Il sentiero dei nidi di ragno - Studentville

Il sentiero dei nidi di ragno

Trama e analisi del romanzo Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino.

AUTORE

Italo Calvino nacque a Santiago de Las Vegas (Cuba), nel 1923 ma, dopo aver passato l’infanzia e l’adolescenza a Sanremo, a vent’anni aderì alla Resistenza combattendo nelle brigate Garibaldi, sui monti liguri. Questa esperienza significò per lui la certezza che il corso progressivo della storia italiana fosse cominciato e che nuovi compiti attendessero ogni uomo di cultura. Nel 1945 si stabilì a Torino, collaborò al Politecnico e strinse amicizia con Pavese e Vittorini. Nel 1947 pubblicò Il sentiero dei nidi di ragno, in cui trasfigura, ma senza tradirla, l’avventura. Come lo stesso autore ammette scrisse il suo primo romanzo sulla scia di quel grande desiderio di dare ai grandi avvenimenti storici che aveva vissuto una adeguata riflessione culturale e letteraria aderendo al nascente neorealismo. Nella Prefazione Calvino sembra un po’ giustificare l’estraneità di questa opera rispetto alla sua produzione successiva “la voce anonima dell’epoca [fu] più forte delle nostre inflessioni individuali ancora incerte”, e tra le righe si riesce a leggere la sua insoddisfazione nei confronti del lavoro compiuto ed il rimpianto di non aver saputo fare di meglio. La voglia di dare una voce alle storie che vagavano sulle bocche di tutti, la bramosia di esprimere più che narrare la storia partigiana spinge Calvino a dar vita al piccolo Pin: “Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia dell’anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un’espressione mimica. Durante la guerra partigiana le storie appena vissute si trasformavano e trasfiguravano in storie raccontate la notte attorno al fuoco, acquistavano già uno stile, un linguaggio, un umore come di bravata, una ricerca d’effetti angosciosi o truculenti. Alcuni miei racconti, alcune pagine di questo romanzo hanno all’origine questa tradizione orale appena nata, nei fatti, nel linguaggio…mai fu tanto chiaro che le storie che si raccontavano erano materiale grezzo: la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua volontà di documentare o informare, quanto in quella di esprimere. Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma, sapevamo fin troppo bene che quel che contava era la musica e non il libretto, mai si videro formalisti cosi accaniti come quei contenutisti che eravamo, mai lirici cosi effusivi come quegli oggettivi che passavamo per essere….”. E dopo una così invitante presentazione non ci resta che iniziare l’analisi.

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EDIZIONE CONSULTATA

II romanzo, pubblicato nel 1947 da Einaudi (Torino), è il primo libro di Italo Calvino. Sempre da Einaudi sono uscite due successive edizioni con molte differenze testuali. La seconda, del 1954, è accompagnata da una Nota, anonima ma di Calvino; la terza, del 1964, quella che ho letto, da un’importante Prefazione firmata, sulla genesi del romanzo e sul neorealismo alla quale farò spesso riferimento perché costituisce un’importante guida per l’analisi del romanzo: attraverso la prefazione l’autore stesso infatti ci fornisce le chiavi d’interpretazione dell’opera. Presso la fondazione del Premio «Ater-Riccione» (vinto dal romanzo nel ’47) esiste un dattiloscritto con correzioni autografe, il cui testo è vicino a quello della prima edizione, ma differente nell’incipit e nel finale. L’analisi delle modifiche intercorse tra le redazioni evidenzia un progressivo tentativo di rendere omogeneo il testo eliminando passi male inseriti nel contesto narrativo, un ridimensionamento nella trattazione dei temi della violenza e del sesso, una crescente attenuazione della misoginia e della polemica antifemminile ed una diversa caratterizzazione di alcuni personaggi.

TRAMA

Ambientato nei mesi della Resistenza, tra i vicoli di una città ligure della Riviera di Ponente ed i boschi e le valli in cui si svolge la guerra partigiana, II sentiero dei nidi di ragno racconta la storia di Pin, un bambino solo e desideroso di appartenere al mondo degli adulti del vicolo e dell’osteria, dai quali cerca di farsi accettare. Insultato per le relazioni che la sorella intrattiene con i militari tedeschi e sfidato a provare la sua fedeltà, Pin sottrae all’amante della donna una pistola e la nasconde in campagna, nel luogo in cui è solito rifugiarsi, dove i ragni fanno il nido. L’azione mette in moto una sequenza d’eventi che lo portano ad entrare in contatto con quel mondo degli adulti che gli sembrava misterioso: è preso dai tedeschi; durante l’interrogatorio non riuscendo ad ottenere alcun’informazione da Pin, i tedeschi decidono di arrestarlo; condotto in prigione Pin incontra Pietromagro, il padrone della bottega dove Pin era solito lavorare. Oltre a Pietromagro, Pin incontra anche Lupo Rosso, un partigiano dalla grande fama che era stato catturato prima di lui e che ogni giorno in carcere veniva interrogato e malmenato. Grazie all’aiuto di Lupo Rosso Pin riesce a scappare, ma una volta fuori prigione si perde ed inizia a vagare da solo nel bosco fino all’incontro con Cugino che lo porta al suo accampamento e lo presenta alla banda partigiana del Dritto, composta di personaggi dubbi e poco eroici. Pochi giorni dopo però scoppia un incendio nell’accampamento a causa di una distrazione del Dritto, e tutti sono costretti a fuggire e a ripararsi in un vecchio casolare con il tetto sfondato. Qui arrivano il comandante Ferriera e il commissario Kim, che saputo di quanto accaduto vanno a trovare gli uomini dell’accampamento, anche per riferire di una battaglia che si sarebbe svolta in un monte lì vicino e che avrebbe chiesto la partecipazione di tutti. Una volta che tutti gli uomini dell’accampamento sono tornati dalla battaglia Pin decide di canzonare tutti e mentre fa questo rivela a Mancino, il cuoco, di quanto è successo tra sua moglie Giglia e il capitano, che interviene per farlo zittire, quasi rompendogli le braccia. Pin, offeso e arrabbiato, fugge e, ritornato al posto dei nidi dei ragni scopre che Pelle, un giovane partigiano giustiziato dai compagni perché faceva la spia, aveva rubato la sua pistola. Fortunatamente la ritrova nelle mani di sua sorella e dopo avergliela presa scappa anche da lei. Solo e sconsolato, mentre vagava per i sentieri vicini alla cittadina incontra Cugino al quale presta la pistola. Il partigiano la userà, forse, per giustiziare la sorella di Pin, ma poi ritornerà da lui e lo terrà con sé.

