Il mito del Superuomo, nella prima metà del secolo scorso, non affascina solo l’ambiente letterario, ma anche quello politico, anche se le questioni di tale ambiente rimangono estranee al filosofo, dato che il nazionalismo per lui è un punto di vista troppo angusto. Egli è toccato solo da una questione che è già stata messa in gioco nel suo tempo e particolarmente in Germania: l’antisemitismo. Il suo rifiuto energico, spesso direttamente astioso di questo movimento, che determinò la rottura perfino con l’unica sorella, le sue numerose conoscenze ebree, ci fanno oggi apparire completamente incomprensibile il fatto che la Germania razzista del 1933 potesse esaltare proprio Nietzsche come “suo” filosofo. E ancor più grottesco si fa poi la storia, quando si viene a sapere che l’archivio nietzschiano di Weimar, temporaneamente covo ideologico di questa idea di Stato, era stato fondato con capitali ebrei!
L’interpretazione nazista di Nietzsche secondo Baeumler
L’interpretazione nazista di Nietzsche, che ha trovato la più emblematica espressione nel libro di Alfred Baeumler “Nietzsche, il filofoso e il politico” (1931), è stata facilitata da una singolare vicenda filologica, consistente nel fatto che la sorella, Elisabeh Forster-Nietzsche, nel desiderio di fare del fratello il teorico di una palingenesi reazionaria dell’umanità, non esitò, dopo essersi impadronita degli inediti, a manipolare i testi del filosofo, pubblicando nel 1906 la “Volontà di potenza” nella quale il pensiero di Nietzsche assume quella fisionomia anti-umanitaria ed anti-democratica sulla quale farà leva la lettura nazista.
Nella cultura tedesca tra le due guerra, Baeumler gioca un ruolo di primo piano. Egli può essere considerato il filosofo classico della cultura di quel tempo, anzi, il maestro cui si rifanno molti intellettuali del partito nazionalsocialista. Come esprime lo stesso titolo della sua opera, Baeumler sostiene la tesi che Nietzsche sarebbe a un tempo filosofo e politico; non a caso lo studio si divide in due parti fondamentali, rispettivamente intitolate “Nietzsche filosofo” e “Nietzsche politico“, che sono tra loro strettamenta unite. Con ciò Baeumler vuole sottolineare che nel pensiero nietzschiano non si può distinguere il momento teorico da quello pratico. Tale unità inscindibile tra teoria e prassi viene messa particolarmente in evidenza nella seconda parte del suo studio, quando considera Nietzsche come un “pensatore esistenziale“, la sua tematica culturale non si esaurisce nelle polemiche che egli conduce in tutti i suoi scritti nei confronti della cultura del suo tempo, ma è sorretta da un’impostazione metafisica che si esprime nella sua dottrina della volontà di potenza.
L’opera che va sotto la denominazione di “Volontà di potenza“, secondo Baeumler, rappresenta il complesso dei pensieri postumi del filosofo, collegati tra loro secondo una interna coerenza; essi presentano un pensare che ci richiama da vicino quello eracliteo. Considerare uomo e mondo secondo una concezione eraclitea significa considerarli in un continuo divenire che come tale non può mai esaurirsi. Tale concezione filosofica prende il nome di “realismo eroico”. Così le due espressioni “pensiero esistenziale” e “realismo eroico” sono in fondo affini e intendono mettere in luce un filosofare eracliteo come continuo superamento, anzi, come continua lotta. Ora, proprio il concetto di lotta (Kampf), inteso appunto in senso metafisico porta Baeumler a cogliere l’unità del filosofare nietzschiano nei due momenti indissolubili, quello teorico e quello pratico. In altre parole, il concetto metafisico di lotta presenta il terreno comune tra filosofia e politica. si può così dire che Nietzsche è filosofo in quanto è politico o, che è lo stesso, è politico in quanto è filosofo. Così riceve un senso nuovo l’individualismo nietzscheano, dato che l’essenza dell’individuo può realizzarsi solo in una dimensione politica che trova la sua espressione ultima nella concezione dello stato. Lo Stato riceve in tal modo una sua configurazione metafisica, anzi, si rivela come l’espressione ultima del filosofare eroico o del filosofare esistenziale. Baeumler è convinto che, sebbene non si possa dedurre dagli scritti di Nietzsche una dottrina sullo stato, tuttavia le sue riflessioni aprono la via per una nuova dottrina su di esso. D’altra parte, è pure convinzione di Baeumler che il ben noto individualismo nietzscheano non esclude un suo legame intrinseco con lo Stato. Infatti, se Nietzsche parla di individuo, egli intende alludere soltanto alla superiorità dello spirito e non già a una dimensione anarchica dell’individuo. Anzi, Baeumler ritiene che sia possibile mettere in luce nel pensiero di Nietzsche un terreno comune tra questa concezione dell’individuo come superiorità dello spirito e la dimensione del collettivo a partire dalla tematica del corpo che è centrale nel filosofare nietzscheano. Non occorre far notare che per Baeumler il terreno del collettivo nel quale si radica il momento di individualità non è tanto un vago concetto di umanità quanto un’unità concreta, come può essere una razza, un popolo o uno stato. Del resto Baeumler è di avviso che chi pensa secondo l’angolo visivo del corpo, non può essere un individualista nel senso negativo del termine.
