. La filosofia diventa allora qualcosa che deve essere realizzato praticamente e la teoria diventa una forza materiale quando riesce a ‘impadronirsi’ del proletariato: in questo senso si può affermare che il proletariato è ‘ il vero erede della filosofia classica tedesca ‘.
- Filosofia