GENERE

Romanzo

TIPOLOGIA

Il romanzo è un caposaldo della letteratura neorealista che come scrive Calvino: “…non fu una scuola. Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite alla letteratura…Ci eravamo fatta una linea, ossia una specie di triangolo: I Malavoglia, Conversazione in Sicilia, Paesi tuoi, da cui partire ognuno sulla base del proprio lessico locale e del proprio paesaggio…”. L’autore non poteva sapere allora l’esito fortunato delle fatiche letterarie di coloro che seguirono queste poche direttive. Sapeva però che il suo romanzo doveva essere in continua tensione, sapeva che grande importanza avrebbe dovuto dare allo stile, alla lingua, alla tensione narrativa, al ritmo, sapeva che il vivo realismo che doveva trasparire doveva essere lontano dal naturalismo. Nasce in questo modo il romanzo che diventa uno dei più importanti della letteratura della Resistenza, “…la Resistenza; come entra questo libro nella «letteratura della Resistenza»? Al tempo in cui l’ho scritto, creare una « letteratura della Resistenza » era ancora un problema aperto, scrivere « il romanzo della Resistenza » si poneva come un imperativo; a due mesi appena dalla Liberazione nelle vetrine dei librai c’era già Uomini e no di Vittormi, con dentro la nostra primordiale dialettica di morte e di felicità; i « gap » di Milano avevano avuto subito il loro romanzo, tutto rapidi scatti sulla mappa concentrica della città; noi che eravamo stati partigiani di montagna avremmo voluto avere il nostro, di romanzo, con il nostro diverso ritmo, il nostro diverso andirivieni…”. Poche idee ma chiare: un romanzo che raccontasse con vivo realismo la Resistenza dell’autore e dei suoi compagni partigiani liguri.

DEDICATARIO

Il romanzo è dedicato A Kim, e a tutti gli altri, con evidente riferimento ai compagni e amici partigiani con i quali aveva condiviso la sua esperienza di lotta contro gli oppressori. Nel giovane Calvino appena ventitreenne era ancora vivo il ricordo di quei giorni passati sulle montagne, delle attese interminabili, dei combattimenti, ma soprattutto dell’amicizia con i compagni che nasceva dalla condivisione di un’unica grande idea: combattere per tornare a essere quello che si era prima della guerra. Nel romanzo Kim è un commissario e a lui nel nono capitolo è affidato un lungo discorso ideologico sulla guerra e il suo personaggio è ispirato a un amico dell’autore, a lui coetaneo che dopo la guerra intraprese la carriera di medico. Con lui Calvino era solito passare serate intere a discutere, e l’argomentare freddo e analitico, qualcosa delle loro discussioni sono confluite in Kim. La dedica a Kim è quindi un saluto al suo amico, un modo per sottolineare l’importanza ideologica del suo personaggio,  forse perché in Kim vivono gli stessi intimi pensieri del giovane Calvino.

TITOLO

Il titolo sembra abbastanza strano e particolare per un romanzo sulla resistenza e al contrario contribuisce a dare un tono favoleggiante alla storia. Il sentiero dei nidi di ragno è un luogo simbolico: i ragni non fanno i nidi, nessuno vede le tane dei ragni, ma Pin conosce proprio il posto dove questa magia si compie, ed è un luogo segreto, inviolabile della cui conoscenza nessuno è degno abbastanza. Questo è il posto che per Pin incarna la sua necessità di vivere la fanciullezza, il luogo segreto dove il bambino può sentirsi al sicuro il luogo magico e incorrotto dove nascondere la pistola “magica”, il luogo dove Pin riesce ad essere a tutti gli effetti bambino. Ma la guerra porta la distruzione anche in questo paradiso perduto che il giovane partigiano disertore Pelle distrugge nella foga di trovare la P38: è la realtà, la guerra che impedisce a Pin di essere un bambino e che sconvolge le leggi della vita. Per fortuna ci sarà Cugino che ritroverà Pin proprio in questo luogo, e dandogli l’affetto che ha sempre cercato lo saprà consolare, e gli darà la speranza di rivedere un giorno il suo posto segreto bello e incorrotto come era prima, la speranza cioè di poter ritornare a vivere la sua vita di bambino.