D’altra parte, il singolo batte il cammino della grandezza solo quando partecipa delle tensioni che hanno luogo tra le unità storiche del mondo. Sotto questo aspetto si può vedere come il momento filosofico incominci a prendere forma proprio in quello pratico che, come detto, trova nel concetto di stato l’espressione filosofica più alta. Ora, se si tiene presente tale filosofare eroico o filosofare esistenziale, assume un suo preciso significato, la concezione del Superuomo che non sarebbe altro, secondo Baeumler, che un’espressione per denotare tutto ciò che è eroico nel puro concetto terrestre. Zarathustra sarebbe proprio colui che annuncia tale pensiero esistenziale ed eroico a un tempo. Questo spiega perchè Baeumler faccia di continuo presente che con la sua interpretazione egli intende porsi decisamente in polemica con quella interpretazione che egli denomina dionisiaca e che è purtroppo predominante nei primi decenni del secolo. Baeumler è convinto che ponendo in primo piano la componente dionisiaca che è senza dubbio presente in Nietzsche, ci si espone al pericolo che rimanga in realtà coperta la dimensione autentica del suo filosofare. Nietzsche è in primo luogo amico dei Greci ed è scolaro di Eraclito e non già di Dioniso. Senza dubbio, proprio questa interpretazione del Superuomo porta Baeumler alla convinzione che il pensiero dell’eterno ritorno non può rientrare nell’ambito del filosofare nietzscheano che è dominato da una interna coerenza. Questa è data proprio dal carattere eracliteo del mondo.
Di qui la conclusione che la concezione dell’eterno ritorno, che sostiene una concezione dionisiaca del reale, si trova in opposizione alla concezione eraclitea e perciò non può rientrare nel pensare unitario tipico della problematica nietzscheana. In fondo, la concezione dell’eterno ritorno può essere considerata come concezione di un’esperienza personale e non può quindi essere inserita nel contesto oggettivo di un sistema unitario e coerente come è appunto quello nietzscheano. Quindi il rapporto tra la dimensione dell’eterno ritorno e quella della volontà di potenza è soltanto un rapporto esterno e non già interno. L’eterno ritorno non rientra nell’ambito dell’accadere dell’essere. Si può dire pertanto che la concezione dell’eterno ritorno è a livello religioso, mentre quella della volontà di potenza è a livello filosofico. Questo comporta che la concezione dell’eterno ritorno non può più rientrare nella problematica della verità, che ha luogo soltanto su un terreno strettamente filosofico come quello della volontà di potenza. Nell’eterno ritorno domina la dimensione dell’amore, mentre nella volontà di potenza domina l’opposizione, la divisione, la lotta, che sono momenti tipici della dimensione eraclitea. Nietzsche ha voluto in tal modo delineare l’immagine di un filosofo aperto al rischio, il quale ha il coraggio di opporsi al filosofare sognatore, chiuso in una realtà religiosa e mistica che rappresenta appunto la realtà del dionisiaco.
