Il confronto tra Ettore e Paride mette in evidenza le profonde differenze tra i due fratelli: da un lato Ettore, il guerriero eroico e responsabile, dall’altro Paride, il principe irresponsabile e incline al piacere. In mezzo a loro si trova Elena, simbolo della bellezza fatale, ma anche della sofferenza e della tragedia. Analizzare l’episodio di Ettore che sprona Paride ci aiuta a comprendere meglio le dinamiche interne della guerra di Troia e i significati più profondi dell’Iliade.
Iliade, Ettore sprona Paride e interviene Elena: la trama
Nel Libro VI dell’Iliade, Omero ci offre una pausa dalla furia della battaglia per immergerci nelle dinamiche interne della città di Troia e nelle relazioni tra i suoi protagonisti. Dopo il duello tra Paride e Menelao, in cui Paride è stato salvato da Afrodite e portato al sicuro all’interno delle mura troiane, la guerra continua a infuriare. Ettore, il principale difensore di Troia e fratello di Paride, decide di rientrare in città per svolgere compiti cruciali.
All’interno delle mura, Ettore si reca prima al palazzo reale per incontrare sua madre, la regina Ecuba, e chiederle di organizzare un sacrificio propiziatorio ad Atena, nella speranza di ottenere il favore della dea contro gli Achei. Successivamente, si dirige verso la dimora di Paride. Qui, trova suo fratello intento a lucidare le armi, lontano dal campo di battaglia, in compagnia di Elena. Questo comportamento indolente di Paride suscita l’ira di Ettore, che lo rimprovera aspramente per la sua inattività mentre i loro compatrioti rischiano la vita in battaglia.
Elena, consapevole del ruolo che ha avuto nello scatenare la guerra e del disonore che grava su di lei, interviene nella conversazione. Esprime rimorso per la sofferenza causata e tenta di convincere Paride a tornare sul campo di battaglia per riscattare il suo onore e quello della famiglia reale. Paride, toccato dalle parole di Ettore ed Elena, decide infine di rivestire le armi e prepararsi a rientrare nel conflitto.
Iliade, Ettore sprona Paride: il testo
Ettore intanto era andato alla casa di Alessandro,
bella, quella che lui stesso costruì
con i migliori carpentieri che erano in Troia fertile,
questi a lui costruirono il talamo, la sala e il cortile aperto
vicino alle case di Priamo e di Ettore, nella parte più alta della città.
Qui giunse Ettore amato da Zeus, e nella mano
aveva la lancia da undici cubiti: davanti brillava, splendeva, della lancia
la punta in bronzo, e intorno correva un anello in oro.
Lo trova nel salone mentre sta mettendo in assetto le bellissime armi,
lo scudo e la corazza, e maneggiando l’arco ricurvo.
Elena Argiva invece con le domestiche, le serve
si era seduta, e alle ancelle ordinava lavori eccellenti.
Questi Ettore rimprovera, vedendolo, con parole
ingiuriose: «Miserabile! Non a ragione,
ti sei messo questa rabbia, nel cuore: la gente muore
intorno alla città e all’alto, ripido muro combattendo;
per causa tua il grido di battaglia ed il combattimento
divampano intorno a questa città; anche tu avresti rancore
verso colui che vedessi mai lasciare l’odiata, abominevole, guerra.
Ma alzati affinché presto la città non debba venire bruciata nel fuoco nemico».
A lui di rimando parlò Alessandro, simile ad un dio:
« Ettore, poiché secondo giustizia mi rimproveri, e non contro giustizia,
per questo ti rispondo: ma tu sii d’accordo, comprendimi, ed ascoltami:
non per ira verso i Troiani o rancore sono rimasto nella mia stanza,
ma per sfogare il dolore. Ora mia moglie convincendomi
con parole dolci, affettuose, mi ha spinto alla guerra: e sembra
anche a me stesso che in questo modo sarà meglio,
più desiderabile; la vittoria capita ora all’uno ora all’altro degli uomini.
Ma su! Ora aspetta, io vesto le armi di Ares, da guerra;
oppure vai, e io mi unirò: penso di raggiungerti».
Così diceva, e non gli rispondeva nulla Ettore dall’elmo ondeggiante;
a lui allora si rivolge Elena con parole dolci, affettuose:
«O cognato mio, d’una cagna perfida macchinatrice di mali,
che desta ribrezzo, orribile, magari in quel giorno quando al principio
mia madre mi ha messa al mondo una brutta tempesta
di vento fosse venuta per portarmi via verso il monte
o verso l’onda del mare sonoro ove l’onda
mi avesse travolta prima che queste cose avvenissero.
Invece, dal momento che queste sciagure
in questo modo gli dei hanno disposto
almeno poi magari fossi stata la moglie di un uomo migliore,
che conoscesse il biasimo e le molte censure degli uomini.
Ma questo non ha ora un animo, una mente sana, stabile:
e neppure in futuro l’avrà: così prevedo, che ne raccoglierà anche il frutto.
Ma su ora vieni avanti, entra e siediti su questo sgabello,
o cognato (mio), dal momento che lo sforzo soprattutto invade te nell’animo
a causa di me cagna, e a causa della colpa di Alessandro,
sopra i quali Zeus ha posto una sorte maligna, perché anche dopo
per gli uomini futuri, di là da venire, fossimo materia di canto».