PROTAGONISTA

Pin è il protagonista del romanzo, un bambino orfano di entrambi i genitori, allevato dalla sorella prostituta, abbandonato perciò a se stesso e libero di fare sempre ciò che vuole; è il garzone del ciabattino Pietromagro, ma non si reca mai al lavoro preferendo girare per il paese. La sera solitamente va all’osteria dove degli uomini gli offrono da bere e gli chiedono di cantare con la sua voce rauca, da bambino vecchio. Pur sentendo questi uomini a lui più vicini dei “mocciosetti” della sua età, tra loro si sente sempre escluso, di troppo ed essi gli sembrano misteriosi, ambigui “con quella loro fissa di donne e di armi”. Pin è molto influenzato dal mondo degli adulti, dai loro vizi di cui scherza, ma che non comprende del tutto. Quando la storia ha inizio, Pin è un ragazzino scanzonato; preferisce andare in giro piuttosto che lavorare, in apparenza è molto sicuro di sé (si capisce dal fatto che non si fa problemi a intromettersi nei fatti altrui e a raccontarli), ma in realtà è pieno di dubbi e di complessi, perchè ha una personalità ancora in formazione e in mancanza di una guida stabile (come potrebbero essere stati dei genitori) non riesce a capire come effettivamente funzioni la realtà; all’occorrenza è eccessivamente sfacciato, non si ferma nei suoi scherzi neanche quando capisce di aver esagerato e per questo motivo molti hanno paura di quello che lui potrebbe dire. Nel corso del romanzo vive una serie di esperienze che lo fanno maturare, finchè non diventerà un “adulto”. Il furto della pistola per conto degli uomini dell’osteria lo renderà per la prima volta cosciente di aver commesso un’azione sbagliata; ciò comporterà una serie di reazioni a catena. Dopo aver nascosto l’arma dove i ragni fanno le tane, viene portato in carcere dove conoscerà il giovane partigiano Lupo Rosso, che lo aiuterà a evadere, ma lo lascerà quasi subito solo, finché non incontrerà Cugino. Questo lo condurrà con sé all’accampamento dei partigiani capitanati dal Dritto. Qui divertirà tutti gli uomini con i suoi scherzi e le sue canzoni come faceva in paese. Vivrà anche delle esperienze, quali l’uccisione di un compagno e quella di due soldati tedeschi, che gli fanno toccare da vicino la morte, il tradimento di Pelle, che lo metterà a contatto con l’egoismo umano. L’ascoltare le diverse esperienze dei compagni lo renderà conscio di diverse realtà, l’assistere in disparte ad una battaglia gli farà provare la gioia di aver vinto il nemico, l’uccisione del corvo di Mancino da parte dello stesso farà capire al bambino che spesso la crudeltà umana supera gli affetti. Tutto ciò andrà avanti fino a quando non si sentirà costretto a fuggire a causa di battute troppo pesanti nei confronti del capo, di Giglia e Mancino. In conclusione, quando, dopo il lungo periodo passato con i partigiani, torna a casa, scopre che la sorella si è fidanzata con un tedesco, si trova per questo motivo a pensare male di lei: in questo momento ritrova la sua città deserta (a causa delle retate fasciste) e quindi completamente cambiata, tanto da non riconoscerla più come sua. Il romanzo si concluderà infine con il ritorno al sentiero dei nidi di ragno, stavolta però non solo, ma con Cugino, il Grande Amico da tanto tempo cercato. Tutta la vicenda è centrata intorno a Pin, alla sua solitudine e alla sua continua ricerca di un Grande Amico con cui condividere gioie e dolori, a cui poter mostrare dove fanno i nidi i ragni e a cui ciò interessi più delle donne.

Del suo aspetto fisico ci sono forniti pochi dati: sappiamo che è di corporatura esile e che “le lentiggini gli divorano la faccia come uno sciame di vespe”. Anche sulla sua età sappiamo ben poco, è un ragazzino, ma non sappiamo quanti anni ha. Tuttavia dai non molti indizi possiamo formulare un’ipotesi: quando viene portato in carcere, gli viene offerto di diventare balilla per non essere imprigionato. Poichè l’età dei balilla era compresa tra gli undici e i quattordici anni, siamo sicuri che egli sia in quella fascia d’età. Pin ha nella sua esistenza di personaggio una duplice importante funzione: da una parte è la macchina da presa che con gli occhi di un bambino vecchio osserva le strane e misteriose vicende dei grandi, dall’altra è lui stesso una maschera, perché con la sua vita da ragazzino senza famiglia, che sta con i grandi, nasconde un profondo bisogno di affetto e di una amicizia vera per poter condividere il segreto del posto dove i ragni fanno i nidi, condividere cioè la sua fanciullezza. Pin osserva il mondo dei grandi: a volte è la sorella, che Pin spia con «occhi come punte di spillo» dal ripostiglio stretto e scuro che è la sua camera, a volte sono parole oscure e affascinanti (GAP, troschista, STEN, SIM) alle quali il bambino attribuisce significati favolosi, a volte è l’umanità storta e ben poco eroica del distaccamento del Dritto. Come in una favola ( perché questa dopo tutto è  una storia di una favolosa realtà) la pistola diventa l’oggetto magico, è la scarpetta di Cenerentola,  l’anello che rende invisibili, la bacchetta magica che permette a Pin di entrare nel mondo favoloso dei grandi. In questo mondo tanto strano Pin deve affrontare la guerra, che è nei suoi occhi un grande gioco, al quale vuole partecipare come fanno i bambini quando si impuntano su qualcosa. Ma è un gioco troppo difficile e pericoloso del quale lui non può far parte, si accontenta allora di osservare da fuori lo strano comportamento di quelle strane e fantastiche caricature di uomini che popolavano la foresta proprio come delle creature magiche o degli elfi. Il suo ruolo sarà allora quello al quale è più abituato, sarà il moccioso dell’osteria che canta canzonacce, impreca senza un attimo di pausa e si diverte a prendere in giro i grandi. Pin è in questo senso la bocca della verità: i suoi occhi da bambino spesso gli permettono di cogliere la realtà così come è, vera e reale, e la sua posizione privilegiata di ragazzino-mascotte lo trasformano in un inconsapevole moralista che per canzonare gli altri non fa altro che dire la verità che inconsciamente percepisce. Nulla è più distorto della verità in una guerra, sembra dirci Calvino, e nulla può fare imbestialire di più della presa di coscienza di quella verità. Pin non capisce tante cose del mondo dei grandi, ne sono un esempio le parole che usa ma che non conosce, ma riesce a leggere nell’anima delle persone grazie a quella piccola parte di purezza che conserva ancora nel suo cuore di bambino. Ma anche questa è in fondo una maschera, Pin gioca la parte del ragazzino strafottente e scanzonato ma in realtà in ogni sua esperienza cerca di colmare il suo vuoto di affetto, di amicizia, di sentimenti veri, il suo bisogno di una carezza, il suo bisogno di essere quello che è: un bambino.