Secondo Baeumler, inoltre, la dimensione politica del pensiero di Nietzsche ha anche una valenza storica. Il filosofo fa propria la tematica nietzscheana del destino, la forza che agisce nella storia sarebbe in fondo solo quella del destino e non già quella del singolo essere umano. Secondo questo modo di considerare il reale, le azioni sarebbero momenti accidentali a servizio di un’idea. Ciò porta però alla conseguenza che viene offuscato il fondamento ultimo della stessa azione. In fondo, Baeumler vuole mettere in guardia il tedesco da quella visione storica secondo la quale le singole rivoluzioni che ci sono state in Germania non avrebbero fatto altro che preparare ciò che nella cultura del suo tempo viene riconosciuta come “la rivoluzione tedesca“. A suo avviso non ha senso enumerare i motivi che hanno concorso al successo di queste rivoluzioni, poichè ciò significherebbe scambiare la fisiologia con la politica.
È fondamentale, per capire il pensiero di Baeumler a riguardo, tener presente che nel terreno nietzschiano della tematica politica non si deve distinguere il piano della possibilità dal piano della realtà. Questo implica che si deve finalmente superare la concezione di una idea che agisce sulla storia non solo sul piano puramente teoretico ma pure su quello pratico. La rivoluzione autentica non è frutto di una pura somma di azioni ma è qualche cosa di più profondo che secondo Baeumler sarebbe dato da una forza misteriosa che sin dai tempi antichi è conosciuta come destino. Solo in forza di questo si può parlare di autentica unità. Il momento di unità non segue l’azione ma è ciò che la precede. È determinante quindi il momento di anticipazione che ha luogo in una dimensione di decisione che sfugge alla comprensione del singolo. Il momento profondo di tale unità non è però a livello di pura idea ma soltanto a livello di un’esistere fattuale. Così, l’azione storica non è il momento particolare che deve essere realizzato nell’ambito di un orizzonte più generale, ma è quella sua realizzazione fattuale il segno di una forza misteriosa che è in sè dominata dalla legge della necessità.
Secondo Baeumler, Hitler non ha criticato la Repubblica di Weimar con argomenti a livello teorico, ma la sua stessa azione in quanto azione storica si pone come critica a tutto l’apparato culturale che sosteneva la concezione di una simile repubblica. In altre parole, la legittimità dell’azione di Hitler è da cogliersi solo nel fatto della sua azione. Agli occhi della borghesia ciò doveva essere considerato come una mostruosità. Però proprio tale carattere di mostruosità sarebbe tipico di chi agisce. Il popolo tedesco deve pertanto, secondo Baeumler, divenire cosciente della grandezza delle singole azioni del Fuhrer, anche se queste hanno un simile carattere di mostruosità. Questo momento è del resto contenuto nella dimensione esistenziale di decisione, che supera il puro piano individuale per rivelarsi come decisione del destino. Nella decisione non c’è fiducia in un particolare svolgimento di un’azione considerata in un contesto più ampio, ma c’è solo la fiducia nell’azione per sè stessa. Il rapporto di chi compie l’azione si conclude solo con la propria decisione che fa tutt’uno con l’orizzonte del destino.
Perciò, secondo Baeumler, le azioni di Hitler ricevono il loro senso profondo nel loro contesto politico come azioni in rapporto con l’orizzonte del destino. Si tratta di azioni del tutto particolari che superano il piano etico, dato che ricevono il loro senso ultimo soltanto dalla realtà della decisione. Queste considerazioni ci mostrano il momento di fondo in forza del quale è possibile distinguere l’azione politica dall’azione non-politica. Pertanto, l’azione diventa politica solo perché si trova in rapporto con la dimensione del destino. Si deve pure precisare che solo così tale azione politica diventa un’azione storica. Inoltre il momento storico determinante acquista la dimensione di grandezza solo se mantiene la sua carica esistenziale originaria della quale è il sigillo vivente. Ciò implica il problema di un’educazione autenticamente politica. Si capisce così perchè Baeumler dica che l’autentica educazione politica per il popolo tedesco consiste nel tener lo sguardo aperto alla misteriosa forza del destino. In tal modo, Baeumler mette in rilievo un rapporto intrinseco tra la sua posizione dell’essere nietzscheano come volontà di potenza, con la concezione politica del nazionalsocialismo. O meglio, Baeumler intende dare a tale concezione un fondamento filosofico, anche se riconosce i limiti profondi della problematica nietzscheana nell’ambito di tale cultura: in Nietzsche il concetto di vita non viene inteso in modo univoco in chiave biologica di razza.