Le rispondeva allora il grande Ettore dall’elmo ondeggiante:
«Non invitarmi a sedere, o Elena,
per quanto tu mi ami: non mi persuaderai;
già, ormai, infatti il mio cuore è in agitazione per aiutare i Troiani,
che hanno desiderio di me che sono assente.
Ma tu piuttosto sprona costui così che possa raggiungerlo
mentre si trova ancora all’interno della città.
Anch’io infatti andrò a casa, per vedere
i miei familiari e la cara, amata moglie e il figlio piccolo.
Infatti non so se ancora di nuovo verrò, di ritorno da loro,
oppure già me, sotto le mani degli Achei, gli dei faranno morire».
Analisi dei personaggi
Ettore emerge in questo episodio come il simbolo del dovere e dell’onore. La sua preoccupazione principale è la difesa della patria e il mantenimento dell’integrità morale della famiglia reale. Il suo rimprovero a Paride non è solo frutto di rabbia, ma rappresenta un richiamo ai valori fondamentali della società troiana: il coraggio, la responsabilità e l’onore.
Paride, al contrario, incarna l’elemento edonistico e irresponsabile. La sua iniziale riluttanza a partecipare alla battaglia evidenzia una mancanza di senso del dovere e una propensione a mettere i propri desideri personali al di sopra del bene comune. Tuttavia, la sua decisione finale di tornare a combattere, sebbene tardiva, indica una possibilità di redenzione e un riconoscimento delle proprie responsabilità.
Elena rappresenta la figura tragica consapevole del proprio ruolo nella catastrofe che ha colpito Troia. Il suo intervento mostra un profondo senso di colpa e un desiderio di porre rimedio, per quanto possibile, alle conseguenze delle sue azioni. La sua autocritica e il tentativo di spronare Paride riflettono una complessità emotiva che va oltre la semplice figura della “donna fatale”.
Approfondimenti:
Ettore sprona Paride: la parafrasi
Ettore, dopo aver lasciato il palazzo reale, si dirige con passo deciso verso la casa di Paride. Entrando, trova suo fratello intento a maneggiare con cura le sue armi scintillanti, mentre Elena, dalla bellezza sovrumana, osserva pensierosa. Con sguardo severo, Ettore si rivolge a Paride:
“Fratello, non è giusto che tu resti qui, lontano dalla battaglia, mentre i nostri compagni versano il loro sangue sul campo. La tua assenza demoralizza i nostri guerrieri e dà forza ai nemici. Se davvero sei stato la causa di questa guerra per il tuo desiderio di Elena, allora è tuo dovere combattere con coraggio per difendere la città e l’onore della nostra famiglia. Non permettere che si dica che Paride, pur essendo bello d’aspetto, manca di valore e coraggio.“
Elena, con gli occhi colmi di tristezza, interviene:
“Ettore, hai ragione a rimproverarlo, e anch’io porto il peso della colpa per ciò che è accaduto. Vorrei che il giorno in cui sono nata fosse stato cancellato dal destino. Ma ora dobbiamo affrontare le conseguenze delle nostre azioni. Paride, caro, torna sul campo e dimostra il tuo valore. Non per me, non per te stesso, ma per la nostra città e per coloro che stanno combattendo e morendo a causa nostra.”
Paride, toccato dalle parole del fratello e di Elena, si alza e, con rinnovata determinazione, risponde:
“Avete ragione. Non posso più restare qui mentre gli altri combattono. Indosserò le mie armi e tornerò in battaglia. Che gli dèi decidano il nostro destino.”
Ettore sprona Paride – in pillole
Contesto: Dopo il duello fallito tra Paride e Menelao, la guerra continua a infuriare alle porte di Troia
Ettore: Fratello maggiore di Paride e principale difensore di Troia. Incarnazione del dovere, dell’onore e della responsabilità
Paride: Principe troiano la cui azione di rapire Elena ha scatenato la guerra. Inizialmente ritratto come edonista e riluttante a combattere
Elena: Donna di straordinaria bellezza, la cui presenza a Troia è la causa scatenante del conflitto. Consapevole del suo ruolo e profondamente addolorata per le conseguenze delle sue azioni
Svolgimento: Ettore rimprovera Paride per la sua inattività durante la battaglia. Elena esprime rimorso tenta di convincere Paride a tornare sul campo di battaglia
Conclusioni: un’opera profondamente umana
L’episodio in cui Ettore sprona Paride e interviene Elena rappresenta molto più di una semplice esortazione alla battaglia: è un momento che riflette il contrasto tra dovere e piacere, tra responsabilità e fuga, tra sacrificio e individualismo. Ettore incarna il guerriero valoroso che lotta per la sua patria, mentre Paride simboleggia l’eroe riluttante, incapace di comprendere fino in fondo il peso delle sue azioni. Elena, invece, emerge come una figura tragica, dilaniata dal senso di colpa e dal rimorso.
Attraverso questa scena, Omero ci mostra come l’Iliade non sia solo un racconto di guerra, ma anche un’opera profondamente umana, che esplora i conflitti interiori dei suoi protagonisti e i dilemmi morali che ancora oggi possiamo riconoscere. Il confronto tra Ettore e Paride resta un monito sulla necessità di affrontare le proprie responsabilità e sul peso delle scelte che, nel bene e nel male, determinano il corso della storia.
Vedi anche:
- Iliade: struttura, contenuto e personaggi
- Proemio Iliade: parafrasi e riassunto
- Iliade e Odissea: confronto, analogie e differenze