PERSONAGGI

Le descrizioni dei personaggi sono prese direttamente dal testo di Calvino e risentono quindi del punto di vista di Pin. Tutti i personaggi hanno una rapida caratterizzazione esteriore fatta di brevi flash, piccoli particolari fisici che sembrano riproporre il modo di ragionare di un bambino che ricorda di una persona solo ciò che lo ha incuriosito o colpito di più. Una caratteristica che li accomuna tutti è il fatto di essere identificati non con il nome proprio ma con il soprannome, fatto che sempre di più li fa assomigliare ai personaggi di una favola. L’impressione che si ricava dalla loro caratterizzazione interiore è ancora una volta quella di essere alle prese con i ricordi di un bambino, che non giudica le persone ma ne resta sempre meravigliato o in positivo o in negativo, i personaggi sono tutti gli abitanti di un mondo fiabesco e con le loro azioni tanto incomprensibili fanno quella che è per Pin la Storia.

Nei pressi del Carruggio Lungo troviamo personaggi legati all’ambiente della  Brigata Nera:

FRICK
Frick è un marinaio tedesco originario di Amburgo, paese assediato dalla guerra e dove vivono sua moglie ed i suoi bambini. Ha un temperamento tipicamente meridionale sebbene sia nato nelle terre del Mare del Nord; questo lo porta ad affezionarsi in modo inusuale alle prostitute dei paesi occupati. Una di queste è la sorella di Pin che lo aveva come cliente fisso ogni qual volta venisse a trovarsi nei paraggi. Ha una faccia senza contorno rasa fino alle tempie. A lui Pin ruba la pistola.

LA SORELLA DI PIN
Detta la “Nera di Carrugio Lungo”, è una prostituta, che ha allevato Pin fin dalla prima infanzia, anche prima della scomparsa dei loro genitori, perché la madre non li curava. Ci viene detto che il letto nella camera di Rina (questo è il suo vero nome) era sempre sfatto, che lasciava sempre tutto in disordine e che non teneva pulita e in ordine le misere stanze dove vivevano. Ci è data un’ampia descrizione fisica che connota negativamente la sua figura: ha i capelli neri, la faccia lunga quasi equina e i peli le invadono le gambe e le ascelle, dandole l’aspetto di una scimmia agli occhi di Pin. Non è particolarmente amorevole nei confronti del fratello; spesso lo picchia e non si cura mai di sapere dove sia durante la giornata, mentre la sera, quando lei riceve i suoi clienti, non si accorge quasi se il bambino sia o meno in casa. Caratterialmente si dimostra egoista ed opportunista; dopo la fuga del fratello sarà vista al braccio di un soldato tedesco, per essere al sicuro dalle retate fasciste (che decimavano gli abitanti della città) e per condurre una vita agiata, in una dimora più comoda e con dei bei vestiti.

Nei boschi sulle montagne dell’entroterra ligure, come gli elfi dei boschi, troviamo invece i partigiani. Bella e favolosa come sempre è la descrizione dei partigiani che ci da Calvino nel quinto capitolo “…possono sembrare anche dei soldati, una compagnia di soldati che si sia smarrita durante una guerra di tanti anni fa, e sia rimasta a vagare per le foreste, senza più trovare la via del ritorno, con le divise a brandelli, le scarpe a pezzi, i capelli e le barbe incolte, con le armi che ormai servono solo a uccidere gli animali selvatici…”. I partigiani di Calvino non sono certo degli eroi, degli uomini onesti, e questa scelta di Calvino viene giustificata sia come polemica ai benpensanti che tanto dissero ma che poco fecero di concreto, sia perché Calvino non vuole imitare la letteratura dei grandi eroi.

PELLE
Pelle è un ragazzo gracile, sempre raffreddato, con dei piccoli baffi sopra le labbra sbavate dall’arsura. Si vanta di conoscere ogni più piccolo nascondiglio del bosco; ha due passioni che lo “divorano”: le armi e le donne. E’ un giovane che ha girato tutta l’Italia con i campeggi e le marce degli avanguardisti ed ha sempre maneggiato le armi. E’ stato persino nelle case di tolleranza di tutte le città, pur non avendo l’età prescritta. Pelle alcune volte va in città e quando torna è sempre carico di armi: riesce a scoprire dove sono nascoste e rischia ogni volta di farsi prendere pur di aumentare il suo armamento. Non è un buon compagno, Pelle era entrato nella Brigata Nera, solo per avere un mitra, pretendeva il diritto di proprietà su ogni arma che aveva procurato, non permettendo ai suoi compagni di usarle. Scommette con Pin che riuscirà a rubargli la P38 che lui aveva nascosto nel sentiero dei nidi di ragno; dopo essere riuscito nella sua scommessa tradisce i partigiani alleandosi con le Brigate Nere, ma a sua volta verrà giustiziato da una spedizione di partigiani in incognito alla quale partecipò anche Lupo Rosso.

CONTE, MARCHESE, DUCA E BARONE
Conte, Marchese, Duca e Barone sono quattro cognati calabresi: sono venuti dal paese per sposare quattro sorelle emigrate da quelle parti, e stanno sempre per conto loro sotto la guida di Duca che è il più anziano e si fa rispettare. Duca ha un berretto tondo di pelo, abbassato su uno zigomo e baffi dritti sulla faccia fiera; porta sempre con sé una pistola molto grande che utilizza quando qualcuno lo contraddice. Prima di entrare nella brigata, faceva il macellaio clandestino e continua a fare questo mestiere quando c’è bisogno di aiuto in cucina. Marchese ha la faccia spugnosa e la fronte occupata dai capelli; è l’unico dei quattro che perde la vita durante un combattimento contro i tedeschi. Conte è un uomo magro e molto alto ed è sempre malinconico; Barone, il più giovane, ha un grande cappello nero e un occhio strabico, porta con sé la medaglietta della Madonna appesa all’occhiello. Spesso i quattro cognati vanno a valle verso le coltivazioni di garofano, dove vivono le sorelle loro spose. In questo luogo sono coinvolti in duelli misteriosi con le brigate nere, come se facessero una guerra per conto loro per antiche rivalità familiari.