Nell’ambito del nazionalsocialismo un altro interprete del pensiero di Nietzsche è Oehler. Egli vede nel filosofo il momento culminante di tutta l’anima tedesca che nel corso della storia tende nostalgicamente a realizzare il sogno romantico di grandezza di tutto un popolo, che diventa realtà solo grazie a Hitler. Purtroppo Oehler è affascinato dalla figura di Hitler in modo tale che talvolta arriva ad offuscare la stessa figura del filosofo. Così, Hitler viene considerato non solo come uomo d’eccezione per le sue qualità personali, ma soprattutto come uomo del destino, il cui compito sarebbe proprio quello di realizzare la missione storica del popolo tedesco. Hitler diventa la più autentica realizzazione storica del Superuomo nitzscheano.
Ciò spiega perché Oehler intrecci di continuo alla tematica di Nietzsche dei brani presi dall’opera Mein Kampf di Hitler. L’interpretazione nazista del filosofo trova una sua giustificazione anche nella critica nietzscheana del popolo tedesco e della Germania: secondo Oehler, infatti, egli critica solo la cultura tedesca del suo tempo, poichè la struttura dello Stato è molto lontana dal creare ciò che solo il Terzo Reich stava creando; inoltre, il filosofo si mostra contro la democrazia perchè essa rivela un triste livellamento dei più autentici valori della persona. La democrazia rappresenta la perdita della fede nei confronti dell’uomo grande. Di conseguenza, tale forma di Stato porta al nichilismo, la cui espressione storica più oggettiva sarebbe data dal Marxismo. Pertanto nella sua lotta contro il marxismo Hitler può considerarsi il Superuomo capace di superare il fenomeno culturale del nichilismo.
Molto nota è anche un’altra interpretazione del pensiero nietzscheano, fornita da Walther Spethmann, e che considera il Superuomo non soltanto sotto l’aspetto politico, ma addirittura sotto l’aspetto famigerato dell’igiene della razza. Secondo lui la cultura politica doveva ricevere il suo significato e quindi la sua ultima giustificazione solo dal potere, o più esattamente solo da coloro che via via si succedevano nell’affermazione del potere. Spethmann difende Nietzsce dalle accuse di follia e di ateismo affermando che se il filosofo si mostra critico nei confronti della Chiesa cristiana, lo fa perché vede in essa uno strumento politico, dato che la Chiesa pretende di ridurre tutti gli uomini alla stesso livello di eguaglianza.
La dottrina del Superuomo e quindi la distinzione tra signori e schiavi viene letta alla luce della dottrina del Nazionalsocialismo come eliminazione dei malati e dei deboli per la formazione di una razza superiore che deve dominare su altri popoli. Anzi, Spethmann si rifà eslicitamente a Hitler come a quelli cui é dato il compito di formare una razza pura che deve coincidere con quella autenticamente germanica.
Anche Muller-Rathenow interpreta la figura di Hitler come nuova espressione storica del Superuomo: per Hitler, come Fuhrer destinato da Dio, é determinante, come nel Superuomo nietzscheano, la volontà di potenza intesa come forza che non ha altro scopo che quello dell’ebbrezza dionisiaca dell’atto continuo di forza.
Tutte queste riflessioni essenzialmente di natura politica sulla dimensione del Superuomo nietzscheano mostrano come l’ambiguità e talvolta la scarsa chiarezza della concezione del filosofo abbiano condotto gli esponenti dell’ideologia nazista ad usufruire del suo pensiero, in realtà esente da ogni carattere politico, per giustificare una cultura che prevede come fine ultimo la conquista del potere assoluto e l’ideologia di un uomo, che è stato per l’Europa come la nube che porta con sè la folgore: Hitler.
- Tesine