ZENA il LUNGO
Zena il lungo è detto “berretta di legno” e “labbra di bue”: questi appellativi riflettono l’eccessiva pigrizia del personaggio; il genovese infatti passa giornate intere senza uscire dall’accampamento e sdraiato sul fieno legge un libro intitolato “Supergiallo” al chiarore di un piccolo lume ad olio. E’ capace di portarsi il libro anche durante le azioni di guerra e di continuare a leggerlo seduto sul serbatoio del mitragliatore mentre aspetta l’arrivo dei tedeschi. Le sue storie preferite sono racconti di uomini che spariscono in misteriosi quartieri cinesi. E’ sempre l’ultimo a prendere sonno; soffiando sul lumino chiude la pagina del libro e si addormenta con la guancia sulla copertina.

CARABINIERE
Carabiniere è un altro partigiano della Brigata del Dritto; il suo nome allude al precedente mestiere da lui svolto.E’ considerato più ignorante di Duca e più pigro di Zena il Lungo. Fu suo padre ad arruolarlo nei Carabinieri, dopo aver visto che era incapace come contadino (la polemica contro i Carabinieri prende qui dei toni simili ad una classica barzelletta). Ascoltato il consiglio del padre, si arruolò e prestò servizio nelle città e nelle campagne senza mai capire quello che gli facevano fare. Dopo l’inizio della guerra il suo compito era diventato quello di arrestare i genitori dei disertori, finché un giorno, quando venne a sapere che lo dovevano portare in Germania perché dicevano che credeva nel re, lui scappò. I partigiani in un primo momento volevano vendetta per via di quei genitori arrestati, poi capirono che Carabiniere non aveva fatto ciò con cattiveria, ma solo perché lo avevano obbligato e lui, forse, non capiva la gravità delle sue azioni; decisero quindi di arruolarlo nel distretto del Dritto, poiché era stato rifiutato negli altri dipartimenti.

DRITTO
Il Dritto è un giovane molto magro, figlio di meridionali emigrati, con un finto sorriso sulle labbra, uno strano movimento delle narici e palpebre abbassate dalle lunghe ciglia. Di professione faceva il cameriere; a lui piaceva fare questo lavoro, ma avrebbe preferito stare tutto l’anno sdraiato al sole. Invece ha una furia che lo tiene sempre in moto e gli mette addosso una grande passione per le armi. Al comando di brigata hanno delle prevenzioni contro di lui, poichè sono arrivate informazioni poco buone sul suo conto dal comitato; nelle azioni di guerra infatti vuole sempre “fare di testa sua” e ama molto comandare e poco dare l’esempio. Però, quando vuole, è molto coraggioso ed è per questo che gli hanno affidato quel distaccamento, su cui non si può fare gran affidamento e serve per tenere isolati degli uomini che potrebbero rovinare gli altri. Quando è venuto a saperlo, il Dritto si è sentito offeso e da quel momento cominciò a passare le giornate sdraiato sul letto nel casolare, con le braccia sotto la testa e le lunghe ciglia abbassate sugli occhi. Il Dritto dice di essere malato e vuole ritirarsi dal comando del distaccamento. La sua lettura preferita è “Il conte di Montecristo”, romanzo che narra la storia di un uomo che evaso di prigione, dato per morto, cambia la sua identità e restando nell’ombra rovina coloro che lo avevano fatto condannare; probabilmente il Dritto si è trovato tradito dalla vita e cerca di ritrovare un riscatto con la guerra.

CUGINO
Cugino è descritto come una specie di orco terribile e buono, un omone dai baffi spioventi e rossicci, occhi azzurri, sdentato e con il naso un po’ schiacciato. Porta uno strano cappello di lana con il bordo ricamato ed un pon-pon in cima. La mano che ripetutamente tende a Pin è grandissima, calda e soffice, sembra fatta di pane, eppure è capace di uccidere senza incertezze. Alla fine giustizierà anche la sorella prostituta di Pin per la sua collaborazione con i fascisti. E’ una persona un po’ scontrosa e solitaria; gira spesso da solo, ma è generoso e coraggioso. Pensa fermamente che la causa della guerra siano le donne e si lamenta sempre, sembra che lui solo sappia quanto la guerra sia faticosa; Cugino è più noioso di Mancino quando si mette a raccontare la sua storia sulle donne, ma si capisce che non vuole convincere nessuno e si lagna per conto suo. Racconta di aver attraversato l’Albania, la Grecia, la Francia e l’Africa e di aver fatto ottantatrè mesi di militare negli alpini. Possiamo capire l’origine del suo odio per le donne quando lui, nel raccontare la sua storia, dice di aver avuto una moglie che, mentre lui era in guerra, lo tradiva con altri uomini ricevendo in cambio denaro. Cugino è un uomo che preferisce restare amico di tutti, ma non parla mai dietro le spalle e dice tutto senza peli sulla lingua. Pin si affeziona moltissimo a Cugino, sin dal giorno del loro primo incontro e permette solo a lui di entrare in quel luogo magico che è per lui il sentiero dei nidi di ragno.

MANCINO e GIGLIA
Mancino è il cuoco del distretto partigiano. E’ un uomo anziano, con un giubbotto da marinaio e con un cappuccio di pelo di coniglio sulla testa calva; Pin crede che sia uno gnomo che abita in una casetta in mezzo al bosco. L’appellativo “Mancino” fa probabilmente riferimento all’estremismo del personaggio. Porta sempre con sé Babeuf, un piccolo falco che è la mascotte del distaccamento. Il nome del falchetto è simbolico: Babeuf fu infatti il primo rivoluzionario in senso moderno, insorse contro il Terrore Bianco durante la Rivoluzione Francese difendendo teorie politiche  che si avvicinavano al moderno comunismo, il suo nome costituì un simbolo della guerra partigiana.
Giglia è la moglie di Mancino: è una donna molto bella e dagli occhi verdi. Accoglie Pin come un figlio ma di fare la madre proprio non era capace, nelle sue azioni “materne” era mossa più dalla compassione che dall’affetto. E’ una donna ancora giovane sebbene un po’ sfiorita e svolge nel romanzo un ruolo negativo, è, come tutte le donne negli occhi di Pin, oltre che incapace di sentimenti materni, infedele al marito, è infatti l’amante del Dritto con lui tradisce il marito ogni volta che va in spedizione.

LUPO ROSSO
E’ un giovane partigiano di sedici anni noto per le sue scorrerie e per i colpi che fa incassare ai fascisti. E’ di idee comuniste, o meglio, come tiene a precisare, leninista.
Prima di entrare nella brigata del Biondo, ha lavorato come meccanico alla Todt, per imparare come funzionassero le armi da fuoco, da sempre sua grande passione. Cambia identità dopo l’esplosione di un ponte della ferrovia in cui non si sa più niente del meccanico; da allora diventa per tutti Lupo Rosso, il solo nome Lupo non gli piaceva perché considerava quell’animale un simbolo fascista, e allora si fece aggiungere Rosso, colore tipico del comunismo. Pin entra in contatto con lui quando viene messo in carcere: stanno aspettando il rancio e il giovane protagonista lo riconosce: dopo un breve colloquio, Lupo Rosso gli offre la minestra, perché è tisico (e quindi sputa sangue) a causa delle troppe percosse ricevute dalle squadracce fasciste e quindi non può mangiare. Pin ha una grande stima di lui, perché non gli interessano le donne e perché lo tratta come un bambino; questo a lui piace. Lupo Rosso non è simpatico, quando parla ha quasi lo stesso tono dei fascisti che interrogano e c’è qualcosa in lui che lo fa apparire inaffidabile. E’ l’unico personaggio di cui viene detta con precisione l’età; fisicamente ci viene detto che Lupo Rosso è un ragazzo grande e grosso, con la faccia livida e i capelli rasi sotto un cappello a visiera.

IL COMMISSARIO KIM
A lui è dedicato il libro e un intero capitolo lo vede al centro della narrazione.
E’ uno studente di medicina con il progetto di diventare psichiatra: tutto infatti per lui deve essere logico, negli uomini così come nella storia. Per il suo enorme bisogno di sicurezza sulle cause e sugli effetti e di logica ha scelto la facoltà di medicina, perché la spiegazione di tutto sta nelle cellule in moto e non nella filosofia.
Tuttavia è pieno di umanità: lo si nota da come parla agli uomini della brigata, da come spiega, o tenta di spiegare, a Ferriera quel furore che è in tutti noi, innato, per cui tutti combattono, dai fascisti, ai partigiani, agli intellettuali, agli operai, ai contadini. Inoltre, benché nel parlare con gli uomini si dimostri chiaro e logico, quando è solo i fatti gli appaiono misteriosi e magici, la vita umana miracolosa; inoltre non si sente sereno, forse perché non sa di preciso che cosa vuole, perché combatte, mentre capisce appieno per che cosa combatte ciascuno degli uomini del Dritto, perché combatte Pin, perché combatte Pelle, persino perché combatte Ferriera. Il nome di battaglia del personaggio, Kim, è quello del protagonista dall’omonimo romanzo di Kipling. Calvino stabilisce con lui un rapporto di immedesimazione. Questo personaggio è il riflesso di Kim, intellettuale borghese che vive e sperimenta la contraddizione di chi mette in discussione per la prima volta la propria posizione. Kim è un pi anche Pin, ma reso più consapevole dalla forza dell’intelligenza, i due personaggi sono accomunati da una stessa natura problematica ed egocentrica, dilaniata da dilemmi senza risposta.

IL COMANDANTE FERRIERA
E’ un operaio nato in montagna, e per questo il suo modo di fare è schietto e limpido, a volte un po’ freddo come quello di tutti i montanari. Avendo lavorato per anni nella fabbrica, è convinto che tutto debba muoversi con perfezione e regolarità, come in una macchina. Entra in scena nel libro quando deve annunciare la battaglia insieme a Kim. A differenza di quest’ultimo, sostiene che nello squadrone del Dritto, siano stati raggruppati gli uomini che valgono meno e vorrebbe dividerlo. Poco ci viene detto del suo aspetto fisico: di lui sappiamo soltanto che porta una barba bionda.

 

NARRATORE

“…ma credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori d’un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale. A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…”. Il giovane Calvino un po’ intimorito dalla materia che si trovava a trattare e del ruolo sociale che poteva rivestire e un po’ come fece Umberto Eco quando nel Nome della rosa creò una serie di manoscritti e falsi autori in un sistema di scatole cinesi per pararsi le spalle e rompere l’impatto di una narrazione diretta, decide di prendere il punto di vista di un bambino. Con gli occhi non proprio innocenti di Pin, vengono narrate le vicende da un narratore che si mantiene il più possibile oggettivo. Il narratore assume un ruolo particolare fino ad annullarsi completamente nel personaggio di Pin ma continuando a mantenere le caratteristiche tipiche di un narratore esterno come l’onniscienza. Lo sguardo di Pin è uno sguardo che viene dal basso e questo porta con sé implicazioni non secondarie: la guerra è raccontata attraverso lo sguardo limpido e dispettoso di un bambino che vede il mondo con la schiettezza di un’immagine scattata da una macchina fotografica, non perché ne sia consapevole ma perché non possiede la capacità di distinguere il bene dal male. L’oggettività, d’altra parte, garantisce a Calvino l’imparzialità, l’anonimato garantiva l’universalità della sua esperienza come si spiega appunto nella prefazione: “…Per mesi, dopo la fine della guerra, avevo provato a raccontare l’esperienza partigiana in prima persona, o con un protagonista simile a me. Scrissi qualche racconto che pubblicai, altri che buttai nel cestino; mi muovevo a disagio; non riuscivo mai a smorzare del tutto le vibrazioni sentimentali e moralistiche; veniva fuori sempre qualche stonatura; la mia storia personale mi pareva umile, meschina; ero pieno di complessi, d’inibizioni di fronte a tutto quel che più mi stava a cuore. Quando cominciai a scrivere storie in cui non entravo io, tutto prese a funzionare: il linguaggio, il ritmo, il taglio era no esatti, funzionali; più lo facevo oggettivo, anonimo, più il racconto mi dava soddisfazione; e non solo a me, ma anche quando lo facevo leggere alla gente del mestiere che ero andato conoscendo in quei primi tempi postbellici, – Vittorini e Ferrata a Milano, Natalia e Pavese a Torino, – non mi facevano più osservazioni. Cominciai a capire che un racconto, quanto più era oggettivo e anonimo, tanto più era mio. Il dono di scrivere « oggettivo » mi pareva allora la cosa più naturale del mondo; non avrei mai immaginato che così presto l’avrei perduto. Ogni storia si muoveva con perfetta sicurezza in un mondo che conoscevo così bene: era questa la mia esperienza, la mia esperienza moltiplicata per le esperienze degli altri. E il senso storico, la morale, il sentimento, erano presenti proprio perché li lasciavo impliciti, nascosti…”.

TEMPO

La vicenda si svolge negli anni della Resistenza e copre una durata relativamente breve, anche se nel romanzo non c’è alcuna indicazione che ci aiuti a capire l’estensione temporale delle vicende. Anche il periodo dell’anno non è stato precisato, ci si trova forse in primavera ma la sera fa ancora abbastanza fresco da dover accendere il fuoco. Il particolare rapporto tra il tempo della storia e il tempo del racconto conferisce alla narrazione una particolare vivacità, un ritmo incessante che spinge sempre il lettore ad andare più avanti nella lettura: è l’andamento ineluttabile e incontrovertibile della storia che porta con sé gli eventi sui quali non c’è tempo di riflettere se non quando tutto è finito (…quando è finito il libro…), e proprio questo era lo scopo dell’intellettuale in quel periodo secondo Calvino. All’intellettuale spettava dare un senso alla Resistenza e alle sue perdite e conquiste che andasse al di là dell’ideale politico. Il ritmo quindi riporta la vita stessa dei partigiani, il loro incessante camminare per le montagne liguri. La fabula e l’intreccio coincidono in massima parte, anche se non manca qualche flash-back come per esempio il racconto per bocca di Lupo Rosso dell’uccisione di Pelle. L’unica grande determinazione temporale è quella della Resistenza, per il resto tutto resta vago e non preciso, ancora una volta proprio come nelle favole.

 

LUOGHI

“Il mio paesaggio era qualcosa di gelosamente mio…un paesaggio che nessuno aveva mai scritto davvero…Io ero della Riviera di Ponente; dal paesaggio della mia città – San Remo – cancellavo polemicamente tutto il litorale turistico – lungomare con palmizi, casinò, alberghi, ville – quasi vergognandomene; cominciavo dai vicoli della Città vecchia, risalivo per i torrenti, scansavo i geometrici campi dei garofani, preferivo le « fasce » di vigna e d’oliveti coi vecchi muri a secco sconnessi, m’inoltravo per le mulattiere sopra i dossi gerbidi, fin su dove cominciano i boschi di pini, poi i castagni, e così ero passato dal mare – sempre visto dall’alto, una striscia tra due quinte di verde – alle valli tortuose delle Prealpi liguri. Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos’altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone. Il romanzo che altrimenti mai sarei riuscito a scrivere, è qui. Lo scenario quotidiano di tutta la mia vita era diventato interamente straordinario e romanzesco: una storia sola si dipanava dai bui archivolti della Città vecchia fin su ai boschi; era l’inseguirsi e il nascondersi d’uomini armati; anche le ville, riuscivo a rappresentare, ora che le avevo viste requisite e trasformate in corpi di guardia e prigioni; anche i campi di garofani, da quando erano diventati terreni allo scoperto, pericolosi ad attraversare, evocanti uno sgranare di raffiche nell’aria. Fu da questa possibilità di situare storie umane nei paesaggi che il « neorealismo »…”. Ha detto tutto lui, e io adesso cosa devo fare? Dico che è proprio così, il paesaggio è quello delle Prealpi liguri e che questo vive negli stessi personaggi senza bisogno di lunghe descrizioni, a Calvino bastano poche parole per schizzare l’ambiente, e le vicende stesse contribuiscono a dare vitalità ai luoghi. Particolarmente suggestiva è la visione della natura agli occhi di Pin, il bambino sfoga la sua sofferenza sempre nascosta sulla natura che lo circonda, che da incontaminata e fresca come una tela del più grande pittore impressionista si trasforma in una tela storpiata e raccapricciante degna di un espressionista. “Chissà che cosa succederebbe a sparare a una rana, si domanda, forse resterebbe solo una bava verde schizzata su qualche pietra; e poi infilza i ragni su lunghi stecchi per osservarli con gelida attenzione, un piccolo ragno nero, con dei disegnini grigi come sui vestiti d’estate delle vecchie bigotte; e ancora i grilli, con la loro assurda faccia di cavallo verde, li taglia a pezzi per fare strani mosaici con le zampe su una pietra liscia”. Come quando il Dritto gli ordina di seppellire il falchetto morto di uno dei partigiani: “Verrebbe voglia di buttare il falchetto nella grande aria della vallata e vederlo aprire le ali, e alzarsi a volo, fare un giro sulla sua testa e poi partire verso un punto lontano. E lui, come nei racconti delle fate, andargli dietro, camminando per monti e per pianure, fino a un paese incantato in cui tutti siano buoni. Invece Pin depone il falchetto nella fossa e fa franare la terra sopra, con il calcio della zappa”.

 

CONTESTO

Come abbiamo visto, il desiderio di esprimere la Resistenza è il motore stesso che spinge il giovane autore a cimentarsi nella stesura del suo primo romanzo, solo a posteriori Calvino riesce a interpretare la sua scelta di raccontare tutto dal punto di vista di un bambino. Il rapporto tra il personaggio Pin e la guerra partigiana corrispondeva simbolicamente al rapporto che con la guerra partigiana si era trovato ad avere Calvino. L’inferiorità di Pin come bambino di fronte all’incomprensibile mondo dei grandi corrisponde a quella che nella stessa situazione provava l’autore, come borghese. “…E la spregiudicatezza di Pin, per via della tanto vantata sua provenienza dal mondo della malavita, che lo fa sentire complice e quasi superiore verso ogni « fuori-legge », corrisponde al modo « intellettuale » d’essere all’altezza della situazione, di non meravigliarsi mai, di difendersi dalle emozioni… Così, data questa chiave di trasposizioni – ma fu solo una chiave a posteriori, sia ben chiaro, che mi servì in seguito a spiegarmi cos’avevo scritto – la storia in cui il mio punto di vista personale era bandito ritornava ad essere la mia storia…”. La materia realistica viene presentata con una prospettiva particolare e inedita, ma viene conservata una forte dose di realismo, la mancanza di parametri di giudizio del bene del male fa sì che l’incapacità di giudicare di Pin e la sua mancanza di moralità fotografi la vita partigiana in modo preciso e privo di condizionamenti.

 

STILE

Il tema caratterizzante del neorealismo a livello stilistico è il tema lingua-dialetto, che qui si trova ad uno stadio primordiale: il dialetto non è usato in modo omogeneo e la lingua non segue un preciso scopo, spesso è arricchita da canzoni e detti popolari che però risultano abbastanza sconnessi con il resto della narrazione. Scrive Calvino: “Scrivendo, il mio bisogno stilistico era tenermi più in basso dei fatti, l’italiano che mi piaceva era quello di chi non parlava l’italiano in casa, cercavo di scrivere come avrebbe scritto un ipotetico me stesso autodidatta…”. Caratteristico è il modo di figurare la persona umana: tratti esasperati e grotteschi, smorfie contorte, lampi descrittivi di una realtà che appare espressionistica. Le deformazioni della lente espressionistica si riflettono in questo libro sui volti che erano stati dei compagni dell’autore, che venivano contraffatti e diventavano irriconoscibili. Altra particolarità a livello linguistico è l’uso di parole, spesso inglesi, che Pin non conosce, si crea così un effetto particolare in cui le parole sono sconosciute da chi le usa, ma prendono significato da parte degli altri personaggi e da parte del lettore. Si crea un effetto di parziale mancanza di comunicazione colmata da una serie di fantasticazioni sul significato dei termini da parte di Pin.

 

TEMATICHE

L’amicizia
Nel testo di Italo Calvino sono presenti tre tematiche principali: la guerra, l’amicizia e l’adolescenza. Indubbiamente la più importante è l’amicizia, filo conduttore del romanzo, da quando all’inizio Pin, rattristato dal fatto che i suoi amici dell’osteria non lo prendano abbastanza in considerazione, si mette “inconsciamente” alla ricerca di un vero amico, qualcuno che lo capisca, cui possa mostrare il magico sentiero dove vanno a fare i nidi i ragni. La ricerca si rivelerà molto più ardua del previsto, poiché per Pin gli adulti si riveleranno una continua delusione, da Lupo Rosso, che lo abbandonerà dopo la fuga del carcere, al Dritto, che tradirà la guerra per una donna. Il suo carattere espansivo, che si rivela nelle battute che egli rivolge ai suoi compagni di truppa, è l’unico appiglio che lo terrà legato al mondo degli adulti, quando questi lo tradiscono, ma, nonostante ciò, l’unico amico che troverà entro la fine della storia, è Cugino cui Pin mostrerà il Sentiero dei nidi di ragno; questo avviene non certo perché questi sia il grande amico che Pin desiderava, ma poiché non gli resta nessun altro al mondo.

La guerra
Altro filone importante è sicuramente quello della guerra. Il romanzo è ambientato nella parte vecchia di Sanremo, città natale dell’autore alla quale è molto legato, durante la seconda guerra mondiale. L’episodio della seconda guerra mondiale, cruda realtà del Novecento, è molto sentito da Calvino ed in parte autobiografico, poiché lo stesso scrittore partecipò al conflitto mondiale insieme al fratello nella seconda divisione d’assalto che operava sulle Alpi Marittime. La morte di Duca poi, presente nel libro, rappresenta forse gli amici che Calvino ha perso, come Felice Cascione. L’esperienza della guerra partigiana risulta quindi decisiva per la sua formazione umana, prima ancora che politica. Il periodo partigiano è cronologicamente breve, ma, sotto ogni altro riguardo, straordinariamente intenso, e come scrisse lo stesso Calvino a Eugenio Scalfari il 6 Giugno 1945: “…la mia vita in quest’ultimo anno è stata un susseguirsi di peripezie, sono passato attraverso un’ inenarrabile serie di pericoli e di disagi; ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato più volte sull’orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto pure di più”. In questa cruda tematica ci si può imbattere nella seconda parte della storia, quando Pin capita nella guarnigione del “Dritto”, comandante dei partigiani. Qui vengono descritti i timori e e le paure di ciascun milite, come questi si preparano prima della battaglia, l’allegria e la serenità che Pin sa trasmettere. Prima di ogni scontro, tra gli uomini del “Dritto” è sempre presente la tensione, inevitabile visto che si sta partendo per una battaglia, che potrebbe non vederli tornare più. I partigiani, ogni volta che manca poco alla battaglia, se la prendono con il cuoco, visto che è abituato a portarsi dietro un piccolo falco, di nome Babeuf, che loro considerano la causa della loro disgrazia. Calvino , tramite Babeuf, sdrammatizza ancora una volta la realtà alleggerendola con ironia.

L’adolescenza
Una tematica importante è sicuramente quella dell’adolescenza. Pin si sente grande, pensa di esserlo diventato prima del tempo ed è proprio il continuo cercare di essere adulto che porta Pin ad essere diffidente verso tutti quelli che lo circondano, poiché, nonostante l’aria scanzonata e baldanzosa che caratterizza la giovinezza, Pin è timido e riservato e appena si sente tradito tronca ogni rapporto.Il romanzo, a mio avviso potrebbe essere considerato un ottimo documento semi-reale che dimostra in ogni tempo la necessità di tutelare l’infanzia. Il diritto all’infanzia viene indirettamente difeso in queste pagine e viene narrata una verità che ancora oggi esiste. Sono note a tutti le vicende dei ragazzi-soldato che ogni giorno combattono contro un nemico che non conoscono, con delle armi più grandi loro, e certamente anche loro, come il nostro piccolo Pin, hanno il loro sentiero di nidi di ragno, la loro infanzia, da difendere.

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